Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

degradata, volgare, stereotipa, e perciò intrinsecamente destituita di valore estetico. Tale classificazione, precisa Spinazzola,- non implica affatto una gerarchia di valori: la scelta di un uditorio più o meno numeroso rientra in un · progetto, che potrà essererea:lizzato in mani eta più o meno convinsente, a seconda dei singoli casi. La differen,za, in termini di interesse critico, corre piuttosto, a ogni livello, fra la produzione ripetitiv.a e manieristica e le opere autenticamente innovative. La misura della novità andrà ricercata, anziché sul terreno dei trovati formali (come vorrebbe un'ottica avanguardistica), nella capacità di rimotivare e riqualificare l'utenza; e il giudizio estetico sortirà, di · conseguenza, dalla valutazione della concreta proposta, cioè dall'analisi del modo in cui l'opera ripensa il rapporto fra scrittura e lettura. (In questo impianto metodologico si annida, mi pare, una riserva che di questi tempi non suona davvero infondata: se ogni mutamento è degno d'attenzione, nulla garantisce a priori che si tratti di un fenomeno positivo). Gli interventi sui vari libri presi in esame, ordinati nei quattro strati di cui s'è detto (letteratura sperimentalè o di élite, letteratura istituzionale, letteratura d'intrattenimento, letteratura residuale o paraletteratura) corrispondono con notevolissima puntualità al programma enunciato. Il loro obiettivo non è di esemplificare i caratteri dei diversi raggruppamenti, bensì di illustrare la peculiare articolazione di ciascun disegno testuale. La teor;ia, in altre parole, non fa aggio sulla concreta prassi critica: la indirizza, senza soffocarla o pregiudicarne il decorso. A questo punto è tuttavia necessaria:un' avvertenza. Le pagine ctjtiche di Spinazzola sono di assai impegnativa lettura, specie per chi vi si accosta per la prima volta. È questo un piccolo paradosso per lo studioso italiano che si è dedicato con maggior tempestività e originalità ai problemi della ricezione- ma ognuno, si sa, ha le proprie contraddizioni. Molti critici prediligono le prospettive, per dir così, trasversali: entrano in argomento dì sbieco, o di scorcio, in maniera accentuatamente soggettiva, talora aneddotica, e perfino, in apparenza, divagante. Così facendo, ricorrono a strumenti espressivi squisitamente letterari: inventano similitudini immaginose, definizioni icastiche, apologhi; argomentando, narrano - e a volte narrano più di quanto argomentino. Fra costoro si contano studiosi di primo e primissimo ordine, fra cui un'intera schiatta di saggisti di talento sovrano, come Giacomo Debenedetti o Sergio Solmi o FerdinlU'ldo Neri, e tanti altri ancora, d'una generazione di cui s'è forse smarrito o ammaccato lo stampo (e nella quale si vorrebbe includere anche il compianto Gianfr~co Contmi, se troppo mediocri epigoni non ne avessero degradato il magistero stilistico a Uiilezioso, snobistico vezzo). Vi sono poi capaci professionisti delle belle lettere, che sanno porgere con garbo e perfino con vivacità le proprie considerazioni: ma non sono molti. A schiere si contano invece gl'incohcludenti verbosi, eruditi o distratti, che camuffano nella scioltezza dell'eloquio un'assoluta penuria di -argomenti. 34 CONFRONTI Un po' per inclinazione naturale, un po' per consapevole scelta, ma un po' sicuramente anche per un 'implicita volontà polemica, Spinazzola ha abbracciato una soluzione contraria. Nelle sue pagine i testi vengono, lettenilmente, affrontati, cioè presi di fronte, con un impegno descrittivo e interpretativo che nulla concede all'ornamentazione gratuita o all 'esibizione di gusti personali. Il suo modello espressivo non è il saggio, con tutto quanto di soggettivistico e "creaÙvo" esso comporta, bensì il trattato, magari breve o brevissimo (della misura, appunto, di una recensione da quotidiano), · ma strutturato secondo un'ineccepibile coerenza logica. L'obiettivo non è di rinchiudere l'oggetto dell'indagine in una definizione, in una cifra, in uno slogan - ciò che induce alla tentazione di fare critica con_le parole, anziché con le idee - ma di ricostruirne la dinamica interna, privilegiando gli aspetti problematici e contraddittori. Il carattere dialettico di tale· orientamento trova la sua espressione più vistosa nella frequenza dei nessi avversativi: "Lo spirito critico può bensì attingere momenti di vittoria, ma sempre parziale e labile. Noruiimeno, esso rappresenta l'unica arma contro il prevalere della barbarie oscurantista". È questo un brano del commento dedicato al Nome della rosa: e, per la precisione, da quel passaggio obbligato dell'analisi spinazzoliana che consiste nella riformulazione ed esplicitazione critica degli elementi in gioco nell'ideologia dell'autore. Qui, come altrove, una funzione cruciale è • affidata alla precisione definitoria. L'architettura logica del discorso si realizza attraverso la • combinazione di sintagmi nominali: sostantivo + aggettivo, o sostantivo+ coppia di aggettivi, eventualmente complicati da specificazioni (per esempio: un doppio registro di colorismo spregiudicato e di inquietudine pensosa), o ancora, dal ricorrente schema sostantivo + avverbio di modo + aggettivo: che, nella rinuncia al più facile costrutto coordinativo, testimonia di uno sforzo di concettualizzazione quanto mai spiccato e caratteristico (uno stile liricamente assorto; una trasgressione gratuitamente o'itraggiosa; una crudeltà caruiida.fanciullescamente distruttiva; un'ironia e un'autoironia briosamente, cinicamente pirotecniche). È vero che, per contro, le frasi sono di norma abbastanza brevi (come organismo logico-sintattico, il paragrafo prevale nettamente sul perios:lo); ma non c'è dubbio che la pregnanza del!' argomentazione richieda al lettore una concentrazione quanto mai assidua. A questo non banale impegno di lettura consigliano di accostarsi due buone ragioni almeno. La prima è che su ciascuno dei te_sti trattati Spinazzola esprime delle posizioni decise: non sfumate, non elusive, non ambigue. La mancanza di soggettività è una mera apparenza, dovuta alla compostezza di un linguaggio un po' algido, tutto proteso com 'è a spiegare e a razionalizzare (e non a caso uno dei motivi critici ricorrenti consiste nella diagnosi delle collisioni o degli attriti delle diverse Wel- . tanschauungen con noccioli di irriducibile irrazionalità o inesplicabilità). Ma anche se rifugge dal pronome 'io', la cri tica spinazzoliana muove da un impulso valutativo fortissimo, improntato a un severo moralismo che è (o è stato) un tratto distintivo della cultura di sinistra. Secondariamente, dall'insieme dei brani raccolti emerge un quadro storico sul quale è indispensabile riflettere. "Dopo l'avanguardia", e dopo il Sessantotto, la letteratura italiana ha registrato un diffuso recupero della narratività, secondo modi estremamente variegati, diversi da autore ad autore, ma accomunati dal tentativo di raggiungere un pubblico esteso, in buona parte nuovo. Questo tentativo è sostanziahnente rientrato nel decennio successivo. Capire quali prospettive si possano dischiudere oggi è impossibile, senza un'adeguata analisi complessiva di quel ch'è avvenuto in un passato "appena trascorso, eppure già così indiscutibilmente remoto". Spinazzola, per parte sua, consegna a questo volume non una risposta, ma una serie di "casi'' e di quesiti, imperniati su una questione cruciale: la cronica difficoltà della letteratura italiana a democratizzarsi: Le avanguardie avevano giustamente sottolineato i rischi cui la creatività artistica è soggetta, nella società moderna: il conformismo, la mer~ cificazione, l' involgarimento consumistico. L'esito è stato però l'arroccamento su pÒsizioni élitarie, cioè il rifiuto del contatto con il grande pubblico, con la giustificazione (o l'alibi) di sfuggire alla mistificazione del! 'industria culturale. L'"andata verso le masse" degli anni Settanta non ha prodotto i risultati sperati; sulla "democraticità innovatrice" ha continuato a prevalere la "popolarità divulgatrice"; e di conseguenza la civiltà letteraria, anziché arricchirsi ed espandersi, è ritornata a segnare il passo. Il panorama della cultura italiana tende così a ripresentare ("in forme nuove e meno appariscenti ma non pertanto meno esiziali") l'antitesi fra una élite intellettuale assai ristretta e la grande maggioranza della popolazione, relegata in condizioni di subalternità. Con le considerazioni di Spinazzola si può consentire o meno, ma non c'è dubbio che la somma dei problemi che egli solleva (qui, nel confronto diretto con i testi, a partire dalle peculiari ragiom d'interesse di ciascuno; altrove, e segnatamente nel volume La democrazia letteraria, ìn termini propriamente teorici) siano decisivi per le sorti della nostra cultura. E tanto più in una fase come quella che stiamo attraversando, circa quest'alba degli anni Novanta: in cui gli scrittori sembrano trovare difficoltà sempre maggiori -a usare i mezzi dell'industria culturale, anziché esserne usati, e quindi difficihnente sfuggono a soluzioni abusate o prefabbricate - quali il solipsismo, l' aristocraticismo manieristico, l'omologazione passiva, l'adeguamento opportunistico agli interessi più immediati dell'industria editoriale e alle richieste più scontate e facihnente gratificanti degli acquirenti di libri. Di una siffatta situazione è presumibile d'altro canto che le responsabilità della critica non siano davvero poche. "Dopo l'avanguardia", non a caso, un dibattito culturale autentico è mancato; né potevano bastare a surrogarlo estemporanee e transitorie . polemiche, integrate ormai senza residuo alcuno nelle formule dei settimanali e delle trasmissioni-contenitore.

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