IL CONTESTO le vere colpe. Sul libro di ArnoMayer "Soluzione finale" Guido Franzinetti 1) Quando visitai Auschwitz nel 1979 (la visita era - giustamente - obbligatoria per tutti i frequentanti del cor~o di lingua polacca) notai che alcuni dei partecipanti preferirono rimanere nel pullman piuttosto che visitare il campo. Il fatto mi stupì, perché non riuscivo a immaginare che una persona adulta potesse trovare ad Auschwitz qualcosa che non conoscesse già. Aus~hwitz - come osservò in seguito un mio amico che era stato nel campo a partire dal 1944 - è tenuto fin troppo bene; il suo stato attuale non dà lontanamente idea del suo aspetto esteriore nel periodo in cui funzionava come campo di sterminio. Ma l'immagine di quelle anime delicate che non volevano scomodarsi dal pullman mi è rimasta impressa, più di qualsiasi altro ricordo del campo. Auschwitz è una città della Polonia, non un luogo dello spirito; si chiamava (e si chiama tuttora) Oswiecim. Sono pure polacchi i nomi di molti degli altri ceritri di sterminio (come è italiano il nome della Risiera di San Sabba, che non molti conoscono in Italia). Questa vicinanza fisica ai luoghi di sterminio fa una differenza nell'esperienza e poi nella percezione dello sterminio operato dai nazisti. Non mi stanco mai di ripetere che le perdite umane per la guerra sono state 220 per mille in Polonia, 124 in Unione Sovietica, 108 in Jugoslavia, 9 in Italia, 8 in Gran Bretagna. Grosso modo, s 'intende. C'è chi obietterà che le cifre polacche comprendono anche i polacchi ebrei, che vanno conteggiati a parte. Dimezziamo quindi la cifra polacca: siamo sempre a quota 110 (rispetto a 9 di quella italiana). La cifra jugoslava comprende anche i morti della guerra civile, e la cifra sovietica comprende tutto e il contrario di tutto, se è per questo. Un giornalista ebreo polacco cercava di spiegare di recente (a un pubblico italiano) che in Polonia lo choc dello sterminio nazista degli ebrei è stato minore di quanto non sia stato, ad esempio, in Francia. Dopotutto, nel corso della guerra erano morti tre milioni di ebrei polacchi e tre milioni di polacchi. Un membro del pubblico l'ha interrotto, chiedendo il perché di questo minore choc. Il giornalista è stato troppo gentile per essere capace di dare la risposta che meritava la domanda (e cioè che una domanda del genere contiene in sé stessa la sua risposta). Un pubblico italiano (anche un pubblico di ebrei italiani) sembra dare troppe cose per scontate sulla guerra per poter capire il senso della frase del giornalista, che è poi lo stesso delle statistiche mortuarie che ho citato. Quel che si dà per scontato è che l 'esperienza della guerra sia alla fin fine, la stessa per tutti; esperienza che, entro certi limiti, è stata vissuta iri termini di scelte (fascismo, antifascismo, resistenza, indifferenza, ecc.). L'idea che 12 esistessero mondi in cui il margine delle scelte era strettissimo, quasi inesistente, non sembrava sfiorare l'interlocutore del giornalista. Non c'è nulla di misterioso in questa incomprensione. Per la grande maggioranza degli italiani (ed ebrei italiani) l'esperienza della guerra è qualcosa compreso tra il 1940 e il 25 aprile, con conseguenze variabili a seconda della classe di leva, della località geografica e, buon ultimo, il caso. Per molti ebrei italiani (e non ebrei, se è per questo) la salvezza fu spesso garantita da una rete di complicità, prima fra tutte quella della chiesa cattolica, fatto che è talvolta all'origine di una certa ambivalenza degli ebrei italiani nei confronti dell'istituzione. (S'intende, questa rete di complicità è quella stessa che rese possibile la fuga di tutti i criminali nazisti in America latina, ma di questo - comprensibilmente - si preferisce non parlare in Italia, per gli stessi motivi per cui non si parla della Risiera di San Sabba, né della guer-. ra in Jugoslavia. Italiani brava gente. Mica come i polacchi, nei confronti dei quali ogni generalizzazione etnica è giustificata.) 1 Il momento di maggior pericolo (in Italia) fu indubbiamente quello dell'occupazione tedesca: l'Italia, sino all '8 settembre, era uno stato sovrano, al punto che poteva scegliere di essere un alleato dei tedeschi. Dopo 1'8 settembre le cose cambiarono, ma essendo già passati nove mesi dalla sconfitta tedesca a Stalingrado, chiunque sapesse leggere una cartina geografica poteva capire che quello tedesco non era più il cavallo vincente. Dopo lo sbarco in Pianta del crematorio di Auschwitz disegnato dolle truppe di liberazione nel 1945 Sicilia bastava essere una persona di medi~ intelligenza per capire da che parte tirava il vento. Non voglio con questo sminuire quanto fu fatto da coloro che scelsero di non aspettare che arrivassero gli alleati angloamericani. Voglio solo sottolineare che si trattava proprio di una scelta (tanto più ammirevole in quanto non dovuta alla costrizione). La prospettiva era un poco diversa in altri paesi. Per la mia amica Carla ad Amsterdam il 1943 segnava già il quarto anno di guerra (dei sei che ci furono), il terzo anno di occupazione tedesca, senza alcuna prospettiva. Aveva lavorato per la Gestapo, che l'aveva assegnata (pur essendo lei ebrea) alla compilazione di un registro degli ebrei olandesi. Carla si mise al lavoro, distruggendo tutto quel che poteva distruggere. Poi se ne andò. Fu più fortunata della sua amica quasi coetanea, Anna Frank:. Vorrei sottolineare che Carla non è un'eroina della resistenza. È una persona normale, che fece quel che una persona doveva fare in quelle circostanze. Non ha alcuna difficoltà a parlar- .mi della Gestapo. Non riesce invece a parlarmi di quel che facevano i collaborazionisti olandesi. Sì, è vero, l'Olanda fu il paese che nel 1941 scese in sciopero in difesa degli ebre1 in piena occupazione tedesca. Ma non ci fu solo quello. Nel 1943 la Polonia non esisteva come Stato da quattro anni. La resistenza polacca combatteva da quattro anni. Non e' era il tempo per scegliere il "momento buono". Si combatteva e basta. Le pene inflitte ai polacchi non solo per gli atti di resistenza, ma anche per l'assistenza agli ebrei, erano molto più severe di quelle inflitte negli altri paesi europei, non tanto perché i nazisti fossero più buoni con i francesi (per non parlare degli italiani), ma perché non esercitavano un.controllo così diretto. Ciò nonostante ci furono polacchi che rischiarono lo stesso la vita per aiutare ebrei. Uno di questi era il nonno di una mia amica. Il nonno era un uomo di destra, di una destra che comprendeva anche frange antisemite. Eppure lui scelse di collaborare con ebrei. Finì al campo di Oswiecim proprio per questo, e vi - . WSYTPRUCIZNY I
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