Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

attori, la giustezza delle facce, dei corpi, la capacità di radicare un'appartenenza di gruppo (non certo di classe) e di ricostruire un'atmosfera da come ci si prepara a un incontro o da come si dà un bacio. C'è una piccola grazia in tutto questo, e contemporaneamente la sensazione che questa gentilezza di tocco sia molto di superficie, incapace (ma si tratta di un'opera prima: diamogli fiducia) di riflettere e di specchiarsi in un ordine più vasto. Come nel miglior Rohmer. Ecco, il difetto più grande è proprio questo, <ij. guardare troppo a Rohmer, anche se dei suoi film ha preso il gusto del bavardage più che quello per la limpidezza. In Rohmer la verità è . sempre fuori campo; nella Discrète, in scena c'è tutto. Ed è troppo e troppo poco. (Paolo Mereghetti) SILVIO CAIOZZI: lA LUNANELLOSPECCHIO Riuscir;nno mai i cileni a liberarsi dagli incubi del passato? Silvio Caiozzi ha qualche dubbio nonostante il trionfalismo di certe elezioni (soprattutto nei commenti occidentali) e con una trasparente ma appassionata metafora lascia jl dubbio che i rapporti tra vecchie e nuove generazioni siano così stretti e incancreniti che si sia addirittura persa la bussola della libertà. In una camera affacciata sul porto di V alparaiso, un ufficiale della marina in pensione passa i suoi giorni a letto, curato da un figlio che non chiama mai per nome, ma solo per soprannome: el gordo, il ciccione. Non sappiamo cosa obblighi il vecchio a questa vita da RafaelBenevenlenel filmdi SilvioCaiozzi. CINEMA infermo; scopriamo molto presto però che infermo non è, perché per spiare il figlio si alza tranquillamente dal letto, nonostante abbia arredato la casa con un complicatissimo sistema di specchi in mbdo da poter osservare quasi ogni cosa avvenga nell'appartamento. · Vaie a dire tutti i movimenti del figlio e il pudibondo corteggiamento che tenta verso la vedova dell'appartamento di fianco, occasio- ·nalmente donna di servizio. Scritto a quattro mani con lo scrittore José ·Dono so, La luna en el espejo non racconta tanto il tentativo del giovane di vivere la propria esistenza nonostante l'incombente presenza del padre e delle sue esigenze mediche, quanto l'inestricabile rapporto tra i due. Non è la ricerca o il désiderio della libertà che aleggia nel film, ma piuttosto l'impossibilità di questa libertà, perché lo scontro generazionale si innesca su una continua ripicca di tipo patologico, dove i tre soggetti (padre, figlio, vedova) si fanno disperatamente coinvolgere dal parossismo e dalle nevrosi reciproche, schiacciati dai loro ruoli così come li schiaccia la macchina da presa, che incombe sui volti dei personaggi togliendo loro quasi l'aria per respirare. Chiuso con loro in quell'appartamento, circondato dagli specchi che rimandano sempre le medesime facce e le medesime cose, anche lo spettatore viepe pian piano coinvolto e circondato da quell'atmosfera soffocante, onnivora e, come i protagonisti del film, dimentica completamente quello che può esistere oltre quelle pareti. E tra il passato necessariamente mitico di un militare impotente e le sabbie mobili del presente dentro cui annegano un figlio incapace di conquistarsi l'autonomia e una donna condannata alla subalternità, il film ~onsuma la sua lucida lezione di sconfortante pessimismo e di disperazione esistenziale. (Paolo Mereghetli) SERGIO RUBINI: lA STAZIONE Che co'sa, ne La stazione di Sergio R~bini - già attore pregevole (L'intervista emolto teatro), oggi passato alla regia cinematografica - , perturba l'ordine o il disordine naturale del giovane cinema italiano? Perché al suo apparire questo piccolo film senza padri ha provocato un'ondata di consensi come da tempo nonficordavamo? Proviamo arispondere: il filmdi Rubini - tratto da un testo teatrale di Umberto Marino, rappresentato con successo dagli stessi protagonisti del film, Rubini, Margherita Buy ed Ennio Fantastichini- inganna i sensi fin dalla partenza. Il racconto è all'inizio pacato, tradizionale, nessun colpo di testa: con nettezza di particolari viene descritto il piccolo mondo notturno della stazione e il suo abitante, il capostazione Domenico, un Rubini dal gioco impalpabile, senza vezzi al di là dell'accentazione dialettale. Ali' entrata in campo di Margherita Buy, ragazza bene senza convinzione, il dialogo prende slancio, le piccole ossessioni del protagonista costruiscono una rete esilarante, E a questo punto che l'esterno - la notte, il passaggio ripetuto dei treni, il temporale e la nebbia-cominciano a invadere, per slarghi cinematografici trattenuti ma intensi, il chiuso della stazione. Il buio fuori c'è davvero, un buio minaccioso svelato, ma non troppo, dall'irruzione della violenza di Danilo, il fidanzato yuppie della ragazza (un Ennio Fantastichini sformato da soldi e stupidità). Stiamo però ancora nella provincia italiana quella che non riserva_più, nel nuovo cinema, nient'altro che nostalgiche memorie. E nient' altro ci aspettiamo noi spettatori. Rubini ha aspettato fino a questo punto per giocare tutte le sue carte e prenderci in contropiede. Compresso dalla violenza del mondo del sottobosco capitalista, dalla volgarità dei ricchi, il timido capostazione si tramuta in belva, scopre la benzina e il fuoco, in cinque parossistici minuti distrugge ogni parvenza umana. Rambo è sbarcato nella notte pugliese, non ci sono più santi né Cristi. E se la commedia può tornare, è solo a patto di trasformare il comico in grottesco, mentre quella nebbia oniri,ca che nasconde i binari può celare il sogno o forse l'incubo. L'incubo di un'Italia fatta· di malcostume e neovolgarità. Eccolo il segreto della Stazione: saper ritrovare lacattiverianello sguardo. E ancora molto c'è da fare. (Piera Detassis) 93

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