Linea d'ombra - anno VIII - n. 54 - novembre 1990

... CONFRONTI Vincis ci ricorda invece che la superiorità del modello scientifico non è affatto automaticamente valida: esso può fornire del1e stime, delle linee guida, non delle certezze. Si tratta in realtà di due modelli interpretativi differenti ma egualmente validi: quello dello scienziato che "mette tra parentesi il contesto nel tentativo di isolare la coppia causa-effetto" e quello della comunità che dà, all'opposto, la massima evidenza al contesto; in altri termini, Io scienziato vuole spiegare, la comunità vuole comprendere. Se scienziati e comunità estremizzano_ i rispettivi modelli assumendo un atteggiamento massimalistico, la comprensione diventa impossibile, come si vede nelle diatribe senza fine tra gruppi di scienziati tradizionali e ambientalisti convinti. Questo è già dannoso se si tratta di scienziati "puri", ma è esiziale quando si tratta di medici, poiché la comunicazione costituisce l'essenza stessa della medicina. E tuttavia, come sottolinea Vineis, se l'epidemiologo (e il medico) non dimentica che i termini che usa, ancorché non siano la realtà, usano comunque immagini e analogie che dalla realtà derivano; che cioè la spiegazione implica forzatamente la comprensione, la possibilità di comunicare con la comunità laica, almeno parziale, resta. La comunità è composta da individui: l'epidemiologo non può dimenticarlo, a rischio di anteporre una presunta "salute pubblica" al benessere individuale. Ugiacobinismo nella medicina è nefasto sul piano scientifico ancor prima che su quello della realtà, come stanno a dimostrare molte campagne messianiche a PTOQOSitdoi alimentazione e stile di vita. E proprio qui che discipline mediche e storiche si separano radicalmente, ancorché possano utilizzare strumenti simili. L'epidemiologo lavora sempre avendo in mente la prevenzione; la sua "osserv~ione" è quindi in realtà sperimentale: non per nulla i termini "esperimento" e "pericolo", cioè "rischio", riconoscono una medesima radice linguistica. Il concetto di rischio ha sempre un aspetto sperimentale, anche se non per scelta dei medici o dei pazienti. I lavoratori in fabbrica, i cittadini nell'ambiente, i pazienti in ospedale vivono 'di fatto in condizioni sperimentali permanenti. Lo studio epidemiologico di gruppi, la comparazione tra i tassi o le prevalenze di patologie, sono sì, largamente osservative, ma in funzione di un disegno sperimentale. Anche lo storico osserva e può, talora, anche prevedere dei comportamenti (ad esempio che in caso di epidemia si cercheranno sempre dei capri espiatori: stranieri, ebrei, sovversivi, omosessuali, drogati, capitalisti ...), ma non può (né è suo compito) prevenire. Così anche la lettura dei fatti del passato ha in realtà un significato diverso per l'epidemiologo e per lo storico. Domandarsi che cosa sarebbe successo se Luigi VII di Francia fosse stato un marito meno rigido o se Carlo il Temerario fosse stato più disposto ad ascoltare i propri consiglieri dopo la battaglia di Monthléry è, per lo storico, un esercizio alquanto inutile. Al contrario, per l'epidemiologo può essere importante e costruttivo chiedersi cosa sarebbe sucy:essose i precetti pitagorici sulle fave non fossero stati interpretati come superstizione pura e semplice; se le misure di isolamento in corso di epidemia non fossero state più volte eluse per motivi commerciali; se i medici si fossero · lavate le mani prima di visitare le partorienti: perché quel che non è successo allora può succedere oggi e salvare delle vite, mentre nessuno può trarre insegnamenti per il mondo attuale dalla guerra dei Cento Anni o dalla caduta del ducato di Borgogna. Insomma, comparazione e osservazione sono strumenti simili, ma hanno funzioni del tutto diverse in mano allo storico e ali' epidemiologo. E non parliamo naturalmente delle "comparazioni" care agli storici da gazzette, che da analogie apparenti e grossolane traggono profezie più o meno sinistre e invariabilmente sbagliate. Ali' epidemiologo la lettura del passato può, realmente, insegnare qualcosa: per esempio che l'io "pragmatico" è molto spesso incarnato nella gente comune, ma non per questo è inferiore o più ignorante dell'io "metodologo", tipico dello scienziato, che può anzi risultare (magari per convenienza) alquanto arretrato; e cito al proposito due episodi. Chateaubriand si stupisce che a Roma, nel 1803, il popolo ritenga, a differenza degli scienziati, che le "malattie di petto" (la tubercolosi) siano contagiose, e se ne difenda isolando i malati; questa convinzione, ovviamente corretta, è liquidata sbrigativamente come "pregiudizio". Nel 1824, al sacre di Carlo X, sono rimasti in pochi (120) gli scrofolosi che si fanno toccare dal re per guarire, ma li accompagna nientemeno che il grande chirurgo Dupuytren, uno dei fondatori della moderna medicina. Vuol farsi notare da sua Maestà o ci crede davvero? Sta di fatto che più di cento anni prima la Principessa Palatina considerava già questa pratica una sciocchezza. In generale però le osservazioni, anche quelle eseguite da osservatori precisi emagari corredate di dati statistici, restano pur sempre osservazioni, o meglio interpretazioni, senza alcun potenziale modificatorio. Nel solo mese di luglio del 1596, osserva L'Estoile, furono ricoverati all'Hotel-Dieu di Parigi 305 malati per "fièvres chaudes et pestilentes"; oltre a quelli naturalmente morti per strada e ai gentiluomini che morivano in casa. Cosa curiosa, l'epidemia sembra colpire più i ricchi che i poveri, sottolinea scandalizzato il cronista. Ecco un'osservazione abbastanza precisa, ma che può trame l'epidemiologo? Nulla o quasi che abbia interesse per il mondo di oggi. La domanda che fa di un'osservazione un esperimento, "che cosa sarebbe successo se... ?" non è (per il momento) applicabile a questo cac;o.Per lo storico invece è un dato di più. che precisa il contesto. La differenza sta in quei due termini citati da Vineis: "spiegare" e "comprendere": il medico (e quindi l'epidemiologo) è interessato a comprendere per prendere decisioni. Lo storico (ma anche lo scienziato puro) lavora interamente sul versante della ·spiegazione. Ora, la spiegazione non porta necessariamente con sé modificazioni, la comprensione generalmente sì:,misure come l'isolamento, la quarantena, la vaccinazione precedono di secoli i risultati (esplicativi) della ricerca scientifica: e in realtà, se si esclude l'epoca trionfale d'ella microbiologia, l'idea di causa semplice e lineare, necessaria e sufficiente, non ha mai avuto corso in medicina; e invero i medici pratici, quelli che vedono i malati, hanno sempre saputo, anche durante la rivoluzione microbiologica, che le malattie infettive non erano distribuite egualmente nelle comunità, e che non bastava incontrare un germe patogeno per ammalarsi. Il bel libro di Vineis ci ricorda, con una ricchezza inabituale di riflessioni e di esempi, la necessità di una concezione politetica dei modelli di rischio, in contrapposizione al riduzionismo banale. Modelli di rischio è un testo che ci piacerebbe vedere letto dai medici e soprattutto dagli studenti universitari, troppo spesso affascinati dal neoriduzionismo scientistico o, al contrario, dal confusionismo sovente un po' ignorante, spacciato per adesione alla teoria della "complessità". Vineis ci dimostra che il rigore scientifico e la perfetta conoscenza della propria disciplina, delle sue possibilità e dei suoi limiti sono presupposti necessari alla riflessione sui metodi e sui rapporti con discipline diverse. L 'improvvisazione, l'adesione alle mode, la passione smodata per la terza pagina dei quotidiani o per le rubriche televisive sono oggi l'ostacolo principale allo studio e al pensiero. Per i medici come per gli storici. 25

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==