... STORIE/VIARENGO rotolava sull'erba insieme a noi. Non faceva nessun lavoro in casa, si occupava solo di noi, ci pettinava, ci profumava, ci portava a scirscir, e ci preparava il faffatò. Era sempre profumata e i suoi vestiti erano meno austeri di quelli di nonna, la sua carnagione più scura, i suoi capelli foltissimi e crespi. A volte vestiva con abiti che papà le portava dall'Italia, gonna e giacca. La preferivo con il scisscigò così ampio dentro al quale mi potevo nascondere e perdere. La mamma era musulmana, non mangiava la carne uccisa da un cristiano, la servitù di mio padre era tutta cristiana, dopo un anno di matrimonio, durante il quale mamma si faceva portare da mangiare da nonna Fatuma, decise di farsi copta. La sorella di mamma che sposò lo scrivano del tribunale di Ghidami lo zio Andarghé, divenne copta per lo stesso motivo; l'altra sorella rimase musulmana, lei sposò il signor Abdelkhader, il quale era stato alla Mecca, e aveva il titolo di Hagi,"colui che è stato alla Mecca". Noi lo chiamavamo zio Hagi Abdelkhader. Era un signore ricco e colto, un commerciante, scriveva e parlava arabo, inglese, arnhara e oromo. Oltre alla zia aveva sposato un'altra signora, vivevano tutti nella stessa casa a Dembidollo, quando andavo a trovarli, non mi interessava riconoscere i miei cugini, giocavo con tµtti i figli degli zii. Abba Dabo, Gurraccio, Gamtessa, Amare' vivevano tutti nello stesso recinto nel quale c'era la nostra casa. Papà aveva costruito un forno e aveva insegnato al suo cuoco a fare il pane all'italiana, il cuoco divenne per tutti Abba Dabo- papà pane Gurraccio il tuttofare si rendeva utile a tutti in casa e fuori nell'orto. Andava a prendere l'acqua a Biscian AbbaBerrù, una fonte, e riempiva cisterne situate fuori casa. Gurraccio era il più giovane e il più timido, non assomigliava al vecchio Gamtessa, il nostro guardiano il quale rideva sempre e volentieri. Aveva gli occhi rossi e si accompagnava spesso al farsò, una birra prodotta sul posto, e all' arachi, un distillato di birra che raggiunge i 40-50 gradi di alcool. In arnhara la chiamano chiticala. Fuori dalla nostra cucina Gamtessa teneva il suo narghilè costrnito da lui con una canna vuota e una zucca svuotata. Durante la giornata si sedeva accovacciato sulle gambe e aspirava dalla canna producendo un rumore "Bloh! Bloh! Bloh!" Teru, Tesfai, e io, appena lui terminava questo suo rito e si allontanava, lo imitavamo. Mamma ci sgridava rincorrendoci. Gamtessa giocava con noi, faceva l'uomo forte, portandoci in braccio tutti e tre insieme, il più delle volte ci faceva cadere, papà si arrabbiava, ma i giochi si ripetevano ogni volta. Tacca era il postino di papà, percorreva a piedi i centocinquanta chi lometri del tragitto Ghidarni-Dembidollo per portare la corrispondenza._ Amarè era l'autista, lui era un signorino, non faceva niente altro che guidare. Fu lui che, all 'insaputadi mio padre, quando avevo quindici anni mi insegnò a guidare su una Land-Rover, guidavo un po' in piedi e un po' seduta, cercando di evitare sassi e buche in una terra priva di asfalto. A Ghidami c'erano tanti insetti e animali, alcuni di questi, per noi bambini diventavano compagni di gioco. Ci nascondevamo dietro alla porta di casa tenendo in mano una corda che al!' altro estremo era legata a un setaccio obliquamente sostenuto da un ba~tone. ~ott~ il setaccio c'erano grano, miglio, pane, erano l'esca per i pettirossi e i pa~seri. Quando gli uccelli arrivavano numerosi sotto il 76 Stroda di luxor !archivio Garzanti). setaccio, tiravamo la corda, e il legno e il setaccio cadevano catturando gli uccelli impauriti. Ne prendevamo uno alla volta, lo legavamo per una zampina e correvamo con il nostro aquilone ... Era facile vedere nei cortili delle case di Ghidami le Tootà, piccole scimmie che giocavano con i bambini, venivano addomesticate, papà mi racconta che una volta addomesticate non possono più tornare nel branco, perché verrebbero uccise dalle altre scimmie. Le Tootà diventano come cani o gatti, non sono dispettose, mentre le Gialdessa se riescono a entrare in casa, si comportano come ladri, buttano per aria tutto curiosando ogni luogo. Papà aveva un fucile da caccia, se le scimmie glelo vedevano impugnare scappavano veloci, ma se lui prendeva un bastone, si allontanavano di due o tre metri, avevano imparato a distinguere il fucile dal bastone. Eravamo già grandi Teru e io, una notte, nel silenzio, si sentì un rumore, come di vento tra le canne, no! ... come di pioggia fitta e fina sui tetti, no!. .. era un rumore indescrivibile, bisogna averlo sentito. Papà imprecò e accese la pila, io mi affrettai a prendere la candela e i fiammiferi che erano sul comodino, sentii sotto le mani un brulichio. Accesi, la mia mano era nera di giammàche in un attimo mi ritrovai sulle braccia e sui capelli, senza che ci accorgessimo i nostri letti erano pieni di giammà. Fuori dalla casa la voce di Adda Dabo imprecava e si sentiva un rumore di coperchi battuti. Saltai giù dal letto e il pavimento si muoveva, non bisognava stare fermi, bisognava fare rumore. Insieme ad Abba Dabo ora c'erano anche gli altri. Le iene, le furbe, quella notte non si fecero né vedere né sentire, mentre quelle formiche erano ormai dappertutto. Papà dice che le giammà non hanno una fissa dimora, la loro casa è ovunque ci sia cibo, arrivano numerose come eserciti, facendo scappare topi, elefanti, leoni, la loro sensibilità è situata nell'olfatto. Giammà vuol dire le cieche.
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