MEMORIA BENIAMINO MAGGIO MORTEDI UN COMICO Stefano De Motteis Beniamino, Rosalia e Pupella Maggio in Era'no sera 'e...Moggio!] 9821. Se si volesse realizzare il monumento ali' eroe ignoto, alle glorie igl)orate e vinte, e se anzi si volesse final.mente erigere la statua ali' attore ignoto, un tale monumento dovrebbe venir collocato aNapoli, nella terra che maggiormente ha offerto talenti semisconosciuti. Tale statua potrebbe avere le sembianze di un attore che ne incarna tanti e moltissimi ne rappresenta: uno dei più grandi comici italiani, un attore recentemente scomparso e purtroppo quasi ignorato fuori dalla sua patria, Beniamino Maggio. Era un ometto piccolo piccolo, un comico "nano", fisso nella sua immobilità, con una gamba rigida guadagnata in un giovanile salto aérobatico venuto male. I tempi rallentati come quelli di un pupa7zo a molla cui stia per finire la corda: una marionetta costruita con una grande attenzione, una grande precisione, una straordinaria sapienza; educata nelle tante forme di spettacolo offerte dalla cultura partenopea dialettale e marginale. Cantante, macclùettista, erede di una grande famiglia di attori, con i fratelli e le sorelle faceva parte di una generazione teatrale che non ha avuto prosecutori, ma che è rimasta mitica nel ricorçlo ~ più o·meno nostalgico e confinato tra le estreme derivevivianesche del pane, sale, olio e basilicomangiato in piedi sulla porta di casae che è stata a diretto contatto con il vicolo che, per fortuna, l'ha vaccinata salvo rari casi dal fascino piccolo borghese del teatro d'arte riscattato, scarpettiano o eduardiano che fosse. Beniamino, soprattvtto, è stato l' attor comico per eccellenza; ha frequentato la grande e la piccola riv_ista senza distinzioni di sorta, fer 88 TEATRO toccare infine il massimo della sintonia con il pubblico napoletano più povero, assieme a Trottolino e a Liliana, in un travolgente trio che ha imperato nella sceneggiata del napoletano Teatro 2000. Qui si poteva vedere la "sceneggiata d'arte", un ossimoro tanto amato ?a Beniamino che con queste parole voleva mtendere quelle sceneggiate storiche contaminate dalla cronaca, dal sociale e dai grandi eventi che hanno cambiato la "civiltà partenopea", scritte tra le due guerre e nel periodo della resistenza. Emigrazione, difficoltà di vita, soprusi e prepoten'za - Beniamino attraversava questi dram- · malici temi della sceneggiata come un refolo di aria fresca nella calura estiva, come una pausa rinfrescante per lo spettatore che andava a specchiarsi in teatro, fra tragedie per lui quotidiane, e trovava con l'attore un modo di imparare a distaccarsi dalle sciagure e acquisire ùno sguardo disincantato. Già negli anni Sessanta- almeno da quando io lo ricordo- Beniamino era un'eccezione. Aveva come abbandonato la macchietta e la caratterizzazione, superato il geniale artigianato, e si muoveva completamente a su_oagio, come al di sopra di tutti, lo sguardo estasiato eh~ guardava incantato la vita da spettatorestralun~- to. La sua ricerca della comicità l'aveva provvisto di una sapienza e di .una conoscenza tali da condurlo a una nuova innocenza, a una purezza usata come strumento per rovistare nel mondo e rovesciarlo. Lungo questa strada,,aveva acquisito le fattezze espressive più di un Keaton che di un Chaplin. Vederlo truccarsi era una lezione d'arteedi maestria: evidenziava l'immobilità, ingigantiva le sopracciglia, sottolineava gli occhi per dare forza al gioco di sguardi, accentuando la fossetta sul mento. La sua immobilità era ormai azione, ogni minimo gesto era segno teatrale, una irresistibile sottolineatura critica propria del grande comico. Il suo genio stava nell' a~trazione, nella scomposizione delle situazioni, nella loro riduzione agli elementi essenziali: e proprio l'astrazioneera il modo di uscire dal ruolo per mostrare e rappresentare l'altra faccia della vita. Un'immobilità, quindi, attiva e produttiva, che era anche una negazione dcli' esagerato gesticolare, il contrario di quell'anima napoletana che incarnavano e incarnano tuttora le sorelle così bene, e che rappresenta i due modi prioritari di essere attori: uno, quello di Rosalia, viscerale e umorale fmo all'estremo; l'altro, quello di Pupella, sentimental-nostalgico, che tanto si è lasciato contaminare dalla Napoli di stampo eduardiano. Il varietà, le pratiche "basse" dell' avanspettacolo, il comico, ma soprattutto gli anni passati nella sceneggiata al ritmo di un testo nuovo a settimana e di tre spet_tacoli al giorno, harmo formato un artista che nel momento stesso in cui ha maturato la pensione si è ritirato dalle scene, continuando a vivere assieme alla famiglia nell'appartamento di un· caseggiato popolare al Vomero. L'arte è un mestiere come tanti altri e non c'è gloria né successo che possa ripagare dalla fatica che richiede. Con la fme degli anni Settanta è tornato in scena, fòrse benevolmente costretto dalla straordinaria Rosalia, per una serie di spettacoli in un minuscolo teatrino di Milano: è stata una sorta di rinascita della compagnia a gestione familiare, perché ogni settimana andava in scena una nuova farsa tratta da Petito o da Scarpetta, ma che poi diventava tutt'altro, come accadde per il plurireplicato e applauditissimo Scampagnata dei tre disperali. (Numerosi gli _spettatori d'eccezione, dall'abitué Carlo Ceccht a Edoarda Masi fino aBemard Oort, che aveva promesso un articolo, non so se mai scritto, ma di cui aveva già pensato il titolo: Da Benjamin a Beniamino). Proprio da questa serie di spettacoli è nata l'idea di quella Sera 'e Maggio che poi ha avuto tanto successo e che ha portato sulle scene Rosalia, Pupella e Beniamino insieme forse per Ili prima volta dopo tanti anni: un 'antologia dei loro numeri migliori, delle gag e delle canzoni, una carrellata sulla guerra e sul dopoguerra, uno spettacolo ottimo se si esclude l'eccesso di una regia dalla mano troppo pesante che, forse per incertezza, aveva ,tentato di "garantirsi" dando maggior spazio a Pupella alle prese con testi che le offrivano la possibilità di esibirsi nel suo prepotente eduardismo. Passati gl_i anni dei vecchi e nuovi comici; dei festivalini alla ricerca di scoop, di mode teatrali e televisive sulle famiglie d'arte, Beniamino era tornato nell'ombra, a riposarsi dalla stanchezza accumulata e ormai cronica. ll':•• . lll/JiI: [ dal20novembreal 16dicembre1990 Unaproduzione TeatrodelBuratto CompagniaA.T.M. (AziendaTeatraleMilanese) ::::; LA FESTA ll DEL CAVALLO diAntonioPorta regia:AlbertoeGianniBuscaglia il!!!! scenografia:A.Mastromattei ···-· costumi:F.Piatti musiche:T.Leddi Responsabiledi produzione: F.Spadavecchia Allestimentoscenico delLaboratorioTeatrodelBuratto. I È validol'abbonamentoInvitoaTeatro :.!!!Dnll\!!!~
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