STORIE/BISHOP scuole alla moda, sebbene gli somigliasse, ma lo stampatello di un bambino tutto preso dallo sforzo di essere ordinato e di stare attento. C'era un guardiano di pecore, un vero pastore, che lo diceva perfino, di essere solo "nel mio ramo di lavoro". Scrivere lo rallegrava perché "le pecore non sono gran che come compagnia (ah, ah)". C'erano parecchi marinai, un cuoco negro, il sottufficiale di un sottomarino e un autentico guardiano di faro. C'era una gran quantità di "domestiche", alcune delle quali dicevano di essere "di colore" e parecchi studenti che scrivevano dal Profondo Sud mi dicevano, come se dovessero farlo, che erano negri. Fra tutte le lettere e le lezioni da me lette fino a che restai alla U.S.A. School, soltanto una piccola parte mostrava un qualche lieve segno di essere in un certo modo una promessa. Si trattava del lavoro di una "signora allevatrice" in un ranch dove si allevavano bovini e pollame, una "vecchia zitella", scrisse, che abitava a un indirizzo servito dalla Rural Free Delivery, in qualche punto del Texas. Le storie che mandava, indipendentemente dalla natura del compito assegnato, erano storie vere. I patetici tentativi degli altri studenti erano sempre sconnessi, incoerenti, troppo brevi. Le sue storie procedevano rimbalzando con esuberanza, come quelle di un buon parlatore, ed erano quasi interessanti, cOn molto colore locale e molti particolari. Erano piene di galli, serpenti, volpi e falchi, ed erano trame drammatiche e forse anche vere che si intrecciavano intorno a vacche morenti, ipoteche, matrigne, bambini, perfide bufere di neve e perfidi uragani. Erano anche venti volte più lunghe di quelle degli altri. ElizabethBishop. 64 Dopo che mi fui licenziata guardavo nelle edicole le riviste per agricoltori come "The Country Gentleman", nella speranza che la signora allevatrice fosse finalmente riuscita a pubblicare qualcosa, ma non vidi mai il suo nome. Pareva che la maggior parte dei miei patetici postulanti non avesse mai letto alcunché, eccetto forse un 'unica memorabile storia del tipo "Confessione Veritiera". Il divario tra le paginette bizzarre, insipide e sconnesse che mi mandavano e quel che vedevano stampato non li colpiva affatto. O forse pensavano che Mr. Margolis avrebbe agitato la sua bacchetta magica e i mucchietti di malinconiche parole-ossa, come gli ossicini di un pollo o le lische di pesce dell'incantesimo, si sarebbero ricoperti di carne e di vitalità trasformandosi in storie e romanzi di lunghezza normale, eccitanti, irresistibili, mozzafiato. Senza dubbio altre, più profonde ragioni facevano sì che costoro seguissero il "corso", spedissero le "lezioni" e pagassero quei vergognosi quaranta dollari. Ma non riuscii mai a convincermi che i miei studenti pensassero davvero di poter un giorno scrivere da professionisti. In ogni caso non credevano che per farlo avrebbero dovuto lavorare sul serio. Per loro era come richiedere i moduli per iscriversi a una lotteria ..ln fin dei conti avrebbero anche potuto vincere il premio come chiunque altro e tutti sanno che queste cose non sono sempre condotte onestamente. Pareva che tutti questi scrittori "naif', come penso si potrebbe chiamarli, avessero in comune una sola cosa che li differenziava dai pittori "nai'f'; la loro fretta e sciatteria. Laddove il pittore "nai'f' impiegherà mesi o anni, se necessario, a mettere nel quadro ogni filo d'erba e a costruire in bassorilievo i mattoni di un muro, lo scrittore "na'if' sembra avere una gran fretta di arrivare alla fine. E poi c'era una quasi totale mancanza di particolari. Il pittore "nai'f' ama i particolari, si sofferma su di essi e li sottolinea a scapito del quadro nel suo complesso. Ma se li usa lo scrittore "na"ìf' i particolari sono spesso incredibili, violentemente inappropriati e talvolta dicono molto sullo scrittore senza far progredire di un passo la vicenda di cui si tratta. Forse tutto ciò è la prova di quanto sia vero il lamento dello scrittore professionista, che dipingere è più divertente che scrivere. Forse le mogli degli allevatori che mandavano i loro pietosi piccoli abbozzi di storie s.enzaconversazioni e senza descrizioni di persone e di luoghi non avrebbero esitato a trascorrere lunghi pomeriggi a decorare amorevolmente con glassate di colore diverso delle torte di compleanno. Ma il soggetto era ugualmente banale tanto per i pittori che per gli scrittori. C'era la stessa tendenza dei "nai'f' a voler mettere ogni cosa al suo posto, perché avesse valore per il mondo, appiccicandoci su una grandiosa, sebbene poco adatta, interpretazione "morale" e allegorica. I miei studenti sembravano , dire: "Le nostre esperienze sono reali e vere e da esse abbiamo ricavato queste uniche, queste nobili conclusioni. Poiché i nostri sentimenti sono tanto nobili, chi avrà il cuore così duro da negarci il diritto alla Fama?". Cosa avrei mai potuto rispondere? Da quel che mi scrivevano era ovvio che non vedevano l'ora di ricevere l'analisi successiva. Forse speravano, ogni volta, che Mr. Margolis avrebbe detto a ciascuno di aver trovato una rivista nella quale pubblicare la loro ultima lezione e avrebbe accluso un assegno. Sebbene lavorassero poco erano tutti avidissimi di ricevere le risposte o forse credevano di dover fingere di essere impazienti. Un uomo scriveva: "Ho dormito tutta la notte con un occhio solo in attesa della sua
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