TEATRO Foto di Alain Volut. della sua definizione. Mutuando i termini dalla sociologia, è come se, 4 ,prima dell'esercizio del ruolo (di spettatore) si delineasse l'equivalente di uno status, di una posizione che lo autorizza e lo caratterizza. I regali possono essere più, nel senso che il regalo si può spiegare dividendolo per tre. Unprimo regalo è l' aJtesa, ed è un atteggiamento che ha a che fare co.l tempo: si tratta di avere delle aspettative, delle motivazioni tanto leggere quanto oscure; si tratta di regalare del tempo e di attendere qualcosa di convincente,. di stimolante, un ingresso qualunque, un avvio comunque; si tratta di mantenere l'attesa come regalo per tutto il tempo dello spettacolo, e magari si avrà la sensazione che possa durare anche più a lungo, che la si è di fatto ritagliata da un'attesa più grande e continua, che noi abbiamo dentro sempre e che non è pazienza, JJ,Onè speranza, non ha necessità di nessuna conclusione; di nessuna risolutiva catarsi. Non si deve confoiidere l'attesa con la suspence, con le sospensioni e pause e ansie che lo spettacolo detta - più o meno felicemente - come sua proposta. L'attesa dello spettatore è un suo regalo, una sua attiva di<:posizione che non è arrendevole.disponibilità. Un secondo regalo è l' inJeresse; e riguarda una apertura di credito verso i contenuti, verso il "messaggio", verso "cosa succede in scena"; un · regalo o una parte di regalo un po' più vicina al razionale, ma anch'essa valida come attitudine costante, ritagliata dalla propria ininterrotta dose e capacità• di curiosità. Così l'interesse - come regalo - comincia senz'altro con il dòveredi dotarsi del massimo di informazioni (sul testo, . sul teatro, sugli attori che andrà a vedere), ma non si chiude dopo la sensazione di aver capito, non si confonde con l'apprendimento della trama, con il montaggio che si è creduto di afferrare - o che ancora tma volta bene o male gli attori, autori, registi hanno creduto di darci. L'interesse dello spettatore è un suo regalo, un' atteggi amento intellettuale che non è intelligenza. Un terzo regalo è la relazione, la propria parte di cammino emotivo, con cui si corrisponde alla parte dell'attore che si espone in scena, il tragitto dello sguardo che sposa il farsi vedere dell'attore e dello spettacolo, ma anche la quota di offerta emotiva e amicale che si regala per· realizzare una qualunque corrispondenza. Anch'essa è ritagliata da un continuum personale che viene da prima e che va oltre l'occasione dello spettacolo teatrale; anch'essa non termina in nessun abbraccio e non si esaurisce nel raro ma sempre possibile (e augurabile) orgasmo. La relazione prescinde dal suo stesso consumo e dal rischio di un suo cattivoinvestimento: è un regalo dello spettatore, un mettere in gioco il sentimento sem.a impegnare il cuore. 90 Il regalo forse si può diversamente commentare e scompai:ti'.e, ma senza unlegalo non si partecipa fisicamente a un incontro, non c1s1sente vivi e partecipi dentro un concreto "avvenimento"; e, nella misura in cui il teatro è l'occasione di una reale anche se contingente relazione, il regalo -è una obbligazione, una formale necessità. Ci definisce "ospiti»: termine che, anche se ormai fuori dalla antica sacralità, ancora può significarci come accidentali e civili (laici) parenti. Di questa 0ospitalità" gli altri generi di spettatori e di spettacoli possono fame a meno_(anche se è comunque un peccato); il teatro no. O almeno non la sua differenza, Dopo si può considerare il "lavoro", e dalla parte stiamo già entrando nell'arte dello spettatore, per poca e povera arte che sia. Il primo lavoro è interagire con lo spettacolo, mentre acca_de l_a costruzione di un proprio "spettacolo mentale": è sapere e volere amcch1re gli stessi propri abbandoni, lasciare e guidare le impressi?ni, ma anche le associazioni e le divagazioni che si sommano nel proprm personale e frammentario "montaggio". Quel lavoro comprende la percentuale faticosa, la parte obbligatoria e talvolta anche fastidiosa della fruizione. "Lavoro" è più precisamente quell'attività chè la complica, che la sposta verso una complessità che sembra: tradirne il suono, se non il senso. Fruizione sa di scorrevolezza, di spontaneità superficiale e al limite del disimpegno, di liberazione più che di libertà. Ma nitti sarmo che in quel momento avviene un lavoro: forse lo spettatore di teatro (rispetto al cinema, alla Tv ...) deve esserne un po' più consapevole, deve agirlo con una maggiore presenza, con una lieve sottolineatura di sé come soggetto delia propria azione. Certo senza perdere l'occasione del sogno, senza tradire la piacevolezza del gioco, senza entrare nel tormentone di un 'autoanalisi tanto pignola quanto noiosa; quando dovesse accadergli questo, non vuol dire che lo spettatore ha sbagliato lavoro, ma che lo spettacolo non è adatto per il-suo "lavoro". Non funziona. Non gli piace. , . Un secondo lavoro è in un certo senso quello che, dopo il teatro, ci si porta a casa. Risponde al compito e alla responsabilità di essere noi- gli spettatori- la continuazione dello spettacolo, L'unica forma di continuazione e di sopravvivenza, ne) caso del teatro, di un evento per certi versi e quote assolutamente irripetibile. · È un lavoro che si può chiamare di "lettura", quando riguarda e comprende l'eco e il ricòrdo e il gust9 e il giudizio che si dà su quanto si è visto (e pensato). È un lavoro che si può definire di "critica", quando - più tardi o più in profondità L si considerano e si usano, anche scollegati e diversamente associati o distratti, gli elementi presi o appresi in teatro; quando si prosegue, anche impercettibilmente ma lungamente, a metabolizzarli e tradurli - trasmetterli - nella realtà quotidiana. Più e meglio quando si rimettono in circolazione e si verificano nella vita culturale e personale e sociale, quando - attraverso gli spettatori - ridiventano ingredienti della discussione, de\Ja ricerca; della "critica" più ampia e più dispersa, ma non per questo più epidermica. Anzi, dalla superficialità del teatro, si riconsegnano alle profondità e alle generalità a cui lo stesso teatro si riferisce e di cui si alimenta. La lettura e la riconsegna critica sono "Ìavoro" dello spettatore, anch'essi nella misura in cui si avvertono come utili compiti: e non per q1,1estod. ebbono essere seriosamente e specialisticamente eseguiti. Il lavoro dello spettatore (proprio come la sua "arte") è roba leggera, anche se non irrespons~bile. Il regalo in definitiva è molto più impegnativo: più sconosciuto o dimenticato e dunque oggi forse più importate. Anche per questo non si debbono correre equivoci. Né tantomeno cercarli con gioia, come spesso avviene. Fraintendere il "lavoro" infatti ci può elevare al rango (e alla sensazione di potere) dei "critici", stavolta nel senso giornalistico dei recensori e dei giudici dello spettacolo, del suo valore come del suo rapporto con 1 'aura, con la moda. Fraintendere il "regalo" è ancora peggio: ci fa passare dal rischio di essere "cliente" a quello di essere "padrone" dello spettacolo,_ o meglio patrono (an~h~ questo è possibile e generalizzabile), quando al posto del regalo c1 s1 espone in benevolenza o in beneficenza e si raggiunge una pacificata e assoluta complicità preventiva. • • Se è complicato imparare a fare lo spettatore teatrale, è lltJCOrapiù difficile riuscire a mantenersi tale. Ed è inutile dire che, usciti da quel .ruolo, dalla sua parte e arte, può crescere la nostra competenza. ed importanza, ma il gusto di vedere uno spettacolo è perso irrimediabilmente. Come i Critici e i Padroni del teatro sarmo - e dimostrano - da sempre.
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