Linea d'ombra - anno VIII - n. 54 - novembre 1990

SAGGI/CIAFALONI Il disastro è stato immane certo è difficile trovare in qualche altro posto in Europa uno squallore simile alla megalopoli padano-adriatica o alle periferie delle città pugliesi e campane. Città bellissime, come Lecce, sono diventate simili a Nichelino. Città ricche, come Biella, con una invidiabile tradizione dialettale, in architettura sembrano anche loro pezzi di anonima periferia, ingombri di troppe macchine, troppo grandi, molto ferme, molto puzzolenti, senza nessun posto dove fermarsi. Ma lo stesso vale anche per la campagna, che pure regge meglio, perché le nuove vigne, piantate secondo curve di livello, dove ci sono, non sono più brutte delle vecchie; portano però il segno del disfacimento sociale, del giusto rifiuto dell'isolamento, dell'incomprensibile mancanza di dettaglio, di contenuto, di funzionalità, di logica. È tutta mancanza di memoria, e mancanza di progetto. Sì, è vero, eravamo cafoni e i cafoni hanno prima pensato a riempirsi la pancia e ad avere un tetto che a curare le strade, la disposizione, il paesaggio, prima si sono fatti la macchina e poi hanno pensato al posto dove metterla. Gli bastava che ci fossero le autostrade per farla camminare. Sì,è vero,anch'ioho avuto la macchina prima di abitare in una ca<,;adecente, anche perché è difficile campare in una periferia urbana senza trasporti pubblici decenti e senza macchina; ho avuto la macchina perché non avevo la casa decente, non me la potevo permettere, mentre potevo permettermi la macchina. Sì, anch'io sono un cafone e non ho buon gusto, non so scegliere gli oggetti e in genere risolvo i.problemi per sottrazione, applicando un rigido rasoio di Occam: nel dubbio mi astengo e non moltiplico i generi senza necessità. Ma qui nessuno ha avuto buon gusto, o memoria, o progetto: né le imprese, né i progettisti. né i committenti, né la: pubblica amministrazione, centrale o locale. Il disastro è stato immane. In qualche caso disastro si è aggiunto a disastro, dove la miseria regnava sovrana e allo sfasciume arcaico si è aggiunto lo sfasciume nuovo. In altri casi, come nella costa e nell'entroterra ligure, la speculazione edilizia ha distrutto secoli di equilibri e di cultura. Non tutto. Dove l'equilibrio si è in qualche modo ricomposto, e le attività economiche nuove si sono diversificate, l'entroterra ha trovato una sua forma agiata, spesso faticosa ma tutto sommato · sensata, di vita. Ed anche i luoghi sono rimasti o sono tornati a essere belli. Ma dalle mie parti questi casi sono abbastanza rari. Me ne rendo conto col passare degli anni, ora che i motivi familiari per tornare sono diventati quasi inesistenti, che i luoghi e gli incontri non mi evocano più molto. Certo, le comunità nuove hanno una loro specificità, hanno memoria. Ma a me riesce di decifrare le continuità meno che in passato. La morte ha falciato molto. Della generazione precedente non resta quasi più nessuno. I pochi che restano, dei miei una sola persona, hanno passato da un po' la novantina e della memoria conservano qualche sprazzo lontano, ma hanno perduto completamente la memoria a breve, come spesso accade ai vecchi, e parlarci, per cqi ritorni e non sia quindi sistemato in una ritualità che non ha varianti e di fatto nonrichiede memoria a breve, è quasi ' impossibile. Si passa il tempo a rispondere dieci volte alla stessa domanda a pochi secondi di distanza e questo dà un grandissimo senso di estraneità e di morte. Di tanto in tanto emerge, ai margini di una conversazioneper lo più ascoltata senza parteciparvi, dal padre o dalla madredi amici, una osservazione che riguarda magari fatti di sc.ssanta, settanta anni fa, dove la guerra può essere la prima e non la seconaa guerra mondiale e il socialismo è quello di Turati, e il fascismo deve ancora arrivare. Mi rendo conto che anche uno dei rari autori che hanno rappresentato la memoria, Leonardo Sciascia, che ha mantenuto negli anni una straordinaria coerenza, che qualche volta sembrava perdersi, ma poi riemergeva come un fiume carsico con nuovi frammenti delle parrocchie di Regalpetra, è uno che è vissuto "effettualmente" a Racalmuto. Ma anche lui, che stava lì a rimuginarsi la sua identità e i suoi adii, universalistici e particolari, pareva attingere più che in passato alla lingua e ai documenti. Il dialetto e fra Diego La Matina. Io al mio paese in senso stretto, il gruppo di case in cui sono nato, non torno torno più da vari anni ormai. Il paese è troppo piccolo per girarci in incognito come in città, lasciando glialtrinel dubbio se ti hanno riconosciuto o no; conservando il dirittoal dubbio se hai riconosciuto o no il signore di più che mezzaetà, grigio e con la pancia, con cui sei sicuro di aver condiviso un banco di ginnasio, ma di cui la memoria rifiuta di restituire ilnome (neppure in ipotesi). Mi vergogno a tornare al paese: per paura di non essere riconosciuto; oppure di essere riconosciuto e di non ricordarele morti (di nascite non ce ne sono; ci sono tutt'al più arrivi nuovi); o di non riconoscere; di non sapere cosa dire. E poi cosa si impara da cinque minuti di conversazione, per giunta in italiano, perché ormai sei uno di fuori? Che cosa si comunica? Vorrei salutare almeno una volta prima che la morte, sua 0 mia, lo impedisca, un amico di mio padre, un contadino di grande capacità, che ha raggiunto una sua agiatezza senza lasciare la terra: un caso più unico che.raro, uno che ha impedito che ilpiano regolatore gli includesse un suo pezzo di terra nell'area edificabile, che voleva dire soldi, molti soldi e senza fatica, perché questo, nel tempo, gli avrebbe impedito di coltivare la terra ("S'ss tu compr 'nu signor' cullù a la matin' vo durmì. E cumin'. Lucan ch'abbaje; la galline ca scacc'tjeje; e j'me ne ting' daj' da la casa mì"). Ma mi rendo conto che preferisco mandargli saluti (e ricevo puntualmente saluti, da conoscenti comuni più giovani, di quelli che per mestiere fanno la spola tra campagna e città) perchéa questo punto la memoria ha paura della realtà. Nella realtà nonc'è nessun rapporto. Le persone attive di è.asa sono i suoi nipoti;e quelli sono veramente degli stranieri, con la doppia barriera dell'età e della lontananza. Temo che anche molti altri che fanno ricorso alla memorianon ricordino in effetti molto. Come accade spesso, i fatti e le ideologie, le parole e le cose vanno in due direzioni opposte. Sembrano diventare importanti le memorie di gruppo perchénon abbiamo più memorie; non abbiamo più luoghi. 73

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