Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

IL CONTliSTO Serena, Barbara e altri bamb,ini Il 11 come se" del giudici e dei periti Silvana Quadrino ·Barbara ha quattro anni; i suoi genitori si sono separati da qualche mese. Per lei (come per Serena Cruz, e per altri bambini) i grandi hanno dovuto prendere decisioni che cambiano tutta la sua Vita:dove vivrà, con chi ... Decisioni che dovrebbero essere, per quànto possibile," giuste": c'è un tribunale - il tribunale dei minori - apposta per questo. Così per Barbara (come per Serena, e per altri bambini) una sentenza deciderà il quadro della sua vita futura. E terribile tutto questo? Non più di quanto altro di ingiusto, incomprensibile, incontrollabile può capitare a un bambino. I grandi decidono sempre per loro, e, spesso, sbagliano; da questo, in qualche modo, si impara a difendersi, e a sopravvivere. ' Ma la sentenza che riguarda Barbara (come quella di Serena e di aljri bambini) è una sentenza un po' particolare; non c'è solo un giudice che, con umana fallibilità, sceglie e decide. La sentenza si appoggia a qualcosa che dovrebbe renderla più vera (e più accettabile?): una diagnosi, scientifi,ca,impeccabile e inappellabile. La diagnosi del perito, che classifica, definisce, cataloga: Barbara è, sua madre è, suo padre è, un genitore è buono l'altro è cattivo, a Barbara servono certi atteggiamenti e non certi altri. Quello che è stato deciso è l'unico possibile bene, per questa bambina. Inevitabile che da tanta certezza nasca qualche dubbio: sarà proprio così? G sono due modi per muoversi nel mondo, per interpretare la realtà, per prendere decisioni: credere (sperare, illudersi) che ci sia una verità, un giusto che presuppone un falso, un bene che presuppone uri male, e agire di consèguenza. O agire come se..La differenza non è da poco: visto che scegliere, decidere, si deve, chi solo per esigenze di vita, chi anche per obbligo di professione; il punto è se si decide in nome della Verità o in nome della impossibilità di hon decidere. Il medico di fronte al lavoratore non clinicamente "malato", ma sopraffatto dal peso delle ore di lavoro e dalle incombenze quotidiane, deve o non deve concedere "qualche giorno di mutua"? Il commissario di . esame deve o non deve promuovere il privatista attempato che di lettere · e conti sa assai poco, ma senza licenza media non può trovare lavoro? Bisognerebbe decidere secondo giustizia; ma: quale giustizia? E certo questo è ancbe il dilemma del giudice: quello che sta scritto sui codici offre sufficienti indicazioni per decidere "secondo giustizia", quando si ha a che fare non con princìpi ma con comportamenti, non con norme astratte ma con individui reali? Nella Filosofia del come se, Hans Vaihinger ricorre all'idea della finzione come unico modo per evitare il blocco da indecidibilità: non potendo esimersi dal giudicare, il giudice sceglie il metodo del "come se". La finzione a cui specificamente allude Vaihinger, è la convinzione che ogni uomo sia libero, e di conseguenza punibile; di conseguenza ancora, punibile mediante l'alienazione della libertà. "Il concetto di libertà, tuttavia, è solo servito a rendere possibile il verdetto. Ma se l'uomo sia veramente libero non viene analizzato dal giudice". · Nel caso di Barbara, di Serena, ogni volta cioè che si decide sul futuro di un bambino (di un minore, come impone il gergo giuridico), il giudice si trova a dover decidere "come se" sapesse qual è il bene di quel particolare bambino, qual è il bene di un bambino in generale, qual è il genitore ideale, l'ambiente ideale, il metodo educativo ideale. Altrimenti, non potrebbe decidere. Quello che è fondamentale, è che il giudice accetti, e ammetta, che questo in realtà non è vero. Il bene di Serena, di Barbara, di qualsiasi bambino, non si può individuare, definire, programmare utilizzando norme e parametri, pianificandolo con una sentenza Soprattutto, nessuno (neanche un giudice) può sapere davvero qual è il bene di qualcun altro. Purtroppo, le decisioni "come se" sono difficili da prendere, e sono difficilmente compatibili con.la serenità e con la buona salute. Mentre le certezze assicm:ano sonni tranquilli, buona digestione e buoni rapporti con la stampa, evitano le emicranie e i sensi di colpa. Non c'è da stupirsi quindi che siano in molti a cercare di coniugare decisioni e certezze, possibilmente certezze scientifiche. E siccome (almeno in questi casi) la funzione crea l'organo, da questa esigenza nascono i periti. O meglio: da questa esigenza prende origine una mutazione della figura del perito, che da consulente del giudice finisce per trasformarsi sempre più spesso in tecnico della verità. · Sono i tecnici della verità (tecnici maldestri, peraltro) che hanno offerto gli spunti migliori per inondare l'Italia di parole e lacrime nel c~o di Serena Cruz. Sono ancora loro che, con o senza l'onore delle prime pagine, trasformano con sconcertante frequenza le cause di separazione in,insensate battaglie in cui i bambini non sono che trofei da assegnarsi al genitore vincente. Battaglie che si combattono a colpi di Rorschach, di colloqui che non riescono e non possono essere clinici e troppo spesso diventanò polizieschi, di sedute "diagnostiche" con bambini intimiditi e inevitabilmente imbeccati da genitori e avvocati (ricordati di dire che ... non raccontare di quella volta.:.), di test interpretati in modo a dir poco avv.enturoso. Tutto alla disperata ricerca di un àppiglio che permetta di dire: certamente, sicuramente, senz'ombra di dubbio, la decisione giusta, la sola, è quella che stiamo per prendere. È questo che rende difficile accettare certe sentenze: quella che Marcello Flores chiama ("Linea d'ombra" n. 50) la "robusta ipocrisia degli esperti". Fuorviante, e'inacèettabile: il lavoro dello psicologo non ha niente a che fare con la ricerca della verità (o, peggio ancora, delle colpe e delle responsabilità); punta all'ampliamento dei confini delle verità individuali, all'individuazione di altre soluzioni, di altre possibilità, di altre interpretazioni della realtà; più funzionali ali' equilibrio, al cambia- · mento, alla risoluzione dei conflitti. E questo richiede tempo, e l'adesione e la partecipazione del "paziente" a questa ricerca: lo psicologo occhio di falco che al primo sguardo capisce tutto del suo interlocutore anche se questo cerca di celarsi sopravvive ormai solo nei discorsi da treno (mai dire "faccio lo psicologo", su treni a lungo percorso) e nelle trasmissioni di Funari. Di Serena, invece, l'esperto aveva capito tutto; e rapidamente, anche. Passato, presente e futuro, al di là di ogni ragionevole dubbio. Non è magia,. signori, ma scienza: bastano pochi test, e tutto è lì, chiaro ed evidente come un'analisi dell'orina_.Anche di Barbara, di suo padre, di sua madre, il perito di turno ha capito rapidamente tq.tto. E la scelta che ha suggerito al giudice h~ il rassicurante alone della imparzialità della scienza. Robusta ipocrisia, ma anche robusta presunzione, che permette . di utilizzare quello che nella pratica del lavoro psicologico è suggestione, metafora, stimo I azione e simbolo in sqµal]idi certificati di buona o cattiva salute psichica, di idoneità o meno all'esercizio del ruolo genitoriale. ~ In quest'orgia di certezze, in questo clima da competizione senza freni, l'ostilità prevale inevitabilmente sulla ricerca di mediazioni, e, anche, sulla ricerca della miglior soluzione possibile per il bambino. Anzi il bambino sparisce; come sempre; parlano gli adulti, decidono gli adulti, loro che sanno. È questo che rende spesso angoscioso il "dopo sentenza": l'impressione che sia stato pronunciato non solo un giudizio (quello, sì, inevitabile), ma una diagnosi. Nonrichiesta, non discutibile, non utilizzabile per stare meglio. . Non è questo il ruolo dello psicologo consulente del tribunale dei minori. Non dovrebbe essere questo. Allo psicologo, al perito, dovrebbe · spettare_il compito di ampliare le possibilità di accordo: di far nascere ipotesi educative accettabili e utili per il bene del bambmo: consulente degli adulti e alleato'del bambino, insomma, ma non in nome della verità. Quella, spetta al giudice cercarla: "come se" esistesse davvero. E, in · effetti, era appunto in nome del "come se" çhe Salomone proponeva "equamente" di tagliare. in due il bambino conteso ~a du~ m3?11.<?ù5sà se, confortato dal parere di un perito, non avrebbe deciso d1tagliarlo m due davvero! 29

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