,, che ai piedi delle palme, accanto all'antica vera da pozzo, si svolgeva piena di tragedie quotidil!Jle al riparo da un'altra vita, di natura diversa t" ma {lltrettanto crudele, fuori del giardino. Per non parlare poi· delle piccole tragedie che avevano per teatro la classe, dove una sele1.ione ottusa, dura, alla rovescia, funzionava nonostante il nulla che come · premio era dato in cambio delle nostre inutili fatiche. La mia formazione la devo, forse, anche a quella scuola, ma sotto forma di resistenza alla meschinità degli esempi che ricevevo quotidianamente dai miei insegnanti. Così il mio carattere si formava. Pure li ricordo con affetto, mohi dei miei insegnanti, anch'essi relitti finiti come me in una scuola squalificata dove li nutriva il risentimento che cresceva loro dentro come un cancro. Eppure ci vuole altro per distruggere ambizioni e allegria nei ragazzi. Anche in quelle condizioni sognavo di scrivere libri, poesie, articoli di terza pagina ... Leggevo molto e ogni giorno, tranne che i libri di scuola. Le mie inesauribili fonti erano due collane Mondadori, le più economiche e a portata delle mie tasche e di quelle dei miei amici: i Libri del Pavone e la Biblioteca Moderna Mondadori. Anche qualche libro verde della Medusa, s'intende, ma questi libri erano rari tra quelli che possedevo. Anch'io avevo, come tutti, i miei periodi: gli americani (Faulkner, Steinbeck, Hemingway)principalmente; i russi, Dostoevskij, Tolstoj; gli italiani, Pratolini e, qualche anno dopo, Pavese e Pasolini. Moravia, anche allora il più famoso. Cosa capivo di questi autori, in che modo mi hanno formato, non lo so. Il senso mi rimane e la nostalgia dei pomeriggi estivi passati nella penombra della stanza, al riparo della calura estiva, leggendo Passaggio di frontiera. · La dépendance, per così dire, della scuola era così vicina-un poco più in giù nel vicolo - che noi dell'edificio principale sentivamo i campanelli per il cambio dell'ora e ce ne servivamo per i nostri cambi. Al cambio di mezzogiorno alcuni di noi, una decina per classe, si alzavano e facevano segno al professore, il quale, chissà perché, dal momento che la cosa si ripeteva per tutto l'anno, fingeva o realmente non capiva, poi si ravvisava e con un'aria risentita, commiserevole e complice insieme, dava il permesso con un cenno della testa. Uscivamo allora, Foto di FoscoMaraini (da Civiltàcontadina, ·Do Donalo l 980) STORIE/RUTIGLIANO attraversando l'altra classe, e dopo pochi passi su per il vicolo arrivavamo alla "scuola madre" che a quell'ora era tale non solo nello spirito ma anche nella funzione nutritiva della carne, come donatrice di cibo. La meta era la refezione scolastica, che il patronato scolastico elargiva ai più poveri tra noi. Consisteva in una co!azione al mattino, che io non riuscivo mai a fare perché la corriera con cui giungevo in città arrivava tardi, e in un pranzo di mezzogiorno. La provenienza dei cibi era quasi tutta americana, donata, suppongo, volendo svuotare i magazzini stracolmi per le necessità della guerra: Ma il cibo più americano di tutti era un formaggio giallo fuso con dentro 'la soia, un formaggino contenuto in bidoni di latta che avevano stampigliato sull'esterno uno stemma americano sormontato da due mani che si stringevano e una scritta che diceva: "Dono del popolo americano al popolo italiano". A mio decoro ho da dire che non mi ingozzavo di cibo: mi faceva troppo schifo, il riso e fagioli stracotto e, alla fine, la cosa che mi piaceva di più, lo si sarà capito, era il formaggio che, in un panino, portavo via per mangiarlo nel pomeriggio. C'era invece un mio compagno di classe, anzi di banco, che al mattino giungeva per tempo enon solo faceva colazione con caffclatte, pane e marmellata, ma si portava da casa una bottiglia di gazzosa vuota, col tappo a leva e la guarnizione di gomma, che riempiva di caffclatte da bere durante le le7,ioni, chinandosi sotto il banco. Fumavamo insieme, a volte, lui una nazionale, io estraevo il mio costoso pacchetto da dieci Xantia una profumata sigaretta con stampigliato il nome intcttere dorate. Le Xantia non erano certo alla mia portata, ma le amavo troppo e ne comperavo un pacchetto da dieci ogni sèttiman;i. spendendo tutto in una volta quello che mio padre mi dava. Non so se fossero particolarmente buone; erano di gusto egiziano, come usava allora, non diverso suppongo dalle Turmac o dalle stesse Serraglio, che erano di monopolio. Il loro fascino era per me nel pacchetto rosso scuro, con al centro un disco d'oro anch'esso scuro attraversato dalla scritta. Le avevo viste fumare aun vero signore dai baffi biondi, odoroso di colonia e tabac~o, le associavo a un mondo di cui non sapevo nulla ma di cui subivo il fa~cino. Da quel signore, conosciuto qualche anno prima, avevo ricevuto in dono la prima penna biro. Sapevo che era scapolo e che aveva amanti con cui faceva viaggi per mare. Quando mi immaginavo su una delle navi che vedevo nel porto, poeta e scrittore famoso, ero sempre seduto aun tavolino carico di riviste e di libri e fumavo una Xantia. Più tardi queste fantasie hanno assunto una forma precisa, riassunte in un'immagine che mi aveva colpito: una fotografia di Thomas Mann seduto a un tavolo di caffè carico di libri e di giornali, intento a scrivere, fumando, uria cartolina con una grossa stilografica. Il ·mio amore per i caffè ali' aperto, per le letture che lì faccio e per glì appunti che lì prendo, ha probabilmente quest'origine. Forse, anche l'amore per le stilografiche: A quel tempo, "leggevo i libri come le fiamme leggono il legno" e ancora di più vedevo in quel modo i film. Il cinema era la realtà vera, era il modo in cui il mondo entrava dentro di me. È con il cinema che ho conosciuto il mondo, e l'America in particolare. Che i ragazzi della mia età, allora, siano cresciuti col mito dcli' America è dire una banalità. E tuttavia è proprio così. Noi vivevamo nella più profonda provincia italiana, e parlavamo e pensavamo rifacendoci ai modelli americani ché vedevamo nei film. Nel film compariva l'immagine migliore dell'America, ciò che essa voleva rappresentare di se stessa. Noi prendevamo tutto per vero, e in base a quei modelli criticavamo la realtà presente, la nostra. Più tardi, poi, quello stesso scarto, quella stessa discrepanza tra ciò che l'America mostrava di sé attraverso la sua forma artistica specifica, il film, e ciò che poi nella realtà compiva, agì contro di essa determinando negli anni Sessanta delusione e rivolta non solo verso quella realtà ma anche verso quei modelli, anche se proprio grazie a quelli era stato reso visibile lo scarto. Molto del generale odio verso l'America che caratterizzò gli anni Sessanta è generato, in una 79
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