LA NARRATIVA INDIANA OGGI Anita Desai traduzione di T.rnbcllaCasabianca Le parole "letteratura russa" evocano immediatamente l'immagine di una dacia in legno di betulla, di un samovar, di noLti bianéhe e di foreste oscure, e un 'impressione di ciò che V.S. Pritchett chiamò ''la vita interiore e il senso di giustizia e di pietà" della Russia. Allo stesso modo, le parole "letteratura americana" evocano la terra rossa dei campi di cotone, le capanne di tronchi d'albero del Mississippi, l'enorme confusione delle cillà dell'interno, e comunicano con efficacia l'empito di'vita, di libertà e di sfrenatezza perseguito dai suoi scrittori. Che cosa evocano, allora, le parole "letteratura indiana"? Soprattutto la sua antichità, le sue tradizioni (che risalgono a un passato così remoto da far parte di un mondo primordiale, arboreo più che pastorale), una terra selvaggia oppure dominata da cerimonie, in cui vivono saggi e danzano cortigiane. Ma anche ammesso che tali immagini siano mai state appropriate, possiamo credere che siano ancora valide? Questo magico idillio è senza dubbio lacerato dalle lotte, dalle insurrezioni è dagli scontri alluali, e al pacifico quadro succedono eventi di feroce ingiustizia e di strenua lotta per la sopravvivenza. Alla radice di questi problemi non sono più le vecchie ortodossie di religione, di casta, o familiari: crepe, esplosioni, rovine sono dovunque. La leueratura di oggi rispecchia la violenza, la pluralità e l'instabilità della realtà indiana? O p"iuttosto i suoi agi, le sue sovrabbondanti ricchezze? Quali delle antiche tematiche sono sopravvissute, e quali sono scomparse per sempre? Quali nuovi motivi sono emersi, sommergendone altri? Se leggessimo un'ampia scelta della letteratura indiana col proposito di raccoglierne una prima impressione, sicuramente ci colpirebbe una costante di base, una costante che contraddice la perenne scissione della realtà indiana, e che può dare un 'impressione di ripètizione e di monotonia. Perché tutti gli scrittori indiani descrivono un paesaggio con elementi stereotipati quali il bosc~ello di alberi di mango, la sponda di un fiume, il bestiame che solleva polvere lungo una strada di campagna, il pozzo del villaggio, e la luna crescente? Potremmo spingerci • oltre e dire che ogni madre che incontriamo è laboriosa e votata al sacrificio, ogni padre severo e autoritario, ogni usuraio crudele e maligno, ogni contadino ignorante e affamato. Affer- . mare questo, ovviamente, significa generalizzare ~olto, ma a dire il vero se ci guardiamo intorno non troviamo a tutto ciò troppe eccezioni. E quando ne troviamo, ci rendiamo conto che esse in qualche modo non sono "volute": ciò che si richiede, ciò che continua a dare soddisfazione - la soddisfazione del già noto e non dell'inaspettato - consiste sempre in nuove variazioni su vecchi temi. Si veda lo straordinario suc0esso del Ramayana ridotto a serial televisivo! Il fatto è che lo scrittore indiano si serve dei personaggi - come pure degli elementi del paesaggio - per rappresentare verilà più generali. Egli non vede un personaggio - o un albero, un bue, o una collina - come unici e particolari; essi simboleggiano soltanto concetti più ampi, che egli considera il solo soggetto possibile dell'arte. Di conseguenza, un fiume rap44 presenta tutti i fiumi, un albero tutti gli alberi, e un amante tutti coloro che amano - gli dei, e gli uomini. Ciò è evidente soprattutto nella ·poesia- urdu, sanscrita, o quale che sia - ma si riscontra anche nella narrativa, dal romanzo di Rabindranath TagoreLa casa e il mondo;(l 915) in cui Rimala rappresenta sia la Madre India nel suo "sari rossoterra dall'orlo rosso-sangue" che la dea-madre Durga, al romanzo di Salman Rushdie La vergogna (1983), in cui Sufiya Zenobia simboleggia la vergogna di una nazione che negatale sentimento, e che ostenta invece sfrontatezza. Tra l'opera: di Tagore e quella di Rushdie vi sono innumerevoli romanzi in cui i contadini si comportano com'è prevedibile - soffrono e muoiono di fame - , le donne assolvono le incombenze a loro. proprie (le stesse che competono alle divinità femminili), i ricchi rappresentano l'avidità, la sensualità e la crudeltà per antonomasia, e il salvatore giunge in terra assumendo la forma di Brahma, di Shiva, o di Mahatma Gandhi (come in Kanthapura). Non solo lo scrittore indiano è costantemente consapevole di quell'altro mondo di cui l'elemento visibile, tangibile è solo un aspetto; ma lo sono anche i suoi personaggi. In Kanthapura di Raja Rao gli abitanti del villaggio vedono una stella cadente nel ciclo notturno, e non esitano a esclamare: "Un'anima buona ha lasciato questa terra" - dimenticando in tal modo l'accesa discussione di casta intavolata poco prima; Anche nel mondo terreno di Malgudi, che non ha nessuna pretesa di essere qualcosa di diverso da ciò che è - una piccola città dell'India Meridionale -, il calzolaio di R.K. Narayan rammenta al Jeuore quell '"alterità": · "lo prego Dio ogni giorno e continuo a pregare ogni ora. Ma quando sarà un po' più libero Egli mi ascolterà. Fino ad allora, devo sopportarla". "Cosa? Sopportare che cosa?" "Quest'esistenza. Io Lo supplico di portarmi via. Ma il tempo non è ancora venuto; verrà". Sino a questo momento, egli è semplicemente un éalzolaio, a Malgudi - ma egli ha ricordato al lettore quell'altro mondo nel quale egli potrebbe essere un re, un santo, o una stella cadente. È difficile stabilire se urta tale filosofia, una tale religiosità sopravviveranno nella letteratura dell'India contemporanea. Il modo in cui Gita Mehta ha svolto, in Karma Cola, il tema del guru-chela, leader religioso e pellegrino, ha scioccato i lettori ind.iani per le sue valenze satiriche e di parodia; ma essi non hanno capito che la satira era invece diretta contro coloro che sminuiscono o degradano le verità più alte. Quando Arun Kolatkar scrisse, nel 1974, le sue poesie sulla città templare di Jejuri, il suo personaggio, Manohar, oltrepassava una porta aperta "chiedendosi/quale dio stesse per incontrare", allontanandosi poi "quando un vitello dai grandi occhi/ gli ricambiò lo sguardo./No.n è un altro tempio/egli disse/è soltanto una stalla". Ma resta il fatto che l'intero ciclo delle poesie era costruito s~lle fondamenta ?i una città templare, di
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