Linea d'ombra - anno VIII - n. 54 - novembre 1990

11 ·I~ ■ i il· i~i i ■------~~-------~ Culturad'opposizione. . PiergiorgioBellocchio"dalla parte del torto" Filippo La Porta "Hai visto ieri sera il film in tv?" "Sì, bello, è stato girato nel '68 ... si parlava molto di rivoluzione, di sistema ... tutti temi di quell'epoca ..." (da un dialogo tra due giovani conduttori di Rai Stereouno, agosto 1990) A proposito del libro di Piergiorgio Bellocchio Dalla parte del torto, uscito ormai quasi un anno fa da Einaudi, e che raccoglie gli scritti apparsi sulla rivista "Diario", e dell'accoglienza avuta sulla stampa, si possono fare alcune brevi considerazioni su ciò che significa oggi "cultura d'opposizione". Agli inizi degli anni Ottanta una cultura del genere ancora esisteva nel nostro paese come eredità residuale e sempre più inerte del decennio precedente; e naturalmente il marxismo, con i più diversi e immaginosi innesti, costituì: va il fulcro di tale cultura. In seguito, e a causa di tutti i processi che ben sappiamo (fine dei movimenti, crL~idel marxismo e dei comunismi reali, postmoderno, tv private e non, dominio della piccola borghesia alfabetizzata) non solo il pensiero di sinistra, ma qualsiasi posizione critica, sembra smarrire le sue stesse . ragioni di esistenza. Il che è avvenuto, almeno in Italia, per una.ragione molto semplice, ancorché paradossale (e in una misura che neanche Adorno in uno deisuoi momenti più saturnini avrebbe potuto immaginare): la generazione del '68 non soltanto non è stata sconfitta, ma in un certo senso ha vinJo, riempiendo così J'urùverso circostante di discorsi ipercritici, di pensieri superoppositivi e oltranzisti. E ha così contribuito in modo decisivo al diffondersi di uno stile inJellettuale, fatto appunto di inesauribile verve polemica, gusto della dissacrazione, attitudine rissosa e irriverente. Certo, .si tratta quasi sempre solo di uno stile, privo di contenuti determinati, e dunque un puro involucro, un cqntenitore neutro. Ma il risultato più vistoso è che tutti sono conJrocorrenJe, o vogliono disperatamente ed enfaticamente sembrarlo. Non è che non ci sono più idee; anzi, siamo stracolmi di idee, opinioni, analisi, parole, rria le idee, benché formulate in modo protervo, risuonano a vuoto, non si distinguono le une dalle altre, non hanno più effetto. Anche il pensiero più impavidamente anticonformista, ribelle, eversivo, se enunciato al "Costanzo show", diventa uno dei tanti ingredienti, appena più pepato, che insaporisce il tutto. Un rotocalco ad altissima tiratura come "Panorama", che fa opinione, che concorre a modellare il senso comune e i gusti di una buona fetta di classe media, è da qualche tempo una fulminante rassegna di firme scomode, dissidenti, eccentriche. E anche il quasi gemel30 Piergiorgio Bellocchio in uno foto di Vincenzo Cottinelli. lo "Espresso" appare come un generoso repertorio dei pensieri più estremisti, inospitali e indigesti che siano oggi a disposi1.ione (Illich, Lasch, Fortini, o la satira di Benni ...). A nessuno, o quasi, è negata la possibilità di eseguire il suo brillante numero nel Gran Varietà Culturale. Probabilmente una riflessione di questo genere sta all'origine della scelta di fare una rivista come "Diario", che esce due volte l'anno (se va bene): non occorre votarsi a un particÒlare ascetismo intellettuale per capire che oggi la cosa più "oppositiva" è dire e scrivere meno e non più degli altri, dire I' essenziale (siamo infatti assediati e intossicati dal troppo, in ogrù campo e in ogrù momento della giornata). L'ormai celebre e lapidaria battuta di Bellocchio "Taci, il nemico non ti ascolta" andrebbe corretta nel più realistico "Taci, il nemico non solo ti ascolta ma forse si.diverte e forse ti dà perfino ragione". Sfogliando le recensioni al libro di Bellocchio quello che colpisce è l'adesione commossa e pressoché unarùme, l'imbarazzante profusione di riconoscimenti (a parte rari spunti critici: Guarini sul "Messaggero" e altri, più prevedibili, da parte di "luoghi" piuJtosto distanti dall'autore, come "Il giornale" e "Il sabato"). Insomma, ci sarà pure qualcuno, nella cultura "già di sinistra", nello sterminato' ceto intellettuale, laico e pluralista, così impietosamente raffigurato su queste pagine, a sentirsi pulito nel vivo, e a volerradicalmente e pubblicamente dissentire da Bellocchio, dal suo sistema etico-culturale di riferimento, dalla sua percezione della realtà! Naturalmente si poteva anche ignorare questo libretto; se però si decide di parlarne (il che è pur sempre preferibile) allora bisognerebbe fame buon uso. La mia impressione è invece che i molti e "simpàtetici" recensori si limitano, nella maggioranza dei casi, a dichiarare la propria sincera ammirazione: o per la "passione ardente" o per !'"irregolarità" o per gli "aforismi deliziosamente fulminanti" (chissà, a furia di dire di qualcuno che è "irregolare", alla fine ci sentiamo un po' "irregolari" anche noi). Ora, queste pagine non sono mai programmaticamente controcorrente. Il sentimento prevalente è lo stupore più che l'indigna1.ione e l'ironia: e proprio per questo sono capaci di dire alcune verità elementari, perfino ovvie o di buon senso. Il ragionamento dell'autore, che si disegna nitidamente dietro le tante e frammentarie osservaziorù sulla vita quotidiana e sul paesaggio culturale, non è mai del tutto prevedibile nei suoi sviluppi, proprio in forza di quella sovrana "libertà di spirito" di cui ha detto berùssimo Pampaloni. Eppure molte delle cose che dice Bellocchio risultano distantissime dalle "idee dominanti": sulla smarùa di aggiornamento della cultura comunista, sul bisogno degli "intellettuali medi" di stare sempre a una certa quota, sulla vanità canagliesca di Umberto Eco, sulla aggressiva meschineria di Asor Rosa, sulla spiegazione della fortuna millenaria della chiesa cattolica (universalistica e popolare, mentre i suoi nemici sono stati tutti elitari), sulla rozze7za e intolleranza di "certi pubblicisti di sirùstra", sull'elogio dei "piccoli imbroglioni" che vivono di espedienti, e poi sugli accattorù, sulla "verità", sul laicismo, sui quotidiarù, etc. etc. Una lettura che si limitasse a passiva ammirazione o a un morbido piacere del testo (cose pure legittime), senza registrare un qualche cortocircuito, un qualche disagio anche solo intellettuale, si mostrerebbe davvero "iperv accinatacontro ogrù infezione etica e problematica". Personalmente non sarei nemmeno tanto sicuro che Bellocchio potrebbe essere defirùto, con buona approssimazione, "apocalittico di sinistra" (una classificazione in certo modo rassicurante: è singolare come molti recensori si sforzino di sottolineare, in mezzo a tanto pessimismo, elementi propositivi, costruttivi). Sull'ultimo numero di "Diario", l'ottavo, la sua desolata e immedicabile diffidenza per il cattivo Nuovo si spinge al punto di desiderare di conservare anche le cose più inaccettabili del Vecchio (come l'altare della patri.a). Si può anche .plausibilmente dimostrare che essere oggi di sinistra significa soprattutto voler conservare qualcosa della realtà ( più che cambiarla o migliorarla); il che implicherebbe però un ripensamento radicale del nostro lessico politico. In definitiva, il torto maggiore che si potrebbe fare a Bellocchio è proprio quello di non permettergli neppure di stare dalla parte del torto.

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