Linea d'ombra - anno VIII - n. 54 - novembre 1990

• CONFRONTI Foto di Giovanni Giovannetti. va sempre "sì". Col volto scontento, si dichiarava felice di ubbidire agli ordini della realtà. Si sobbarcava, ·conquella sua espressione sempre un po' amara e malinconica, qualsiasi incombenza sociale e mondana. Per fare dispetto a chi, si dichiarava contento dell'oggi? Vittima sacrificale degli usi, il suo spirito di rivolta aveva, molto tempo addietro, deciso di esprimersi nella forma della rigorosa e ruvida ubbidienza. Così la sua disperazione restava inespressa, sembrava un tic. Moravia era diventato un artista che non sa esprimere se stesso:·che parla, parla, ma non dice mai la cosa reale. Si guardava vivere. Si presentava ogni volta là dove doveva essere. Ma lui dov'era, in realtà? I suoi continui viaggi in Africa dicevano da tempo che non era più realmente qui, sebbene sembrasse. Si alzava, si vestiva e si metteva ogni mattina al tavolo di lavoro. Scriveva, scriveva. E poi riscriveva molte volte i suoi libri. Spesso specificava quante volte aveva riscritto un libro prima di pubblicarlo. Cinque, sei, sette volte. Come passati al tornio spietato delle riscritture, i suoi romanzi erano perfetti e tautologici come cilindri e sfere di legno. La sua era un'arte astratta, non un'arte realistica. La realtà dei romanzi di Moravia er.aun'invenzione inconsapevole, lo scenario ossessivo del voyeur, che vuole vedere e mostrare sempre la stessa scena, con minime variazioni. Molto presto Moravia aveva deciso che interrogarsi sul valore e sul· senso dei suoi diversi libri era insensato, un inutile spreco. La letteratura era diventata per lui una specie di alienazione Come se una voce dentro di lui avesse detto: "E così vuoi essere romanziere! Scrivi rom.anzi, più ro!llanzi che puoi. Non smettere. Il romanziere è quello che è: uno che scrive romanzi. E se non si scrivono continuamente romanzi, si smette di esistere"_. Così Moravia sembrava difendersi, scrivendo, dal rischio di non esistere. Sembrava esorcizzare 1a morte con l'arte. Ed esorcizzava l'arte con il lavoro ordinato e ininterrotto. Negli ultimi venti o trent'anni della sua attività, Moravia non scavava più per scoprire qualcosa di nuovo. Scavava per gettare con i suoi nuovi libri delle palate di terra sul romanzo. Riempiva la fossa nella quale il romanzo giaceva morto. Il romanzo di Moraviaeramorto · da qualche parte, tempo addietro, ma bisognava fare come se non fosse morto. Mai farsi contagiare dall 'idca della morte, finché si è in vita. Era ancora necessario mandare in giro il fantasma del romanzo, la replica del romanzo, la sua controfigura. Era necessario far coinparire questa sagoma dipinta come se niente fosse successo. Ma chi aveva ucciso il romanzo di Moravia? Forse lui stesso. Moravia-Achab aveva creduto di uccidere la Balena del Romanzo che era in lui e che sarebbe stata, finché in vita, fonte di inesauribili rischi. Era l'indomabile vita originaria del romanzo, che nessuna legge riesce a governare, ciò che Moravia esorcizzava. Per fare il romanziere, per fare lavitadel romanziere, era necessario seppellire il romanzo, trasformarlo in una presem.a pretestuale. Questo eràno diventati i romanzi di Moravia: vicari e controfigure onnipresenti della sua vocazione originaria. Perché allora l'uomo Moravia continuava ad apparire così vivo? Questo è innegabile: la persona di Moravia era diventata a poco a poco molto più viva e più reale dei suoi nuovi ·romanzi.I suoi articoli erano migliori e più vivi dei suoi libri. I suoi libri sull'Africa erano migliori e più vivi dei suoi libri di narrativa, delle sue storie romane. Perfino nelle interviste Moravia appariva più intellige~ e vitale, e più narratore, che nelle sue narrazioni sul sesso come conoscenza (come coazione). Assediato dall'idea delia morte, Moravia respingeva questa idea con tutte le sue forze. Ma chi respinge la morte respinge la vita. Moravia temeva l'idea della morte in tutte le sue forme. Detestava il passato, viveva.in un eterno presente, trasformato testardamente dal suo òttimismo ascetico nel migliore dei mondi _possibili.Si indignava e si infuriava di fronte ai suicidi. Aveva scritto degli articoli più o meno di denuncia e di rimprovero contro Pavese e contro Hemingway dopo il loro suicidio. Perfino l'assassinio di Pasolini sembrava profondamente irritarlo, oltre che addolorarlo. Non solo rifiuto della morte, ma di ogni mutamento nell'ordine della vita.Ripeteva che la vecchiaia non esiste se si continua a fare la stessa vita che si faceva da-giovani. Si era definito romanziere esistenzialista. Ma ciò che manca nel tono stesso, nel linguaggio della narrativa di Moravia è proprio l'esistenza: variabilità, imprevisto, casi fortuiti, senso dell'instabilità, della precarietà. In Moravia la vita non è mai qualcosa che ha un limite nella ·morte. Nessuna ombra. Il tempo atmosferico non esiste inMoravia, e neppure il corpo: stanchezza, desiderio, smarrimento, sconforto. Così la narrativa di Moravia era diventata un efficientissimo sistema di rimozione e cancellazione della realtà. E chi non riesce mai a toccare davvero la realtà non può fare altro che protendersi verso di essa sempre con lo stesso gesto, inutilmente. Ma Moravia dov'era finito? Nei locali perfettamente illuminati dei suoi libri non c'era più niente da vedere. Il mistero era ormai in lui, nello scrittore, non nei suoi scritti. ErichHackl IlcasoAurora pp. 162,lirel5.000 GERTRUD LIWTENEGGER Medusa RainerMaria Rilke Sonettia Orfeo pp. 160,lire14.000 Il casoAurora Gertrud leutenegger Medusa pp. l04,lire14.000 RAl,\IEHMA.HIAHILKE Soneltia Orfeo e-- ✓ ALESSANDROCENI L-.,--------~ I fiumi GaetanoNeri Conversazione conun branzino pp. 128,lire12.000 Alessandro Ceni Ifiumi pp. 72,lire12.000 1 GAETANONEBJ Conversazione con un branzino ✓ MARCOS Y MARC()S Via Settala 78 - 20124 Milano tel. 02-29517420/22 27

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