Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

U.S.A. SCHOOL OF WRITING ovvero: Diventare scrittori Elizabeth Bishop a cura di Bianca Tarozzi La pmsa di Elizabeth Bishop (1911-1979), come la sua poesia, è piena di immagini nitide, ha una grande trasparenza di dettato e di gestL E ricca di parole per nulla straordinarie e preziose, ma precisamente affinate dall'uso per descrivere quella forma, quel movimento. Sono le parole che lei scriveva su minuscoli pezzi di carta che poi attaccava a un .pannello - e le lasciava lì, sospese, fino a che non avessero trovato la loro perfetta collocazione. Anche il tono, come le parole, è trasparente, percettibile; pieno di movimenti di meravigliosa naturalezza e che sono, contemporaneamente, del tutto misteriosi. Elizabeth Bishop aveva viaggiato molto: in Europa, in Africa, in tutto il continente americano. Durante un viaggio in Brasi1e•1e capitò di ammalarsi. Si dovette fermare e poi restò in Brasile molti anni, dal 1951 al 1971. Per qualche tempo visse in una casa bellissima nelle montagne vicino a Petr6polis e il suo studio dava su una cascata. Visse là con Lota de Macedo Soares, ·un'amica poi morta suicida. La tragedia aveva segnato la vita di Elizabeth Bishop fin dagli inizi, con la morte del padre e la conseguente pazzia della madre: di questo si parlane! racconto/nthe Village. Qui ci viene data una descrizione minuziosa, estraniata, di una signora alla quale la sarta sta provando un vestito rosso. È il vestito che dovrebbe por fine al lutto, mala donha interrompe la prova con un gridò: e il lutto sarà dunque suo, per sempre: "Un grido, l'eco di un grido, è sospeso sul villaggio della Nuova Scozia, è là sospeso per sempre, una macchia leggera in quei cieli di un azzurro puro ... ( ...) Il grido resta così, sospeso, non udito, nella memoria, nel passato, nel presente, e negli anni compresi tra passato e presente." Con quel grido inizia il racconto; ma il suono che alla fine gli risponde è lo seandito, squillante battere del fabbro nella bottega del villaggio: è il suono dell'artefice, che rimanda al farsi della creazione, ed è anche il suono familiare del radicamento mentre l'altro, il grido, era il suono. della separazione, della inaccettabilità dei· significati. . Elizabeth Bishop trascorre partedell 'infanzia in Canada, con i nonni materni, nella Nuova Scozia~ Great Village; poi visse a Boston, con i nonni paterni. I grandi paesaggi e i grandi spazi ricorrono spesso nella sua poesia, sia che in essa si raffiguri il Canada o il Brasile; e gli uomini sono piccoli, colorati. I titoli delle sue racco! te sono tutti geografici: North ami SouJh (1946), Questions o/Trave/ (1965) e l'ultimo, e terzo, "libro di geografia", Geography lii (1976). Dopo la sua morte furono stampati The Complete Poems (1983) e, un anno dopo, The Collected Prose, un volume composto di racconti e di ricordi. The U.SA. School ofWriting è un brano autobiografico che è stato pubblicato postumo, nel volume della prosa. Ci si potrebbe chiedere perché l'autore non lo avesse pubblicato durante la sua vita, ma la verità è che la Bishop poteva continuare a scrivere e perfezionare le sue poesie e le sue prose per anni: era in molte cose, ma soprattutto riguardo alle parole, di un perfezionismo ineguagliabile. La New York che ci regala qui è una "autentica" New York degli anni Trenta, focalizzata e descritta nei suoi più minuti particolari: l'atmosfera fumosa dell'ufficio, la caffet-· teria affollata e bagnata e la figura meravigliosamente tratteggiata della ebrea comunista newyorchese Rachel, energicamente in cammino verso l'ascesa sociale. Eppure.queste pagine sembrano anche nascondere qualcosa, riferirsi a un silenzio che le oltrepassa Dell'opera della Bishqp, Octavio Paz ha scritto che è "fresca, chiara, potabile" e che, come l'acqua, viene da luoglù profondi e segreti: quel che conta non è soltanto quel che leggiamo, ma anche quel che non troviamo scritto e verso cui le parole misteriosamente ci conducono. Così avviene anche per The U.S.A. School ofWriting che, dopo una prima lettura, ci lascia pieni di domande. Perché parlar tanto dei pittori "nai'f'? E perché la Bishop sembra severa con loro, se invece sappiamo che aveva scritto con simpatia di Gregorio Valdes - un pittore di insegne di KeyWest del quale possedeva parecclù quadri? E poi: perché questa inflessibilità nel giudizio su Rachel? Anoi è più comprensibile Rachel della narratrice. Ci auguriamo che ce la faccia. Ma noi siamo lettori sentimentali, e in questo scritto, come in qualsiasi altra cosa da lei composta, Elizabeth Bishop non è mai sentimentale. Tra le varie "morali" in gioco- quella affaristica di Mr. Black, quella "comunista" di Rachel, quella puritana di una Elizabeth Bishop appena uscita da Vassar e quella penosa, appiccicata alla fine delle lezioni, degli iscritti alla U.S.A. School- vince la morale elaborata con caparbia inflessibilità dalla narratrice: non la fretta, né la sciatteria né l'imbroglio la vinceranno alla fine; e neppure la faticata pazienza del pittore o scrittore "nai:f classico". Vincerà invece solo il mag9 capace di trasformare le parole - il mago che raccoglierà con un cenno della bacchetta magica le foglie secche e gli ossicini spolpati e darà loro nuovamente vita. Perché soltanto un mago sarà capace di qualcosa che non sia soltanto un insieme di minuziosi particolari irrelati, ma sia invece la visione unificante e incantatrice dell'arte. I maghi in questa storia sono due e il primo è quello evocato da Shelley nella Ode al vento dell'Ovest: "Tu invisibile/ presenza dalla quale/ le foglie morte sono trascinate/ via come spettri in fuga/ da un mago incantatore ..." Elizabeth Bishop lo cita scherzosamente maè forse questa invisibile presenza che in The U.SA. School of Writing si contrappone al generico realismo di Rachel. Del resto tutta la poesia di questa artista reticente e discreta non ha fatto altro che celebrare ciò che non appare immediatamente agli occhi. Il secondo mago della storia è Mr. Margolis al quale gli iscritti al corso probabilmente ascrivono poteri magici: lui trasformerà le parole/ossa 'in storie e romanzi di lunghezza completa; dagli ossicini ritornerà al pollo, dalla lisca al pesce. Poiché in questo brano così sottilmente orchestrato Elizabeth Bishop compare sotto almeno tre travestimenti: è la ragazza di Vassar (quello che è stata), è Mr. Margolis (secondo le aspettative degli studenti, un mago) ed è una narratrice piena di quieto umorismo. In realtà quel che trapela e si orchestra in questo ricordo degli anni Trenta è anche il motivo del mascheramento, che è anche mascheramento delle identità sessuali. Ci sono due donne (una, Rachel, di aspetto pil!ttosto mascolino e certamente di animo virile) che impersonano due uomini - Mr. 0Heam e Mr. Margolis. Entrambe sono o reticenti o bugiarde: Mr. Heamnon parla mai di sé, Mr. Margolis sostiene di essere anarclùco - il che è falso. Il loro lavoro è in realtà un imbroglio: nessuno degli iscritti alla scuola diventerà scrittore. Probabilmente tutta la scuola non è che una copertura per, traffici poco chiari. Gli iscritti al corso·fingono di scrivere racconti. In realtà scrivono delle "Confessioni Veritiere", un genere tutto diverso, per il quale non sono in ogni caso dotati. Essi credono che diventare scrittori sia come vincere alla lotteria: perciò si iscrivono al corso. L'autrice svela dunque il risvolto irreale di quella concretissima scena newyorchese che ci ha descritta con tanta cur.a. Ma la convivenza di Mr. Hearn e Mr. Margolis nello strettissimo ufficio della U.S.A. School ofWriting è soprattutto ricca di effetti comici. L'indomita Rachel e la non meno tenace laureata di Vassar (che timidamente ma inflessibilmente corregge la grammatica di tutti) si scontrano senza spargimento di sangue in gags che ricordano quelle di Buster Keaton e "l'energumeno". Il controllo di Elizabeth Bishop sul suo materiale è attuato con una distanziazione comica e con la costante contrapposizione tra ciò che è pesante e ciò che è leggero. Perciò la formidabile Rachel, fisicamente temibile, diventa un neo che va furiosamente su e giù mentre la bocca morde il panino. Lo scontro tra Mr. Hearn e Mr. Margolis finisce alla pari: nessuna delle due ragazze pare avere alcun dubbio su se stessa e sui 59

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