Proprio come nùa nonna Fatuma, non mangiava carne di maiale e spesso digiunava. Mia nonna era musulmana come Boj. Mamma era copta, andare in chiesa con lei era una festa. A Ghidami la chiesa era piccola, un luogo spoglio, non c'erano candelabri, ori, argenti, lussuosi lampadari, statue in ogni angolo e in varie posizioni come invece aveva la chiesa di Karthoum. Ricordo tanti Kesci con i vestiti dai bordi rossissimi, alcuni tenevano in mano un portaincenso e lo agitavano ritmicamente, l'incenso entrava nelle narici, nella gola, negli zuria e nelle futa. A mamma non piaceva quell'odore, portava con sé piccolissimi mandarini dal profumo intenso che teneva appiccicati al naso con la mano. In quella nube d'incenso, nello spazio stretto i suoni, i canti, i colori si confondevano con i corpi dei vecchi e giovani kesci che oscillavano a destra e a sinistra ritmando un canto monotono. Chiesi a Boj se voleva una "fitigrifia" di Gesù. Gli avrei dato quella che rappresentava Gesù adulto che teneva in mano un cuore. Di quelle ne avevo quattro. - Kalas!gridò Boj. Con la testa sotto il cuscino mi addormentavo. Nel mio cassetto dei giochi c'erano anche tante altre "fitigrifie" che si chiamavano "dei santi". Tra i santi c'era anche il padre di Gesù, si chiamava Giuseppe Putativo, ma non era il suo vero padre. Avevo sei anni; e iniziava a crescere in me una confusione religiosa e culturale che non trovava risposta. La nostra lingua era J'Oromo. In famiglia parlavamo Ororflo. Tutti a Ghidami parlavano Oromo, ma a Karthown pian piano tutte le cose cambiavano nome. I nµmeri non si chiamavano più- tocco, lama, sadì, afour, scian, ma diventavano: one, tow, three, four, five. Uahed, itnin. talata, harba. Uno, due, tre, quattro. · , Non sapevo in quale lingua volessero che io parlassi, gli zii dai quali abitavo parlavano l'italiano, la scuola che frequentavo parlava arabo e inglese, Teresa e io pariavamo Oromo. Pian piano le altre lingue prendevano il sopravvento sull'Oromo; Vieni, come. tahali, ricordavano cottu! A questa confusione io reagii parlandole tutte insieme. Nessuno mi capiva. Teru reagì chiudendosi in un mutismo. Solo il nostro pianto le nostre nostalgie e i nostri giochi, Teru e io ce li confidavamo in Oromo. Ci mancava tanto il tiepido calore e la morbidezza di mamma. Mamma e papà, per ora, non si dicevano in nessuna lingua·. In una grossa scuola la signora che parlava con mio padrè gli chiese se io ero battezzata, mio padre rispose che noi facevamo quello che faceva la marrima in fatto di religione, la signora mi guardò preoccupata e disse "è figlia del diavolo" stringendomi alla gamba di mio padre, mi misi ad urlare che era lui mio papà. Che cosa volevano da me questi grandi? Perché non c'era mamma? Perché papà ci lasciava in questo posto? Dovevo cambiare padre? Avevo paura. La sensazione dell'abbandono e la mia disperazione furono ammansite dopo un po' di tempo con una festa di battesimo tutta per me. C'erano tanti dolci, avevo un vestito nuovo, con bottoni di vetro, trasparenti, quando la luce li penetrava assumevano i colori del!' arcobaleno. In quella grossa chiesa di Karthoum sul Nilo, ricordo un vago odore di incenso, i canti, la mia testa bagnata, e i bottoni che non ho mai smesso di guardare e tentare di mettere in bocca .. STORIE/VIARENGO Ghidami è fatta di terra, non esiste la parola asfalto in Oromo. Torino è entrata a Ghidami con me e alcune cartoline che avevo portato alla nonna. Mamma era morta, aveva trentasei anni, lasciandomi la rabbia di un dialogo mai nato nel momento in cui potevamo parlarci come due donne, e l'impotenza di una lingua dimenticata Oromo lmbecu. Non parlo Galla. Raccontavo Torino alla nonna, il Valentino, P.zza Castello, Porta Nuova. In alcune cartoline Torino è trasparente, immortalata in quelle giornate nelle quali la primavera accompagnata dal vento spinge via l'inverno, lasciando vedere attraverso gli alberi ancora nudi, gli ornati, i balconi, i ferri battuti, la Mole Antonelliana che aila sera quando è illuminata mia figlia mi chiede se è di vetro. · La nonna mi chiedeva "Qhullu sfalti? Qhullu? qhullu?" "Tutto asfalto? tutto, tutto?" Ghidami è un paese come tanti al mondo. Si sveglia con il canto del gallo il profumo di terra, di eucaliptus e l'arrivo del sole in fondo all'orizzonte ... Il cielo di Ghidami è rotondo e intero, nessun palazzo lo taglia a quadrati, rettangoli o strisce. I rumori sono silenzi interrotti dalle macchine sgranatrici per la pulitura del caffè, i ronzii delle api e delle mosche, i ragli degli asini, di notte le risate sonore delle iene, qualche volta le grida di un urlatore che annuncia la morte di un cittadino. La sera dopo cena, la radio di papà gracchiava e cinguettava, fino ad immobilizzare la sua attenzione sulla voce di un uomo che parlava arabo o francese, come in un rito papà ascoltava in perfetto silenzio ii "notiziario", il suo unico contatto con il resto del mondo. Da molto tempo mancavo da casa, guardavo la nonna, la scrutavo per rubarle espressioni, rughe'e sorrisi da portarmi via. La nonna era alta, magra, il suo viso era di colore tabacco, i suoi occhi neri e fermi, i lineamenti minuti e perfetti, assomigliava a Teru. I suoi vestiti bianchi le lasciavano scopertelecaviglieeunpezzettinodi gamba, le braccia erano lunghe e dure, il suo parlare paçato. Lei era arrihara, arrivava da Gondar. Il nonno era il suo secondo marito, erano tutti e due commercianti di spezie profumi e droghe. Il nonno era galla, praticavano entrambi l'Islam. Non conobbi il nonno. La nonna mi raccontò che era un personaggio particolare. "Era generoso, prestava soldi, non chiedeva di averne di più quando glieli restituivano, ma li voleva indietro. Una volta un conoscente non volle restituirgli il denaro prestatogli, era il 1941, il potere in Etiopia era passato dalle mani degli italiani a quelle degli inglesi, nessuno sapeva a chi rivolgersi per le questioni legali, così il nonno prese il suo fucile e si fece giustizia da solo. Quando gli inglesi lo vennero .a sapere, lo misero in prigione e lo giustiziarono ..." La casa di nonna era unica. Odorava di spezie e di profumi che si mischiavano scatenando mulinelli di odori che cambiavano gusto secondo la zona della casa in cui mi trovavo. I profumi non riuscivano a mantenere la loro autonomia, anche se tappati in botticine, perché fe spezie e le droghe li invadevano invitandoli a penetrare le narici. Nonna conosceva le erbe, le raccoglieva, le essicava, le vendeva, le usava per curarci, ma quand0 papà aveva gli attacchi di malaria, nessuno sapeva cosa fare. Non esiste lamalariaaGhidarni. Papà, l'aveva contratta a Jubdo dove c'era la miniera dello zio Prasso. Anche lo zio Pietro, lo zio Annibale e lo zio Andrea avevano la malaria. Papà, allora prendeva il chinino di stato o l'ezanofele. Nonna incuteva rispetto. Mamma infondeva gaiezza. Correva portandoci in braccio una alla volta, rincorsa da Billy, Boby e Tamassè, i nostri cani, finite le corse si 75
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