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edizioni e/o I NOVITA' AUIUNNO - INVERNO 1990 . . \ Christoph Hein Il suonatore di tango L'ultimo romanzo di Hein è "un purgatorio amarissimo narrato in chiave psicologica, esistenziale. Sembra un · incrocio di Kundera, Sartre e Kafka. Un libro toccante, bellis~imo, su un universo sordido, squallido, impaurito e represso". "L'Espresso" "Il male provocato · dall'ingiustizia, dal silenzio dalla mistificazione che no~ sono monopolio della RDT né dell'Europa dell'est. Il male è interno, inaccessibile e forse incurabile. La malattia di cui ci parla Christoph Hein tocca tutta l'umanità, si diffonde più rapidamente dei virus e colpisce i centri nervosi del desiderio: è la malattia della speranza". "Le Nouvel Observateur". pp. 176, L. 22.000 Kazimierz Brandys L'arte di farsi amare I racconti più belli di uno dei grandi scrittori del nostro tempo.Dal famoso La difesa del Grenada al divertente L'uomo col bastone e al romantico L'arte di farsi amare: i diversi registri di un narratore nato. pp. 200, L. 24.000 Evan S. Connell Mrs. Bridge Uno dei più importanti romanzi americani del dopoguerra, un libro-culto · del realismo USA, portato ora allo ~~hermo da James Ivory con 1 mterpretazione di Paul Newman. È "molto semplicemente" il ritratto della vita di una famiglia borghese. pp. 250, L. 24.000 'I> Edna O'Brien Ragazze nella felicità coniugale Continuano le tragicomiche disavventure delle due giovani irlandesi protagoniste della Ragazza dagli occhi verdi. L'arrivo pieno di speranze a Londra nei ruggenti anni Sessanta e il tragico epilogo vent'anni dopo. "Così come Joyce - ha scritto Philip Roth - fu il primo cattolico irlandese a rendere riconoscibili la sua esperienza· e il suo ambiente, il mondo di Nora Bamacle (l'ex cameriera divenuta moglie di Joyce) doveva aspettare la narrativa della O'Brien". pp. 168, L. 22.000 n' TASCABILI e,o Goffredo Fojì Prima il pane Cinema, letteratura, satira, fumetto, giornalismo e altro tra gli anni Ottanta e Novanta, in una galleria di personaggi ritratti con luci e ombre . pp. 168, L. 10.000 Kazimierz Brandys Rondò "Questo bellissimo Rondò che non sarà azzardato indicare come il suo capolavoro". (Giovanni Giudici). "I signori di Stoccolma dovrebbero dargli il Nobel". (Grazia Cherchi). pp. 360, L. 14.000 Christoph Hein L'amico estraneo Un romanzo - in cui l'io narrante· è una donna - scritto da un uomo. L'insensibilità e l'egoismo dei nostri giorni messi a nudo. Uno di quei libri che non lasciano indifferente il lettore. pp. 184, L. 10.000 Jan Potocki Viaggio in Turchia, in Egitto e in Marocco I viaggi dell'autore del Manoscritto trovato a Saragozza nei paesi delle Mille e una notte. pp. 208, L. 10.000 Ai lettori di "Linea d'ombra" offria · · I I Ed"•. mo m oma~,o I vo umetto tascabile Dall'est per ogni acquisto di almeno 50 000 lire · IZ1onl E/O - Via Camozzl 1 00195 Roma - Tel. 06-3722829 · ·
i)ire11ore: Goffredo Fofi Direzione ediloriale: Lia Sacerdote Collabora/ori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Bc,ini, Alfonso Berardinelli, Andrea Bcrrini, Giorgo 13ert, Paolo Bertinctti, Gianfranco Bcttin, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi 13obbio,Norberto Bobbio, Franco Brioschi, Marisa ll11lgheroni, Isabella Carnera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Can,ola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clcrici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Pcppo Del Coni.e, Roberto Dclera, Stefano Dc Mattcis, Piera Detassis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Maria f-crrctti, Marcello Florcs, Ernesto Franco, Guido Frantinct.ti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, fabio Ga111baro,Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Gabriella Giannachi, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidcni Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porla, Gad Lcrner, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, M:iria Maderna, Luigi Manconi, Maria Teresa ~'landalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghett.i, Sa111j11a MohigLia, Diego Mormorio, Maria Nadoti.i, Ant.oncllo Negri, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Cesare l'ianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, l3n1no Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe l'ont.rcmol.i, Sandro Portelli, Fabrizia Rarnondino, .\llarco Revclli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez ,\maya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico R11sconi,Maria Schiavo, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpi.no, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turcheua, Emanuele Vinassa de Rcgny, Tullio Vinay, Itala Yivan, Gianni Volpi, Egi Vollerrani. Progelto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche: Barbara Galla, Natalia Del Conte Pubblicilà: Miriam Corradi fateri: Regina l layon Cohen Produzione: Emanuela Re ,1mminislrazione: Rina Disanza _ I !anno conlribuilo alla preparazione di ques/0 numero: il Goethe Institut di Roma, Franco Cavallone, Paolo Collo, Maria Corti, Paolo Di Stefano, Giorgio Ferrari, Giovanni Giovarineui, Roberto Koch,. Giovanni e Stefano Levi, Stefano Moreni, Grazia Neri, Domenico Scarpa, Barbara e Terentio Yergnano, le case editrici Garzanti, Thcoria, Il Mclangolo e Einaudi, il Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia, il Centro di Documentazione Ebraica, il Centro Studi Piero Gohelli di Torino e la Libreria Popolare di Via Tadino a Milano. Edilore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Tel. 02/6691132-6690931. Fax: 6691299 Dislrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosl,a 75 - Milano Tcl. 02/8467545-8464950 Dis1rib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze -Te!. 055/587242 Swmpa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (Ml) -Te!. 02/4473146 UNEA D'OMBRA - Mensile di storie, immagini, discussioni. Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo fofi - Sped. Abb. Post. Gruppo m:no% Numero 55 - Lire 10.000 J\bbonamenli Annuale: ITALIA: L. 75.000 a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 inlcsla1.0 a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 I man.oscnlll rwnvengonoreslltulll. Si nspondeadiscrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesla. Dei tes1idi cui non siamo sia/i ingrado di rinlracciare gli aven1i dirillo, ci dichiariamo pronli a ottemperare agli obblighi relativi. LINEA D'OMBRA anno VIII dicembre I 990 numero 55 6 8 10 Marino Sinibaldi Luigi Bobbio Marcello Florcs 12 Guido Franzinetti 16 HenrykM. Eroder 19 Giinter Grass 20 Grace Paley 23 A. Brossat, S. Combe Italiani e no, visti da vicino L'arena gladiatoria Giornalisti a confronto, dall'URSS al Salvador Dal lager al gulag Le vere colpe Le vittime delle vittime Come lo diciamo ai bambini? Ora e allora Sulle tracce del gulag. Un'inchiesta e G. P. Piretto sui cimiteri di Mosca (a p. 30). 32 34 40 42 Antonella Tarpino Gaspare Giudice Julien Gracq Flavia Tortorella Le storie inconsuete di Miche! Vovelle Le nardo Sciascia. La tentazione cattolica Lo scrittore e la critica incon.Lrocon A. Coelho, F. Lhomeau, J. L. Poitevin Il ritorno di Jovine e I.Camera d' Affliuo su un romanzo iracheno di Abd ar-Ralunàn (a p. 38), G. Fofi su libri di T. Coraghessan Boy le, E. Popov, L Cukovskaja,N. Manca, J. Benet, A.E. Yeoshua, J. Bames (a p. 45), G. Volpi su film di D. Lynch, S. Govorukl1in, B. Taverniere altri (a p. 45) e P. Meregheui sulla scomparsa di Gianni Amico (a p. 39). Promemoria (a p. 30); Gli autori di questo numero (a p. 94). 64 69 69 72 74 76 79 87 89 91 51 59 Jaime Cii de Biedma Vincenzo Consolo Chams Nadir Roberto Bertoni Tahar Djaout Seamas MacAnnaidh Bernardo Atxaga Gregorio Martìnez Federico Campbell Susan Daitch Wolf Biermann Kur/ Vonn.egut Poesie con una presentazione di Giovanna Calabrò Il prodigio La cifra Di vari brani Mare arabile Odio con una nota di Danilo Manera Hemy Bengoa Inventarium con una nota di Sonia Piloto di Castri Acqua di Calendula con una nota di Natalia Giannoni Los Brothers Camera oscura Solo chi cambia rimane fedele a se stesso Domanda decisa, risposta decisa La copertina di questo numero è di Elfo (distr. Storiestriscc) Questa rivista è stampata su carta riciclata.
IL CONTESTO Visti da vicino Italiani e no Marino Sinibaldi Forse è vero che non sappiamo più bene 'come siamo e che paese abitiamo. O meglio, c'è molto di già visto, di risaputo, di scontato nel vecchio e nel nuovo che convivono in questo paese; ma c'è anche molto di incerto e di imprevedibile in certi comportamenti e in certe reazioni. Parlo per esempio di quel continente di problemi che chiamiamo razzismo. Ogni volta, di fronte all'emergere di una nuova questione sociale, di un nuovo motivo di contrasto e di inquietudine, c'è qualcosa di previsto e qualcosa di inedito, in campo. Qualche reazione che viene da lontano, da un fondo atavicamente immutabile del nostro carattere nazionale e qualche rivelazione di una nuova situazione, di un mutamento o anche solo uno SJ?OStamento del modo di essere degli italiani. Lo so che probabilmente ovunque, nel mondo, e comunque sempre, nelle società complesse, i comportamenti di massa esprimono questo intreccio di nuovo e antico, di consueto e di inusitato. Ma in Italia il nodo appare più stretto e inestricabile, più difficile da comprendere e da governare. Come se la storia qui da noi sedimen~se più rapidamente le sue novità e d'altra parte come se gli elementi decisivi del carattere nazionale fossero più solidamente e indelebilmente incisi.L'impressione di tanti osservatori stranieri, dai viaggiatori del Settecento in poi, secondo cui in questo paese una grande leggerezza, incostanza, volubilità si accompagnava stranamente a una sostanziale immobilità, sembra confermata da tanti avvenimenti anche molto recenti. Ed è la ragione caratteriale, per così dire, dei comportamenti politici italiani. Di una storia di ribellioni senza rivo!uzioni, di trasformismi senza trasformazioni. Questa situazione che nemmeno le false o fallite "rivoluzioni" politiche degli ultimi 50 (o 70? o 150?) anni sono riuscite a mutare che lapiù efficace "rivoluzione antropologica" degli anni Sessanta e Settanta ha provveduto straordinariamente a rafforzare, si ripropone immancabilmente e determina l'atteggiamento generale di fronte a problemi, questioni, emergenze nuove. L'apparentemente ondivago e sostanzialmente indecifrabile atteggiamento degli italiani verso il razzismo, deriva da questo nodo e lo conferma in modo persino spettacolare. Per riferirci alla cronaca di questi giorni, l'aspetto più sorprendente della resistenza degli abitanti dei quartieri romani alla decisione di decentrare il maxi-ghetto della Pantanella, non è infatti il rifiuto pregiudiziale e apertamente razzista di permettere quegli 'insediamenti: fin qui siamo nel dramma in qualche modo consueto delle psicosi, delle grandi e piccole paure. Quello che più colpisce è altro: è la facilità superficiale con cui questa resistenza viene ogni volta superata (o meglio, solo apparentemente accantonata). In nome di cosa, infatti, questi italiani cambiano idea? Non certo in virtù di una presa di coscienza del problema, dell'assunzione razionale dei suoi risvolti e anche dei suoi pericoli oggettivi; piuttosto, per via di una labilità non direi nemmeno emotiva, ma falsamente sentimentale. In uno dei quartieri più ferocemente contrari all'arrivo degli extracomunitari, è accaduto che una semplice assemblea con 6 alcuni di loro sembrasse bastare, almeno per il momento, per cambiare atteggiamenti e posizioni. Ora, commentare un fatto del genere è imbarazzante. Perché naturalmente non si tratta di disprezzare iniziative come questa (né di sottovalutare la necessità politica e amministrativa di risolvere anche provvisoriamente problemi e tensioni). Ma questi risultati vanno valutati ·per quel che sono: non segnale di 'trasformazione un minimo solida e affidabile nel modo di vedere e vivere un problema, ma pura effusione di una volontà che più che superare il razzismo, ambisce a mostrare un volto umano e simpatico, benigno e pietoso come gli italiani, da sempre, amano pensarsi - specie se si tocca una loro corda sentimentalmente umanitaria, sopravvissuta come rifugio consolatorio e autogratificante alla disumanizzazione metropolitana. E nemmeno questa sopravvivenza residua di umanità e solidarietà va sottovalutata, perché anche su questa bisognerà contare per ridurre il pericolo razzista (non è stato qualcosa di diverso, credo, a salvare qualche ebreo italiano dai lager). Ma senza dimenticare i limiti di una situazione, come quella dell'assemblea romana che citavo, dove tante mamme e qualche nonna si sono pentite del loro razzismo embrionale, impietosendosi di fronte all'immigrato di colore. Senza dimenticare, insomma, la sostanziale incertezza, la revocabilità e l'inefficacia finale di un sentimento del genere. Queste caratteristiche italiane sono diventate, nel corso del tempo, talmente evidenti che qualunque incontro ravvicinato le rileva a prima vista.Nella loro contraddittorietà, sfuggono al!' infinita teoria di sondaggi apparentemente indecifrabili, quelli per i quali ..:_ alludo a due molto recenti e clamorosi - siamo un popolo che, nonostante la corruzione dilagante, socialmente accettata ed elettoralmente premiata, mette al primo posto tra i valori condivisi e collettivamente stimati l'onestà morale; oppure il paese europeo che mostra la più alta sensibilità percentuale ai problemi e ai pericoli ecologici ma più radicalmente, poi, e "in via di principio", rifiuta ogni idea di soluzione che parta dalla riduzione dei consumi. Sono solo esempi, di contraddizioni solo apparenti. Dietro c'è un tic caratteristico della nuova piccola borghesia che oramai detta la cultura e i comportamenti di questo paese tutto intero, c'è quel "vogliamo tutto" che ambisce a tenere insieme valori diversi e opposti, che pare non volersi privare di nessuna gratificazione materiale e morale. Ma naturalmente c'è anche qualcosa di molto più ~tico. Senza risalire agli albori del nostro carattere nazionale basterebbe rileggersi quel poco di dibattito sul!' industriai izzazione che c'è stato nel nostro paese per scoprire che già quei primi capitalisti - o solamente aspiranti tali - "volevano tutto": il progresso e l'elegia, lo sviluppo economico e la conservazione delle nostre "naturali" e "felici" peculiarità (obbedienza politica e religiosa, soprattutto). · In realtà, in questa duplicità rilevata da tanti sondaggi e confermata da tanti indizi e impressioni si manifesta pienamente il vero carattere nazionale, ormai abituato- da secoli, credo; ma sicuramente da parecchi decenni - a convivere con quelle appa-
renti ambiguità, anzi, a fare di questa impresa il nostro tratto peculiare. Ogni osservatore appena un po' intelligente o smagato - per talento o per necessità - se ne accorge. Da qualche anno queste figure - sotto le vesti non più di viaggiatori animati da curiosità intellettuali ma di immigrati costretti per motivi di sopravvivenza ad affinare le loro capacità di osservazione e a derivarne strategia di vita - non mancano. E allora in questo discorso i cosiddetti extracomunitari interessano non tanto comè oggetti di razzismo o di solidarietà ma come soggetti, come osservatori, conoscitori, "esperti" dell"Italia e degli italiani. Quello che da questo punto di vista particolare più colpisce e interessa dei due libri recenti scritti da immigrati (Mario Fortunato e Salah Methnani, Immigrato, Theoria; e Pap Khouma- con la collaborazione di Oreste Pivetta-, Io, venditore di elefanti, Garzanti) è proprio questa capacità di. cogliere rapidamente alcuni tratti decisivi del carattere degli italiani. Per ridurre e semplificare le osservazioni e le riflessioni suggerite da ques~ lettura, l'immagine dell'Italia e degli italiani che ne emerge mi sembra presentare almeno due elementi utili per comprendere la cultura, antropologica ma anche politica, del nostro paese. La prima è una imp~parazione reale a convivere con le differenze, quelle vere, radicali, "culturali". Come è noto, e come ripetono spesso i sociologi, siamo un paese monoculturale. Non siamo abituati a convivere con minoranze etniche o religiose consistenti edi solida identità. Abbiamo convissuto, magari male, ma per secoli, con una miriade di piccole differenze e di diversità anche profonde; sono state per lo più divisioni di campanile, ma con una loro polifonica ricchezza, come si è espressa e depositata nei nostri dialetti. Ma proprio perché così diffuse, non hanno mai prodotto diversità radicali. E soprattutto queste piccole differe~ze sono (sono state) talmente fragili eh~ il loro anche parziale superamento ha prodotto, prima e più che l'unificazione reale, l 'omologaz1one degli italiani. Ossia la sparizione della ricchezza delle loro differenze anche in sopravvivenza degli antagonismi ad esse legate. E ha determinato, quell'omologazione, la fine definitiva di ogni necessità e capacità di tollerare e convivere col diverso, col radicalmente diverso, col diverso per pelle e per cultura. Del resto, la storia della grande Differenza Nazionale, quella traNord e Sud, non ha mai prodotto fenomeni di scambio e ascolto reciproco, ma piuttosto quel colonialismo interno che ha afflitto generazioni di non incolpevoli intellettuali meridionali. Soprattutto perché non è stata la storia di una differenza, ma quella di una superiorità comunemente accettata, benché non sempre esplicitamente e con frequenti rigurgiti sciovinisti e autonomisti, a Nord e a Sud. E ormai la storia del mondo, non solo quella del nostro fortunato stivale, sembra confermare che e' è un modello superiore vetso il quale gli altri devono aspirare, tendere, andare (anche fisicamente, se necessario: e l'emigrazione appare dunque anche come adesione). Questa monocultura si esprime pienamente ne~ carattere totale ossia uniformemente diffuso, vigente, potente, d1 istituzioni quasi tipicamente italiane, come la famiglia e il cattolicesimo (il nostro cattolicesimo, mediato e reinventato dalla cultura e dal potere democristiani). Questa monocultura è il fenomeno di fondo che determina la situazione denunciata di Luigi Manconi nel libro I razzismi possibili (scritto con Laura Balbo ed edito da Feltrinelli): "la società italiana ha incontrato il fenomeno dell'immigrazione exll'acomunitaria in una situazione, alla lettera, di sprovvedutezza, ovvero di assoluta impreparazione" e quindi il cittadino italiano "privo di modelli culturali utilizzabili ... si è misurato con la questione elaborando una propria rappresentazione". Tra disiv O I li A l,(A,\J\ StAMOR.Azi.1s··n, BA~Bo '? Disegno di Altan (Ouipos). IL CONTESTO MACCI-li! i\.JOISFRù11"1AMo CHlùNQU~ Il, BRACCIA APER.1~. abitudine alla.convivenza con la dìversità ed esaltazione della nuova, indiscussa superiorità dei nostri modelli e stili di vita, gli italiani hanno riempito il vuoto mettendo in campo quell'adattamento ai tempi, quella rinfrescatura del loro carattere nazionale. Urisultato è l'amalgama che abbiamo sotto gli occhi: chiusura culturale e sentimentalismo assistenziale, perbenismo piccoloborghese e pi~tismo cattolico - e straccione: non welf~~ ma beneficenza. E del resto in quello stesso volume la descnz10ne che nel suo utilissimo "Vocabolario", Laura Balbo fa dell '"Italia mo~oculturale e biancocentrica" mette in evidenza il punto decisivo: "Siamo dentro un sistema che definisce e privilegia un modello relativamente omogeneo, un tipo 'medio' di italiano (cittadino, lavoratore, cattolico, scolarizzato; bianco) e che tuttora funziona nel senso di ridurre quanto più possibile gli spostamenti di questo tipo medio". Immaginarsi, allora, lo scontro con questa cultura a una dimensione di Salah M~thnani oPa~ ~ouma o mille altri: non cittadini, strani lavoraton, non cattolici, scolarizzati altrove; e irrimediabilmente non bianchi ... Quello che resta da sottolineare è che proprio la recente affermazione dei valori costitutivi di quella monocultura sembra renderla più oppressiva e intollerante (forse perché ~i~ in_sic~, direbbe lo psicologo delle masse). E anzi, tra gh itaham, Il fenomeno razzista si presenta più minaccioso nelle zone dove la conquista di quei valori e quello status "medio" è più vicina nel tempo, più sofferta e dunque più apprezzata - co_me?elle periferie urbane -, oppure dove valori e status sono ~issu~ con tale partecipazione da essere considerati fonte esclusiva di una solida, condivisa, vantata, "invidiata" identità - come nelle valli, e paesi, le città delle varie Leghe nordiste. . La monocultura è qu~sto. È l'incapacità di capire, a~che nel gesto di solidarietà, che si dovrebbe evitare di dar~.? dei ~u~ul~ mani un panino con la mortadella, come accade ai vend1ton di l'ki",1111i" nel libro di Pap Khou·ma. . Il secondo elemento, la seconoa scoperta che Salah M~~~i e Pap Khouma fanno su di noi, è che siamo un paese senza dm~~• dove anche i diritti più elementari e quelli ~'apparenza s~bili, sono in realtà aleatori, mutevoli, incerti. Net due racconb, u~a miriade di episodi conferma questa situazione. E_del resto P~P~? sulla discrezionalità di tutti i diritti - a parure da quelh pi~ elementari: si può stare in Italia? si può vendere per strada?- si fondano le più O meno raffinate e avventurose strategie che 7
IL CONTESTO rendono questi libri, oltretutto, due divertenti romanzi picareschi. L'aspetto più clamoroso del problema è stato proprio, come è noto, l'incerto diritto di residenza (ossia, in qualche modo, di esistenza) per questa massa di immigrati. Che la Legge Martelli ha risolto solo in parte. E infatti il puntiglioso racconto sull'applicazione dell~ legge che Marina Forti pubblica in appendice al libro di Balbo e Manconi, conferma clamorosamente l'incertezza della condizione di "inclusi, esclusi, semi-esclusi". In alcune città, per ottenere i diritti previsti dalla legge, bastavano semplici, formali, addomesticabili dichiarazioni; in altre la procedura è stata così complessa da non permettere praticamente alcuna regolarizzazione. Sono pagine da racconto dell'assurdo. Ma quel che più conta, è che quell'incertezza dei diritti appare in qualche modo un'espressione, una variante, una superfetazione della straordinaria varietà di attèggiamenti praticati dagli italiani nei confronti dei neri, dalla straordinaria aleatorietà dei diritti loro riconosciuti non solo nelle aule delle questure che applicano le leggi sull'immigrazione, ma già nelle strade, nelle piazze, nei bar dove gli extracomunitari vivono, lavorano e incontrano gli italiani. Italiani che appaiono tutti - in borghese o in divisa, ricchi e poveri, rampanti e perdenti- imprevedibili. Dalmmigratoe lo, venditore di elefanti emerge un catalogo di comportamenti incredibilmente vari: c'è il vigile che sequestra'e quello che compra tutto, c'è il gestore del bar che caccia immediatamente il venditore africano e quello che gli fa pubblicità e obbliga i clienti a comprare qualcosa, c'è il poliziotto che aiuta a trovare casa e quello che in questura sbatte tutti per terra: "Che cosa cì'tanno questi seduti sulle sedie? Non ne hanno il diritto ..."; ossia, l'inéertezza del diritto alla sedia ... Non è solo questione del!' alternarsi di sentimenti di bonarietà e diffidenza, di solidarietà e rifiuto, ma di ciò che questo produce su scala sociale sul piano dei diritti, della politica e dell'amministrazione locale. Qui si fa evidente il dramma di un paese senza diritti - ovvero dove i diritti sono appannaggio di istituzioni e funzioni apposite e irregolari: la famiglia, la corporazione, la lobby clientelare ... Costretti sulla strada a fare i conti quotidianamente con tutto questo rapidamente Salah Methnani, Pap Khouma e mille ·altri imparano a comprendere gli italiani, li conoscono come le proprie tasche, li radiografano meglio di qualunque sondaggio di opinione. Forse, ma questa è solo un'ipotesi e un timore, imparano a essere come noi, a mimetizzarsi in un paese dove perfino i diritti sono incerti e imprevedibili. Ma intanto scoprono pure quello che c'è tra noi e che non vorremmo vedere, presi come siamo dalla celebrazione delle magnifiche sorti di uno dei paesi più ricchi del mondo. (E allora, per non chiudere gli occhi e cerc;:u-edi fondare un 'idea di questo paese sulla realtà e non sulle sue (auto) rappresentazioni, un piccolo consiglio, infine: il li brodi Giorgio Ricordy Senza diritti edito da Feltrinelli. Decine di storie di italiani che, esattamente come quegli immigrati e venditori di elefanti, vivono in assenza di garanzie, di diritti di organizzazione e di parola - e perfino di vita, a volte. E non sulle strade, nelle piazze delle fiere, dentro le stazioni della metropolitana: ma su posti di lavoro visibili, in grandi e piccole fabbriche dai nomi noti e pubblicizzati. Quelle situazioni che i nostri enormi, potenti, ricchi sindacati dovrebbero da anni aver "regolarizzato". Sono questi del lavoro nero e sottopagato, decentrato e pericoloso, gli ultimi italiani suggeriti da queste letture: italiani, italianissimi; visti da vicino, talmente da vicino che quasi non si vedono). L'arena gladiatoria Il posto dell'occulto tra chi ci governa Luigi Robbio "Le bombe di Milano ... hanno offerto ... uno spaccato ricchissimo della trama di potere della società italiana, di che istitizioni e · di che uomini è fatta. Non per la scoperta dell'uso vigliacco dell'assassinio da parte della classe dominante, che non è una scoperta per nessuno, ma per il modo in cui su questo episodio si sono misurate e smascherate tutte le componenti istituzionali di quella società, dal Parlamento della 'Repubblica ai partiti, dalla polizia alla magistratura, dai giornalisti al sottobosco delle spie, dei provocatori, degli agenti segreti, dei fascisti, degli aguzzini ufficiali" 1 • Così scriveva nel luglio 1970 quell'Adriano Sofri sul cui capo pesa ora una condanna a 22 anni. Ed aggiungeva:"Qualcuno ci ha rimproverato di aver troppo insistito su questo; il nostro limite réale è il contrario, di non aver saputo mettere al centro della nostra attività di massa... la denun8 ,, eia e la mobilitazione su un episodio così esemplare" 2 • Dopo vent'anni potremmo ripetere, pari pari, quelle parole, con qualche elemento di cognizione in più. Forse, oggi, le depureremmo di alcuni toni troppo enfatici (gli "aguzzini", !'"uso vigliacco") - peraltro non ingiustificati - ed eviteremo di abbandonarci a quella sorta di fatalismo rivoluzionario secondo cui i crimini della classe dirigente "non sono una sorpresa per nessuno", ma nello stesso tempo dovremmo.1nasprire i termini dell'analisi: parlare di "trama di potere" e di "episodio esemplare" ormai non basta evidentemente più. Le rivelazioni sull'operazione Gladio non aggiungono infatti molto a quello che avevamo intuito, dedotto, temuto, e, in definitiva, saputo. Permettono però di precisarne meglio i contorni, sia per quel che riguarda il passato, sia per quel che riguarda il presente. Il passato Possiamo ormai affermare con sicurezza che in Italia, nel corso degli anni Cinquanta, si è costituito un governo occulto composto da un potente quadrilatero: da un lato i rappresentanti della politica estera americana e alcuni tra i più importanti dirigenti della Dc (i nuovi padroni), dall'altro gruppi fascisti e
parli delle gerarchie militari (il vecchio regime). Parlare cli "governo" non signil"ica ipotizzare un unico centro di potere o un unico grande compiono. Si può piuLLosLoimmaginare un sistema variabile di interazioni che, con l'aiuto di alcuni "imprenditori souerrnnei", ha tenuto legate fra di loro componenti che perseguivm10 obiettivi non sempre ciel tullo coincidenti (con tempi e modalitù diverse), ma che avev~inocomunque bisogno di appoggiarsi le une alle altre. · Questo sistema di relazioni occulte si è dimostrato, nel tempo, particolarmente flessibile e adattabile alle circostanze. Nato - almeno ufficialmente-per far fronte a un 'invasione delle truppe del patto di Varsavia, si è prontamente riconvertito negli anni Cinquanta contro il principale nemico interno - il Partito com unista; ha funzionato egregiamente per imbrigliare, con minacce armate, le potenzialità modernizzanti e riformiste del centrosinistra; si è scatenato negli anni Settanta per fermare il più grande processo di mobilitazione di massa e di presa di coscienza collettiva che sia avvenuto in Italia nell'ultimo secolo. Probabilmente, sottovalutandone le reazioni. Io non ho mai creduto all'esistenza di un'unica e consapevole strategia della tensione diretta a una stabilizzazione autoritaria e conservatrice. Penso piuttosto a una serie di reazioni semi-automatiche di vari gruppi e apparati, che si sono poi coperti a vicenda in una rete di crescenti· complicità e ricatti, al cui centro non potevano non esserci - come del resto nei due decenni precedenti - quei dirigenti democristiani che soli potevano garantire una qualche legittimità politica (la ragione di stato) a una serie di iniziative ai margini della legalità o addirittura apertamente criminali. Ma tale rete era occulta solo nei suoi aspetti concreti e specifici. Nella sue linee generali era fondamentalmente conoscibili mediante l'analisi e l'induzione. Chiunque si muovesse allora nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze ne ipotizzava l' esistenza e ne teneva conto. La sua "invisibilità" ufficiale ne accresceva, agli occhi dei militari, la potenza e la compattezza. Lo stesso Sim (Stato imperialista delle multinazionali) delle Brigate Rosse non era che la proiezione, un po' maniacale, di ciò che effettivamente esisteva ed era generalmente percepito. Fatto sta che fino ali' 11 dicembre 1969 (fino a quando cioè il governo occulto non si era ancora rivelato in tutta la sua atrocità) nessuno nel movimento aveva mai seriamente pensato a una "via militare". Dopo di allora, questa divenne, per alcuni, il pensiero dominante. Se guardiamo con gli occhi di oggi ali' organizzazione che i fondatori delle Brigate Rosse cominciarono a mettere in piedi alla fine del 1970, non può non stupire la sua straordinaria somiglianza con quella, già esistente da decenni, dell'operazione Gladio: un calco perfetto, se non fosse per il carattere artigianale e la povertà di risorse dell'organizzazione brigatista. La rivoluzione cominciò a prendere la forma assunta dall'avversario. Si cercò di rispondere al segreto con il segreto, alle armi con le armi, ali' organizzazione clandestina con l'organizzazione clandestina, al governo occulto con la rivoluzione occulta.Si sviluppò insomma un processo di gladizzazione di alcuni settori del movimento. molti commentatori si sono soffermati sulle caute ammissioni fatte da Moro, nelle carte di via Monte Nevoso, sulle strategie anti -guerriglia predisposte dalla Nato. Ma l'elemento più rilevante non sta nella risposta;sta nelle insistenti domande delle Brigate Rosse su questo punto: chiedevano dell'antiguerriglia perché questa era la loro ragion d'essere e la loro ossessione (che noi oggi s,1ppiamonon del Lulloirrealistica). Ecl era del resto l'ossessione (ragionevole, razionale) di Feltrinelli, di Lanliex-partigiani, cli molli di noi. Con questo non voglio assolutamente giustificare il terrorismo. Anzi la sua specularità rispetto ai complotti gladiatori ne . IL CONTESTO Foto Teom/G. Neri. accresce, ai nostri occhi, la stupidità strategica e l'aberrazione umana (anche se i gladiatori di sinistra non si spinsero mai - bisogna ricordarlo - fino alla'strage degli innocenti). Semplicemente non si può ignorare la genesi. Non dobbiamo stupirci se in quelle condizioni alcune frange del movimento si misero sullo stesso terreno del governo occulto; dobbiamo piuttosto stupirci del fatto che la stragrande maggioranza dei militanti non li abbiamo affatto seguiti su quella strada. E comunque nell'ultimo decennio gli ex-militanti dei movimenti di sinistra (terroristi e non) hanno scavato nella loro storia, attraverso un processo di critica sofferto e profondo (anche, non abbiamo difficoltà ad ammetterlo, sotto il peso della sconfitta). Nulla di simile è avvenuto dall'altr!i parte. Ci è addirittura capitato di sentire un ex sottosegretario alla difesa, diventato poi presidente della repubblica, che rivendica come un merito- non si sa se per incoscienza o per arroganza - l'aver contribuito all'organizzazione clandestina dei gladiatori. E ci è dispiaciuto che uno dei pochi dirigenti dignitosi della Dc, l'ex ministro Martinazzoli, osasse dichiarare: "È demenziale solo pensare di poter implicare la Dc in tutto questo (la strategia della tensione, · 11clr).Noi abbiamo avuto i nostri morti, basta ricordare Moro"3 • Martinazzoli dovrebbe sapere che se la· Dc non fosse stata implicata, Moro non sarebbe stato rapito e ucciso. Il presente Le condizioni che avevano fatto nascere e rigenerare il governo occulto non esistono più. La guerra è finita, per estinzione dell'avversario. Il più grande partito comunista dell'occidente è declinato e ha cambiato nome. La sfida dei movimenti è un ricordo del passato. E del resto, rivelazioni fino a poco tempo fa 9
IL CONTESTO impensabili, ora vengono fatte. E tuttavia non dovremmo commettere l'errore di credere che gli effetti della rete occulta si siano esauriti. Chi governa oggi l'Italia è il diretto erede di quella esperienza. Anzi, governa proprio in quanto diretto erede di quella esperienza. Non vogliamo dire con questo che l'unica legittimazione dçll'attuale gruppo di potere sia quella di aver fermato i movimenti degli anni Settanta autorizzando o coprendo stragi. Indubbiamente esso ha rinnovato la sua legittimità anche con altre risorse, più o meno nobili. Ma la sua partecipazione alla rete occulta ne costituisce una componente essenziale e imprescindibile. La trama di potere che Sofri denùnciava nel 1970 è fondamentalmente ancora lì. Ne abbiamo respirato l'aria il giorno della sentenza del processo Calabresi. La avvertiamo nelle stanze del palazzo ogni volta che si manifesta qualche intoppo o qualche crisi.La vecchia trama riaffiora nei rapporti tra le forze politiche sotto forma di ricatti e di complicità. È il pane quotidiano delle relazioni interne alla Dc. È uno degli assi portanti di quel patto di regime che si è costituito tra Craxi e Andreotti. Da questo punto di vista è stato un capolavoro far firmare· al presidente del consiglio Craxi quel foglio che comunica va vagamente l' esistenza di un servizio parallelo. Così il Psi, che aveva recentemente mostrato qualche velleità autonomistica, è ricacciato- tramite la complicità - in una posizione subalterna. Il patto di regime riprende vigore. I vecchi complottatori, liberati da una "piena confessione", vestono ora i panni delle vittime. Distribuiscono accuse di "brigatismo" a tutti coloro che non si accontentano delle versioni ufficiali: ai giudici veneziani, a Occhetto, ai giornalisti di Samarcanda. Il riferimento all'antica contrapposizione (ormai anacronistica) stato-brigate rosse, non è casuale. La società italiana è ormai lontana arini luce da quelle esperienze. L'assetto del potere no. Esso continua a fondarsi in gran parte sulla cruenta vittoria degli anni Settanta. È lì - in quelle macerie - che dobbiamo ancora frugare se vogliamo capire le logiche di chi ci governa. Note 1) Sitlf,azionepoliticageneralee i nostricompiti, Relazione al convegno nazionale di Lotta continua, Torino, 25 e 26 luglio 1970, in "Comunismo-Materiali di lavoro di Lotta continua", n. 1, autunno 1970, p. 41. 2) Ibidem. 3) Dichiarazione riportata da" La Stampa", 7 novembre 1990. Impegnoe professionalità nel giornalismo. Generazionia confronto:K.S. Karoldall'Urss, LuciaAnnunziatadal Salvador· terpretazione, vuol dire semplicità nell 'esternare i propri sentimenti senza nasconderli dietro una professionale aridità. Nel Salvador, Lucia Annunziata ci presenta un quadro assai più composito e articolato di quello cui eravamo abituati, tanto nel campo del governo e delle squadre della morte che in quello della guerriglia e dei movimenti rivoluzionari, per non par lare della presenza americana, dell'ambasciata, dei berretti verdi, degli analisti della Cia, degli ufficiali della guerra psicologica o di controinsorgenza. In ognuno di questi tre campi (il governo, la rivoluzione, i consiglieri americani) esistono strategie differenti, si fronteggiano e si intrecciano opzioni diverse, che si precisano, rafforzano o indeboliscono nel mentre procede la contrapposizione ai nemici e la ricerca della neutralità o dell 'appoggio degli alleati. L'attenzione·al conflitto, che rimane armato ma sempre più si fa politico e diplomatico, non impedisce di gettare sguardi attenti e partecipi alla vita del popolo salvadoregno, vittima di violenze diverse e non omologabili, reticente 9 imprudente nell'accodarsi all'uno o all'altro dei combattenti. Marcello Flores Ci sono cose che uniscono le generazioni. E cose che le separano. L'impegno le unisce e le separa al tempo stesso, come unisce e separa donne e uomini di una stessa generazione. Mi è venuto naturale pensare all'impegno e al confronto tra generazioni leggendo due libri, usciti contemporaneamente presso lo stesso editore (Feltrinelli), di due "giornalisti" fuori dall'ordinario: Bassa intensità di Lucia Annunziata e Due anni di terremoto politico di Karol S. Karol. L'argomento di questi due agili volumetti, a metà tra il reportage e l'autobiografia, è già sufficiente a incuriosire e a porre il lettore in una situazione di particolare attenzione•. n Salvador e l'Unione Sovietica sono simboli diversi e contrapposti, concretissimi e imbarazzanti, di quella che è stata un'identità di sinistra (comunista?rivoluzionaria?) fino anon molti anni fa sufficientemente organica e forte. Lucia Annunziata racconta la guerra civile salvadoregna e la presenza americana a fianco del governo durante gli anni Ottanta, Karol le vicende della perestrojka nell'ultimo biennio, anche se i continui riferimenti ci offrono un quadro esauriente dell'intero ultimo quinquennio. Nel primo caso, quello che appariva un classicò scontro tra rivoluzione e controrivoluzione si trasforma in un conflitto più moderno, dove tutte le parti in campo cercano di inventarsi una politica più nuova ed efficace. Nel secondo la rivoluzione dall'alto gorbacioviana appare in difficoltà di fronte alla crescente influenza del binomio anarchia/corruzione sia nel mondo politico che nella società civile, su uno sfondo di dilagante penuria. 10 Pur con alle spalle uh' esperienza assai diversa, la passione civile e politica fa tutt'uno, sia in Annunziata che in Karol, con una costante attenzione alla realtà, colta nella sua complessità ma trnsmessaci con sintetica abilità giornalistica. Non è comunque sulle capacità professionali dei due autori che vorrei insistere, ma su come esse amplifichino e diano corpo e robustezza al loro particolare tipo di impegno, un impegno politico che appare alquanto sbiadito in questo decennio ormai terminato. È un impegno, il loro, che si coniuga con una partecipazione umana alle sofferenze e alle iHgiustizie, e che non impedisce giudizi controcorrente e analisi sostanziate di una approfondita conoscenza storica: Se dovessi riassumere con un termine l'impegno di Annunziata e di Karol, utilizzerei senza dubbio quello di ingenuità. Non suggerisco questa categoria perridimensionare in alcun modo la loro capacità di comprensione e giudizio, né per connotare di passatismo un po' sentimentale la passione che questi due giornalisti prolungano dal decennio (o dai decenni, nel caso di Karol) precedente. Ingenuità, in questo caso, vale come contrario di cinismo, che sembr!l essere stato uno dei valori più cari ai giornalisti degli anni Ottanta. Ingenuità vuol dire candore nell'ascoltare e dare credito a chi si intervista e si ùtilizza come fonte privilegiata, vuol dire stupore se la realtà appare diversa dagli stereotipi e dai pregiudizi correnti, vuol dire sincerità nel dar conto delle proprie convinzioni e valori, vuol dire schiettezza nel presentare tutto· ciò che potrebbe mettere in discussione la propria inAntico conoscitore della realtà sovietica, Karol racconta la vita quotidiana della gente attraverso incontri casuali o riallacciate amicizie, e ne fa lo specchio che continuamente riflette gli umori e le scelte del gruppo gorbacioviano, i timori e le resistenze dell'apparato del partito e della burocrazia statale, le forzature tra il lungimirante e il demagogico dei radicali, i paradossi e gli estremismi verbali dell 'intellighenzia. Come in un caleidoscopio che muta continuamente il proprio paesaggio pur mantenendo pressoché immutate le figure e i · colori che ne sono alla base, la storia sovietica degli ultimi anni appare drammaticamente appe~a a quei medesimi tre-quattro problemi di fondo che avevano spinto Gorbaciov ad aprire la crisi per anticiparla e risolverla. Il paradosso apparente di una realtà sociale ed economica che peggiora costantemente e sensibilmente mentre gli spazi di democrazia si allargano e si
consolidano sembra capovolgere l'esperienza storica della Nep, che bloccò definitivamente una possibile democratizzazione quando l'emergenza sociale ed economica pareva conoscere una lunga boccata d'aria. La ingenuità che caratterizza l'impegno di Annunziata e Karol, e che arricchisce in modo così considerevole il loro racconto, manifesta una differenza profonda, che non incide sul valore delle loro analisi ma evidenziale diverse strade e la diversa prospettiva che può oggi accompagnare una scelta di impegno. Una differenza forse legata a esperienze generazionali molto dissimili, avvenute in contesti storici troppo caratterizzati e formativi, che l'attuale crisi epocale tende a divaricare e a lasciare accomunate solo nell'intensità (in questi casi una alta intensità). Nel tentativo di comprendere e di non farsi fuorviare da pregiudizi consolidati, Annunziata concede forse troppo credito all'interlocutore che accompagna l'intera sua ricòstruzione, il dilpo~atico americano David Reed. Non credito personale, né morale, e neppure politico, ma storico. L'ingenuità, in questo senso, non è quella di sottolineare troppo positivamente la strategia della controinsorgenza che Reed éercà di attuare in Salvador, o di esagerarne .la distanza politica ed etica con gli Americani incliru ad appoggiare ancoragli squadroru della morte. L'ingenuità consiste nel privilegiare, e quasi assolutizzare, una ottica della differenza, più per esorcizzare il proprio passato manicheismo che per effettive necessità di analisi. Il Reed disegnato da Annunziata appare più che credibile e reale; meno la interpretazione un po' troppo idilliaca della teoria della controinsorgenza o delle buone intenzioru di Kennedy. Opposta, invece, l'ingenuità di Karol, che tenta con ostinazi_one di ridurre la complessa dialettica sociale e politica russa ai modelli teorico-ideali che starebbero dietro alle diverse forze. Anche qui si fronteggiano tre campi, più astratti di quelli analizzati in Salvador da Annunziata (il mercato e cioè il capitalismo, il socialismo di stato autoritariò e burocratico, un socialismo autentico capace di coruugare stato di diritto e pianificazione democratica). Le ragioni di chi non condivide la sua fiducia nelle possibilità di una fuoriuscita democratica ma ancora socialista dalla crisi attuale appaiono a Karol il frutto di una crescente fascinazione per il mercato da cui sembrano progressivamente colpiti molti degli iniziali sosteIÙtori di Gorbaciov. L'ingenuità, in questo caso, non consiste certo,nel sottolineare i pericoli e i rischi inerenti a una più rapida fuoriuscita dal sistema esis tente o a una illusione sui caratteri del paradiso occidentale. Riguarda, invece, il non considerare questa illusione come un prodotto - un tragico prodotto materiale - del socialismo stesso, alla stregua della stagnazione, del partito unico e delle code ai negozi. E credere quindi che possa avere un senso, per !'Umane Sovietica, ipotizzare e proporre un socialismo senza virgolette. • La passione politica e giornalistica di Annunziata e Karol, con i suoi tratti comuni di impegno e di curiosità, di attenzione e di lucidità, sembra a un certo punto divaricarsi: verso il bisogno di nuove convinzioni che facciano piazza pulita di antichi settarismi nel primo caso; verso il timore che si buttino alle ortiche vecchie credenze ancora utili nel secondo. Per l'una perorando la fine dell'utopia e aderendo senza riserve a un'ideologia pragmatista; per l'altro riproponendo la vera utopia e restando integri nel rifuto della nuova sirena della fine delle ideologie. Nel primo caso il rischio è che si comprenda troppo per poter giudicare, che l'ottica della differenza possa sconfinare in un eccesso di giustificazione. Nel secondo che si continui a giudicare senza tener conto di quanto si è compreso, cercando di adattare la realtà ai modelli invece che viceversa. Una conclusione molto personale di questa IL CONTESTO _lettura incrociata può essere così formulata: l'impegno, per fortuna, non è morto, e quando è operante getta sui fatti una luce che è insieme etica e conoscitiva; ogni tipo di impegno ha bisogno di qualche sistema di riferimento, sia esso politico o filosofico o morale; nell'attuale crisi è possibile - ed anche auspicabile e utile - che coesistano diverse forme di impegno, l'una proiettata un po' confusamente verso il futuro, l'altra lucidamente avvinghiata a un passato ben selezionato e circoscritto; per motivi più che altro generazionali (in senso culturale e politico) rIÙ sento assai più attratto dalla prima ipotesi, anche se non posso fare a meno di guardare con simpatia alla seconda. Sotto: Veterani di guerra moscoviti in una foto di RobertoKoch (Contrasto). In basso: Solvador 1983, una foto di Jacques Pavlovsky(Sygma/G.Neri). 11
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