un luogo di pellegrinaggio. Ignorare quest'elemento della vita indiana significherebbe amputare il pensiero e la letteratura dell'India di uno dei suoi elementi costitutivi - e per lo scrittore significherebbe consegnare al lettore una creatura amputata. Un altro aspetto del pensiero indiano che una volta sembrava sul puntò di scomparire, influenzato com 'era dalla letteratura occidentale dal diciannovesimo secolo in poi, e che invece è tornato in vita, è l'interpretazione ciclica del tempo, che conferisce alla letteratura, come anche a tutta l'arte indiana, la sua struttura peculiare. In L'albero parlante, Richard Lannoy scrisse sul "campo unificato della consapevolezza" dell'uomo indiano, che si manifesta nell'arte dei santuari scavati nella roccia e nel dramma sanscrito, ed evidenziò il fatto che nell'epoca classica tutta la letteratura era scritta su strisce uniformi di foglie di palma, di cui ognuna conteneva una pic'cola parte dell'intero, una sutra o un sloka, da leggere o scandire ciclicamente, e che mostravano una tendenza alla sincronia piuttosto che alla diacronia. Raja Rao scrisse, nell'introduzione a Kanthapura: "I nostri sentieri sono interminabili ... Non abbiamo punteggiatura e preposizioni ingannevoli che possano infastidirci - raccontiamo una storia senza fine. A un episodio ne segue un altro, e quando i nostri pensieri si arrestano, si arresta anche il nostro respiro, e ci rivolgiamo a un nuovo pensiero. Questo era ed è ancora il nostro modo di narrare". Questo era lo stile che egli adottò in Kanthapura e in Il serpente e la/une. Aveva in mente i modelli dei Purana, del Ramayana e Mahabharata - in cui il lettore, o più spesso l'ascoltatore, riprendeva il filo a ogni punto, leggeva o ascoltava per un poco e si lasciava trasportare, per poi immergersi in un altro episodio. Per l'uomo indiano, lo sviluppo lineare del pensiero occidentale è qualcosa di estraneo e di poco familiare- qualcosa, perfino, di non necessario! Il lettore indiano, al pari del filosofo, ,vede il tempo come un ciclo, una ruota che sempre gira e sempre muta- non come una sequenza di eventi, che prendono l'avvio da un inizio concludendosi con il climax. Il romanzo vittoriano influì sui primi romanzieri indiani e fu il modello della loro opera; tuttavia lo scrittore indiano non ha mai mostrato il dono tipicamente occidentale di una narrazione emozionante in cui gli eventi si succedono fino a che il climax non sia raggiunto. Nella letteratura indiana non c'è niente di comparabile a Graham Green Agatha Christie o e Jeffrey Archer. È difficile trovare un romanzo "perfetto", strutturato in modo serrato, in cui ogni componente abbia una sua importanza e ognuna serva a far progredire la storia, un romanzo in cui niente resti inutile o sprecato.L'andatura del romanzo indiano è rimasta più lenta: divaga, erra e si disperde in varie direzioni. È interessante notare che dopo vent'anni in cui il romanzo era scritto più o meno sul modello occidentale, nei Figli della mezzanotte Salman Rushdie ha fatto de11alinea diritta del racconto un circolo, rappresentato come un serpente che si mangia la coda: "Ci sono così tante storie da raccontare; troppe. C'è un tale eccesso di vite, eventi, miracoli, luoghi e chiacchiere che si SAGGI/DESAI. intrecciano; un così stretto mescolarsi d'inverosimile e di reale!' Sono stato un inghiottitore di vite, e per conoscermi, per conoscere ciò che io sono veramente, dovrete anche voi inghiottire tutto quanto." Ai critici che sostennero l'influsso del "realismo magico" de11aletteratura latino-americana su Rushdie, egli replicò di essere invece tornato nel mondo più antico del Mahabharata, che era la vera origine del re~lismo magico. In La vergogna Rushdie mitizzò persone ancora viventi, e diede agli eventi di un passato ancor vivo la forma di leggende fantastiche. Ciò che era vicino fu reso distante, e il distante vicino. Il tempo e la prospettiva furono alterati e deformati ai nostri occhi. Dopo di lui c'è stato un profluvio di giovani scrittori ben contenti di tornare al vecchio stile di narrazione, che stranamente si presentava come que11o"più recente" e "più nuovo". Nel seguire questa traiettoria essi si sono spinti tanto in direzione dell'Occidente che- dal momento che la Terra è rotonda - si sono ritrovati al punto di partenza. Lo stesso fenomeno si verifica nel linguaggio. Il modello vittoriano influenzò per così lungo tempo il romanzo indianosia quello scritto in bengali che in malayalam - che le sue regole e i suoi artifici si estendevano anche al linguaggio; ma fin dagli anni Trenta e Quaranta Q.V. Desani e RajaRao tentarono di portare nella letteratura gli accenti, i ritmi e i toni della lingua parlata. Tuttavia, essi inventarono una lingua letteraria che non poteva fare molto cammino in un Paese in cui la lingua scritta ha sempre avuto un'esistenza separata da quella parlata. C'è una lingua per i libri e una lingua per la conversazione, ed esse sono ben separate: così ci hanno insegnato a scuola e così abbiamo creduto finora. L'abilità di R. Prawer Jhabvala nel riprodurre in inglese i ritmi della parlata indiana fu ignorata perché l'autrice non possedeva le credenziali giuste: non è indiana. Ancora una volta, è stato Salman Rushdie che, con I figli della mezzanotte, è riuscito finalmente a portare la lingua parlata della strada alla pagina stampata, e lo ha fatto con una tale carica di energia e magnetismo che il lettore indiano ne è stato completamente conquistato, e lo scrittore indiano ha riconosciuto le due lingue come una sola. Ritorniamo in tal modo ai giorni della narrazione orale, quando la lingua impiegata doveva essere accessibile, popolare, e rivolta alla gente. Com'era prevedibile, c'è stata una lunga scia di imitatori. I primi-Namita Gokhale e Balrai Khanna- sono stati in grado di fare soltanto imitazioni grossolane; ma i romanzi di Amitav Gosh, I. Allan Sealy e Upamanyu Chatterjee hanno mostrat~ una maggiore raffinatezza nell'impiego dello stile popolare. E evidente che le lingue di cui gli scrittori indiani fanno uso si sono, per così dire, liberate dalle loro inibizioni acquisendo una certa disinvoltura. È apparso chiaro all'improvviso· che lo scrittore indiano ha una sua voce caratteristica e autentica al pari dello scrittore americano o caraibico. Qualunque sia la qualità di questa prosa, gli scrittori di oggi hanno acquistato una nuova disinvoltura, un nuovo agio e una sicurezza che prelude a nuovi esordi. Dove ci porterà tutto questo? Da "Daedalus", autunno 1989, voi. 118, n. 4. Copyright Daedalus 1989. 45
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