Linea d'ombra - anno VIII - n. 55 - dicembre 1990

IL CONTESTO Visti da vicino Italiani e no Marino Sinibaldi Forse è vero che non sappiamo più bene 'come siamo e che paese abitiamo. O meglio, c'è molto di già visto, di risaputo, di scontato nel vecchio e nel nuovo che convivono in questo paese; ma c'è anche molto di incerto e di imprevedibile in certi comportamenti e in certe reazioni. Parlo per esempio di quel continente di problemi che chiamiamo razzismo. Ogni volta, di fronte all'emergere di una nuova questione sociale, di un nuovo motivo di contrasto e di inquietudine, c'è qualcosa di previsto e qualcosa di inedito, in campo. Qualche reazione che viene da lontano, da un fondo atavicamente immutabile del nostro carattere nazionale e qualche rivelazione di una nuova situazione, di un mutamento o anche solo uno SJ?OStamento del modo di essere degli italiani. Lo so che probabilmente ovunque, nel mondo, e comunque sempre, nelle società complesse, i comportamenti di massa esprimono questo intreccio di nuovo e antico, di consueto e di inusitato. Ma in Italia il nodo appare più stretto e inestricabile, più difficile da comprendere e da governare. Come se la storia qui da noi sedimen~se più rapidamente le sue novità e d'altra parte come se gli elementi decisivi del carattere nazionale fossero più solidamente e indelebilmente incisi.L'impressione di tanti osservatori stranieri, dai viaggiatori del Settecento in poi, secondo cui in questo paese una grande leggerezza, incostanza, volubilità si accompagnava stranamente a una sostanziale immobilità, sembra confermata da tanti avvenimenti anche molto recenti. Ed è la ragione caratteriale, per così dire, dei comportamenti politici italiani. Di una storia di ribellioni senza rivo!uzioni, di trasformismi senza trasformazioni. Questa situazione che nemmeno le false o fallite "rivoluzioni" politiche degli ultimi 50 (o 70? o 150?) anni sono riuscite a mutare che lapiù efficace "rivoluzione antropologica" degli anni Sessanta e Settanta ha provveduto straordinariamente a rafforzare, si ripropone immancabilmente e determina l'atteggiamento generale di fronte a problemi, questioni, emergenze nuove. L'apparentemente ondivago e sostanzialmente indecifrabile atteggiamento degli italiani verso il razzismo, deriva da questo nodo e lo conferma in modo persino spettacolare. Per riferirci alla cronaca di questi giorni, l'aspetto più sorprendente della resistenza degli abitanti dei quartieri romani alla decisione di decentrare il maxi-ghetto della Pantanella, non è infatti il rifiuto pregiudiziale e apertamente razzista di permettere quegli 'insediamenti: fin qui siamo nel dramma in qualche modo consueto delle psicosi, delle grandi e piccole paure. Quello che più colpisce è altro: è la facilità superficiale con cui questa resistenza viene ogni volta superata (o meglio, solo apparentemente accantonata). In nome di cosa, infatti, questi italiani cambiano idea? Non certo in virtù di una presa di coscienza del problema, dell'assunzione razionale dei suoi risvolti e anche dei suoi pericoli oggettivi; piuttosto, per via di una labilità non direi nemmeno emotiva, ma falsamente sentimentale. In uno dei quartieri più ferocemente contrari all'arrivo degli extracomunitari, è accaduto che una semplice assemblea con 6 alcuni di loro sembrasse bastare, almeno per il momento, per cambiare atteggiamenti e posizioni. Ora, commentare un fatto del genere è imbarazzante. Perché naturalmente non si tratta di disprezzare iniziative come questa (né di sottovalutare la necessità politica e amministrativa di risolvere anche provvisoriamente problemi e tensioni). Ma questi risultati vanno valutati ·per quel che sono: non segnale di 'trasformazione un minimo solida e affidabile nel modo di vedere e vivere un problema, ma pura effusione di una volontà che più che superare il razzismo, ambisce a mostrare un volto umano e simpatico, benigno e pietoso come gli italiani, da sempre, amano pensarsi - specie se si tocca una loro corda sentimentalmente umanitaria, sopravvissuta come rifugio consolatorio e autogratificante alla disumanizzazione metropolitana. E nemmeno questa sopravvivenza residua di umanità e solidarietà va sottovalutata, perché anche su questa bisognerà contare per ridurre il pericolo razzista (non è stato qualcosa di diverso, credo, a salvare qualche ebreo italiano dai lager). Ma senza dimenticare i limiti di una situazione, come quella dell'assemblea romana che citavo, dove tante mamme e qualche nonna si sono pentite del loro razzismo embrionale, impietosendosi di fronte all'immigrato di colore. Senza dimenticare, insomma, la sostanziale incertezza, la revocabilità e l'inefficacia finale di un sentimento del genere. Queste caratteristiche italiane sono diventate, nel corso del tempo, talmente evidenti che qualunque incontro ravvicinato le rileva a prima vista.Nella loro contraddittorietà, sfuggono al!' infinita teoria di sondaggi apparentemente indecifrabili, quelli per i quali ..:_ alludo a due molto recenti e clamorosi - siamo un popolo che, nonostante la corruzione dilagante, socialmente accettata ed elettoralmente premiata, mette al primo posto tra i valori condivisi e collettivamente stimati l'onestà morale; oppure il paese europeo che mostra la più alta sensibilità percentuale ai problemi e ai pericoli ecologici ma più radicalmente, poi, e "in via di principio", rifiuta ogni idea di soluzione che parta dalla riduzione dei consumi. Sono solo esempi, di contraddizioni solo apparenti. Dietro c'è un tic caratteristico della nuova piccola borghesia che oramai detta la cultura e i comportamenti di questo paese tutto intero, c'è quel "vogliamo tutto" che ambisce a tenere insieme valori diversi e opposti, che pare non volersi privare di nessuna gratificazione materiale e morale. Ma naturalmente c'è anche qualcosa di molto più ~tico. Senza risalire agli albori del nostro carattere nazionale basterebbe rileggersi quel poco di dibattito sul!' industriai izzazione che c'è stato nel nostro paese per scoprire che già quei primi capitalisti - o solamente aspiranti tali - "volevano tutto": il progresso e l'elegia, lo sviluppo economico e la conservazione delle nostre "naturali" e "felici" peculiarità (obbedienza politica e religiosa, soprattutto). · In realtà, in questa duplicità rilevata da tanti sondaggi e confermata da tanti indizi e impressioni si manifesta pienamente il vero carattere nazionale, ormai abituato- da secoli, credo; ma sicuramente da parecchi decenni - a convivere con quelle appa-

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