Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

STORII/BISHOP propri valori. Elizabeth è sicura di T.S .Eliot, della propria grammatica e delle proprie buone maniere. Rachel non ha dubbi sul suo futuro e sul romanro proletario. Le due identità sembrano impermeabili. Tuttavia Rachel alla finestra per un momento sembra pensare che la neve, da sola, valga una poesia, che non occorrano necessariamente i grossi volumi del romanro proletario per esprimere qualcosa che valga la pena di essere espresso. Ma la terribile narratrice non sembra commossa da nulla, neppure dall'incredibile libretto avuto in regalo da Rachel dopo il pranzo d'addio: "non era realismo." Eppure le due sono attratte l'una dal!' altra: ne sono testimonianza le sedie girevoli eternamente voltate. Dunque qualcosa, alla U .S.A. School ofWriting, ha sganciato la comunicazione. Forse la solitudine comune, lo sradicamento? . La solitudine sembra essere la molla propellente di tutti gli iscritti al corso. Essi vogliono il successo e la felicità: amanti, corteggiatori, amici e assegni... È forse questo a renderli dei dilettanti: peflo scrittore "vero" (quello che, come Elizabeth Bishop, continua a correggere quindici pagine per anni e poi non le pubblica neppure?) la solitudine è un a priori e la tragedia che l'ha sganciata è avvenuta molto tempo prima: catastrofe e nascita hanno in qualche modo coinciso. Tuttavia Elizabeth Bishop, che non ha trovato nulla di encomiabile in Rachel, che della "signora Fotodi Walker Evans(1936). 60 allevatrice" dice semplicemente che "mostrava qualche lieve segno di essere in un certo l'hodo una promessa", che ha dissertato con freddezza sui "na'if' e sui loro limiti, sembra quasi commuoversi sul vecchio O' Shea, in cui coincidono l'arte della calligrafia e della frase. È infatti il povero O'Shea a essere schiacciato - e a ragione! - dalla immensità dell'impresa che va tentando: come faranno "gli Autori" a scrivere delle storie così lunghe, e dove trovano l'immaginazione e gli strumenti? È dunque lui l'unico "studente" a porsi consapevolmente di fronte alla natura misteriosa e temibile della scrittura. E tuttavia O'Shea è, ancora • una volta, anche un personaggio comico: quello dello sciocco che dice la verità. Come lui Elizabeth Bishop scrisse poco, e in grande. Elizabeth Bishop non ha scritto grossi volumi né lunghe poesie; ma certamente quei suoi tre leggeri volumetti pesano molto sulla bilancia della poesia americana; e certamente anche lei, ben più dei suoi inconsapevoli studenti, ha creduto alla natura magica della scrittura e dell'arte. Come, se non con l'aggettivo "magico", potremmo definire il perfetto, indissolubile insieme delle sue parole che sono visione? L'intuizione del potere delle parole, della parola stampata e perfino della Parola, se vogliamo credere a Elizabeth Bishop in questo suo scritto, non le venne da Vassar e da tutti i libri letti e studiati fino ad allora, ma proprio dalla U.S.A. School of Writing: gli scrittori americani classici, certo, ma anche la U.S.A. School of Writing di questa evocazione. C'è di che essere grati a Mr. Black.

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