CONFRONTI Il nemico in carne e ossa L'utopia dei perdenti, la realtà dei vincitori Edo.ardaMasi t - Che co~. mi domando, in una come me, indifferente per lo più alle suggestioni della narrativa contemporanea, provoca un così pressante coinvolgimento alla lettura del romanzo di Marge Piercy Sul filo del tempo 1? La bravura dell'<\utrice, certo, la padronanza del mestiere, dove la sperimentazione strutturalenarrativa e linguistica è abilmente piegata a imporci come reale l'immaginario - la parte (apparentemente) realistica del libro, alla quale la sfera (apparentemente) futuribile-fantascientifica è subordinata e funzionale. In assenza di queste qualità, il romanzo naturalmente non-ci direbbe nulla, o ripeterebbe l'errore frequente di riv~stire una buona materia saggistica di inutili forme narrative: non voglio tentare qui un'analisi in questa direzione, pur essenziale e pertinente ai fini che l'autrice si pone. Ai fini accennerò invece, quali si realizzano nelle riflessioni disordinale che suscitano nel lettore (in me lettrice), e al pensiero forte che li sorregge. Il punto di vista del personaggio Connie (o Consuelo: è una chicana che abita a New York) domina la vicenda dall'inizio alla fine e per ogni pagina (ad eccezione del capitolo XX e ultimo - la trascrizione della cartella clinica): ma il racconto non è in prima persona. Compartecipi della verità allucinante sono la narratrice e con essa il lettore: garanti e testimoni di oggettività non riducibile a proiezione altrui soggettiva e allucinata. "Questa sorta di partecipazione raggiunge l'osservatore: partecipare, prendere parte noi stessi. Estrema soggettività. Ma nemmeno l'ombra di arbitrio, nemmeno l'arbitrio della commiserazione o dell'esuberanza, solo autenticità ricca di tensione". Si addicono a questo libro le parole scritte da Christa Wolf a Fotodi Gianni Berengo Gordin. 30 proposito di una maggiore, ben diversa autrice 2 • Per il narratore si tratta di non assumere il personaggio come oggetto: è l'estensione alla scrittura di un progetto rivoluzionario, giacché il risultato a cui mira si oppone al contesto presente e alle ideologie di supporto. La mia solitudine si rispecchia in quella di Connie. Sono in grado di romperla, sempre e solo grazie a doti o fortuna o privilegio individuali: ma per l'assenza di un rapporto autentico e costante col consorzio umano, con la società nel suo complesso, . la mia condizione è uguale a quella di Corinie - senza rimedio. È una solitudine che non ha per contropartita la libertà- fosse quella limitata o illusoria del barbone che dorme per la strada e rivendica a sé la propria miseria. Sono lasciata sola ad affrontare e risolvere ogni mio problema: al tempo stesso, al primo sintomo manifesto di debolezza (fisica, intellettuale, economica, morale) un potere esterno è autorizzato (da chi?) a intromettersi nella mia vita più intima, a cancellarla e a sopraffarmi: non solo col peso dell'opinione (che lo spirito forte può ignorare), ma con gli interventi delle sue burocrazie, cui non è dato sottrarsi. Il liberalismo borghese si intreccia alla protezione socialista, dell'uno e dell'altra mi sta addosso l'evoluzione caricaturale. L'esercizio del controllo a fini estranei e avversi all'interesse individuale e collettivo si ammanta di civismo e di moralità. Empio o malato è chi resiste. Neppure del mio corpo (e del mio cervello: della mente) mi è concesso disporre, né da viva né da morta. Quello che accade a Connie può accadere a ciascuno di noi, basta che scatti la trappola iniziale, l'occasione (ola mala volontà di qualcuno) che ti faccia classificare fra gli anormali, gli asociali, o i folli. Tanto più facilmente accadrà ai già classificati nella gerarchia degli esclusi o degli inferiori per appartenenza etnica,
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