Linea d'ombra - anno VIII - n. 54 - novembre 1990

STORIE/GORRET generazione, la nostra, che l'America aveva molto amato, dalla grande delusione provata, che nel nostro marxismo scoperto da poco e dunque estremizzato, ingenuamente manicheo, generalizzammo a ogni forma d'arte e di rappresentazione della società e delle sue contraddizioni. Il cinema, in particolare, tutto il cinema ci apparve come una grande, immensa mistificazione. Ricordo penose dispute con Salinas, il regista della llora de /os Hornos, impegnato ad aprire un varco nel nostro manicheismo disperatamente sordo; e più tardi al controfestival di Venezia, con Pasolini. Ricordo l'accoramento della sua voce, la violenza verbale delle nostre contestazioni. Pure in queste assurde chiusure il rapporto col cinema ambivalente rimase. Continuavo a occuparmene e ad andarci e persino a frequentare i festival, tanto importante era stato nella mia formazione e tanta gratitudine inconfessata allora gli portavo. Ma tutto questo venne dopo, all'epoca in cui ero andato via dal paese per l 'Universitàe per trasformare me stesso una volta e per sempre. Ma sarà poi vero? Negli ultimi tempi, mi pare a volte che alcuni tratti vennero fissati una volta per tutte molto tempo prima e che, nei momenti meno sorvegliati e felici, tornino a farsi sentire prepotentemente, sorprendendomi là dove ho vergogna di essere sorpreso. GRANDE È LA NOSTRA FORTUNA Daniele Gorret Partire prima ancora che tutte le cose posson dire presente alla Iuce, e ancora la strada ha le sue lunghe figure di buio: cerchi quadrati e piramidi nere a nasconder cespugli e piccoli fossi per come avessero voglia ancora di stare a dormire e non sentire i· rumori che intorno cominciano a fargli dispetto; partire cioè nelJ 'ora delJa gran decisione: tra il giorno che ha aspettato abbastanza nelJe stanze più basse del cielo e la notte che ormai si gira a guardare, giù, l'altra parte del mondo, i suoi mari e montagne e scivola via come soffiata dal vento da levante a Occidente. A Alfonso e Oreste piace quest'ora: per quello che dice e rivela un poco per volta del paesaggio e del cielo, per quello che ancora si tiene segreto, per l'aria leggera che ha, per le moltissime cose che sono e non sono, che sembran scherzare e far finta, apparire e sparire: che fanno pensare a qualcosa che si vuole annunciare di molto importante che deve accadere, e però ha paura di dire, e sta lì, a farsi solo ammirare e seminar di dubbi e pensieri gli occhi e il cervello. Han voglia di scrivere dentro il tempo e il paesaggio una giornata precisa e divisa come un chiaro e leggero racconto; e difatti Oreste lo dice a voce alta al compagno e al giorno bambino: - Vi faremo un regalo, montagne che dal fondo del sonno apparite a stropicciarvi le rughe e a schiarirvi il mantello_,strade che come lingue vi aprite pronte ad assaggiarci, e in fondo città che ancora non vedi ma sappiamo che sei tr_abuio e foschia, vi daremo in regalo questa storia di oggi come non fosse fatta di cose e di tempo che passa, di passi e di voci, di incontri e fatiche, ma invece tutta soltanto di parole allineate sui fogli: per· ogni cosa che di momento in momento ci circonda vicino e fa compagnia e scompare alle spalle ecco una frase, un punto, altri segni sulla pagina bianca; alla fine sarete senza più corpo e più peso diventati un pacco di fogli, un vero condensato racconto che si può aprire in qualsia~i posto scelto per voglia o per caso, e ripeterlo è come rifare la giornata quante volte si vuole, avariti o all'indietro, ba~ta àggiungerci forme e odori che ogni parola in quel punto rivuole, l'esatto gonfiarsi di ogni suono nelle cose che vuole tradurre; e anche noi così siamo due parole per mano qui dentro. È difatti per mano che Alfonso e Oreste camminano piano sulla strada e sul bordo che ha già un suo colore diverso perché è coperto di 80 polvere e terra e non è lucido e duro come l'asfalto che gli confina vicino: Alfonso col suo sacco alle spalle che pesa e lo tirerebbe un po' indietro se non facesse lo sforzo con tutta la schiena curvata in avanti e poggiata alla stampella e alla gamba, Oreste col carrettino legato alla sua carrozzella che in salita vorrebbe tornarsene a casa e invece in discesa lo spinge con voglia di far più veloce il viaggio. E sembra dare la forza la luna che sappiamo fa alzare le cose, un po' le succhia nella sua direzione, le attira se soltanto viene guardata dal ba~so con qualche sorriso e pensiero gentile come sanno i due amici per strada: che adesso la stanno fissando a ogni respiro e le parlano dentro in silenzio: luna, sei il nostro latte al mattino che beviamo a gran sorsi di fresco, stai con calma leggera a sbiadirti nel cielo, hai frizzi sottili che mandi qua giù, vogliamo fame provviste per resistere fin quando torniamo, ancora un po' stai a far luce nel primo quadro della nostra giornata. Mano mano la strada si sporca e restringe: e alla luce che scende a grandissime ondate oramai appaiono primi i bambini guardandoli al bordo e ridendo, qualcuno di loro raccogliendo piccolissime pietre le · spara ad Alfonso o a Oreste che devono alzare le mani sugli occhi e dire coraggio e andar più veloci; poi la gente che apre i portoni e negozi e comincia a segnarli col dito che sembra lungo da arrivare a toccarli, e sputare e gridare qualcosa coi pugrti che gli amici non sanno cosa vogliono dire; e le macchine che passando vicine sul bordo gli soffiano addosso, li spingono contro il muretto ridendo per questo gli autisti e suonando; alla fine le donne alla spesa, più arrabbiate di tutti, con la voglia di buttarli per terra e schiacciarli coi tacchi per vedere se sanno gridare e chiedere scusa di osare passare per lì. Così la giornata che cresce vuol dire fatica che aumenta, e ancora più for7.abisogna mandare ai muscoli e speranze alla testa per farli resistere e farli avanzare, pensando soltanto già quando saranno arrivati e fermati: Oreste dice ogni tanto forza va bene oppure è Alfonso che lo guarda facendo capire: non avere paura, riesco. La strada quando esce fuori il paese, fa più curve in salita e il carretto si fa un peso tre volte più grande come qualcuno lo avesse caricato di sassi a dispetto e il sudore scende come pioggia calda alle lenti di Alfonso: allora si parlano sempre dicendo la posizione più giusta, il peso dove deve spostarsi e pronti ad aiutarsi se nel caso sbandando uno anda%c finendo in centro alla strada oppure non vedendoci bene e sbattendo cadesse per terra in ginocchio o perdesse le cose portate. La nuvola fino adesso in riposo, alJa loro fatica si alza e gli vola davanti allungandosi a forma di dito di guanto, ancora più bianca e pulita, come segnasse la direzione che vuole seguire: dalla montagna alla grande pianura, dal torrente al fiume che lo prende con lui per portarselo senza fretta nel mare; la direzione che va bene per Alfonso e Oreste, è la stessa. - Adesso -Alfonso trova a questo pensiero la forza di voce - il racconto che stiamo scrivendo con le gambe e il sudore, con le nostre parole, con la fatica del peso, ha un momento di bellissima pausa, uno spazio di bianco sul foglio e sta, come fosse sceso in un piccolo lago, tra prati e tra boschi e le montagne a riflettersi dentro: un momento che è giorno già sulla strada e sul cielo ma non è ancora il caldo di maggio tra questi cespugli, l'ora più alta deve ancora arrivare; e subito dopo riprende: righe nere che avanzano calme e ciascuna porta qualche notizia con lei, è impaziente di dire qualcosa, costruire la storia e portarla in giro contenta, fra alti e fra bassi, fermata ogni tanto da virgole scese dal vento come aghi di pino e dai punti precisi per lasciar riprender riposo a chi scrive e chi legge. Ma ormai son portati in città che a ogni curva di strada si lascia apparire lin pezzo di più: tra il sole e la piccola nebbia, ecco agli occhi le sue punte più alte: campanili torri palazzi, le sue macchie più larghe: parchi piazze e la coda del fiume e i bracciali che la stringono e dividono inpezzi: i suoi ponti di pietra. Da adesso il viaggio è fatto cantando perché la fatica è leggera, la voglia e i pensieri leggeri son tanti, e quando dai

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