Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

IL CONTISTO che vide in qualche modo sconfitta la propria ipotesi e tarpata la proJ2riaidentità proprio in quella data famosa. E sembrato di cogliere - nei commentatori e giornalisti che sono intervenuti - una nostalgia della guerra fredda:,diffusa tra l'altro anche in occasione di polemiche di altro genere che hanno avuto sempre quel periodo come contesto storico. Sarà stato il bisogno di "esagerare" per tenere alte le tirature, sarà stata la sindrome suggerita da Nicola Tranfaglia, secondo cui la quasi assoluta omogéneità politica odierna rende necessario rifarsi alle contrapposizioni del passato per stabilire le rispettive differenze. Ma forse vi è anche qualcosa d'altro. Vi è il bisogno di revisionismo di chi sente come una colpa l'essere stato affascinato in passato - forse con un po' di esagerazione - dal mito della resistenza rossa, armata, irriducibile e vendicativa. Il conformismo radical-rivoluzionario degli anni giovanili ha ceduto il passo . al conformismo dello stare dalla parte della storia, cioè dei vincitori, dei potenti, di chi decide cosa è giusto e vero. A livello di farsa - che di questo si tratta'- si sta ripetendo quanto era accaduto quando le violenze e i massacri dei vietnamiti hanno fatto improvvisamente pentire tanti intellettuali di avere attaccato il governo americano quando gettava il napalm su quei futuri assassini. Ma vi è anche, probabilmente, una confusione d'identità, che il crollo del comunismo all'est ha fatto aumentare, rendendo improvvisamente sfuggente e ambiguo il nemico di sempre. Una nuova identità forte avrebbe bisogno, per ricrearsi, di una forte tensione morale, di un grande impegno intellettuale, di una enorme curiosità e voglia di capire, tutti beni in via di esaurimento in questo Occidente di fine secolo. Meglio quindi, e cioè più facile, ricostruirsi una pseudo-idenµtà cercandola nel passato, appiattendo sull'oggi,. sui suoi valori e timori, tutta l'esperienza di cinquant'anni o addirittura di un secolo intero. In questo modo è possibile confondere, sovrapporre, sostituire ruoli e concetti che nel tempo hanno mutato di senso, ma soprattuttò diventa lecito abolire la diversità dei contesti, cioè l'unica speci- . ficità storica che occorre tenere presente. Nel passato c'è ancora certezza di schieramenti, attorno a valori che oggi parrebbero vuoti e indefiniti, incapaci di marcare e dividere. E giusto indignarsi, allora, per le mistificazioni e le confusioni, pur se occorre vederle come un segno di confusione morale e di debolezza intellettuale, come sempre sono l'arroganza e la protervia. Ma più giusto ancora sarebbe superare in positivo queste scialbe polemiche, oltrepassarle d'un colpo proponendo nuovi orizzonti e più adeguate interpretazioni. Per farlo, tuttavia, occorrerebbe essere davvero diversi, mentre la variegata sinistra italiana ama diversificarsi nelle definizioni e nelle forme, ma resta profondamente· omogenea nella sostanza. Ci si aspettava dai còmunisti un atteggiamento che fosse · insieme rispettoso della verità storica ma anche attento ai diritti degli individui e alla giustizia Dopo un primo e inevitabile richiamo alla glasnost, invece, vi è stato un allineamento universale - con la parziale e provvisoria eccezione di Passino - a difesa di Togliatti e della tradizione ed eredità comunista. Esemplari di questo atteggiamento sono state le rampogne-minacce di Pajeua all'ex partigiano responsabile di aver fornito agli avversari l'occasione di denigrare e la lettera scritta a dieci mani dallo stesso Pajetta, dal custode della purezza resistenziale Boldrini, dal togliattiano di destra Lama e dal togliattiano di sinistra Tortorella, da quella specie di Scelba comunista che è Pecchioli e che dette il meglio di sé negli anni dell'emergenza. . Il merito di Montanari non era stato quello di rivelare verità largamente conosciute, ma di aver indicato alcuni nomi precisi, chiedendo se non fosse il caso, a più di quarant'anni di distanza, ·di restituire onore e giustizia a chi erano stati tolti, puntualizzando· le eventuali responsabilità politiche e monili anche dei dirigenti comunisti.L'appello di Montanari non assolveva, anzi, 1--'operato di polizia, carabinieri e magistratura, nè le eventuali connivenze 20 che nel condannare degli innocenti vi potevano essere da parte delle forze politiche e sociali al potere. Era un richiamo a mostrarsi più morali degli altri e più disposti a'cercare la verità, rompendo con l'antica tradizione di "difendere il partito" e di nascondere tutte le proprie contraddizioni dietro l'inevitabile "doppiezza" dei tempi. Se si può a fatica accettare per buona l'idea che non si poteva "fare la spia" e indicare a una magistratura nemica di classe i nomi dei veri responsabili (ma si tratta di una tradizione etica che dovrebbe perlomeno suscitare qualche dubbio), è del tutto inaccettàbile che venga difeso, ancora oggi, il diritto del partito a stabilire' chi poteva essere sacrificato e chi no alla giustizia borghese. Questo chiedeva Montanari per ·prima cosa, e questo hanno avuto il coraggio di fare solamente i due complici dell'assassinio del parroco che del resto si erano già autodenunciati, non creduti, all'epoca del delitto. Possibile che nessun dirigente, grande, medio o piccolo, abbia mai discusso allora di questi casi, abbia dato ordini o consigli, abbia provveduto a fornire alibi o a organizzare campagne di difesa? Certo vi erano anche i casi di partigiani accusati ingiustamente, ma si tratta di un problema diverso, che solo una morale strumentale o un'etica bassamente utilitaristica possono usare come merce di scambio per coprire l'altra realtà. Ed è una morale, al di là delle parole e delle dichiarazioni, che è passata indenne nella storia comunista, da Togliatti a Occhetto, attraverso Longo e Berlinguer. È questa morale- il partito sopra ogni cosa, i s'uoimembri compresi, il partito come unica garanzia complessiva di verità e giustizia, a cui sacrificare, se il caso, singoli momenti di verità e giustizia che potrebbero venir utilizzati dagli avversari -che non è più tollerabile, anche perché l'annacquamento ideologico del-· l'ultimo ventennio l'ha portata lentamente a coincidere - nella sostanza_anche se non nelle forme- con l'etica praticata e difesa da tutti gli altri partiti, con quella partitizzazione dello stato che ha reso sempre più diffuso il codice etico mafioso, di cui l'omertà (non fare la spia) è uno dei fondamenti. A fianco di una simile questione morale, che era prioritaria, l'appello di Montanari conteneva anche una questione storiografica, e cioè la reale portata dei "regolamenti di conti" postresistenziali e 1'atteggiamento della dirigenza comunista di fronte a questo fenomeno. Tale questione, che certamente è meno lineare della precedente, avrebbe meritato posizioni più articolate .erisposte meno univoche. La difesa a spada tratta di Togliatti e del suo operato è infatti possibile solo a chi accetti la ricç>struzionedi quegli anni secondo la vulgata comunista tradizionale, che ha sempre attribuito a "schegge impazzite", al settarismo operaista di Secchia e all'impazienza dei giovani partigiani, le resistenze a quella via democratica al socialismo di cui Togliatti sarebbe stato immacolato alfiere. È questione su cui bisognerà ritornare più estesamente, perché si tratta di anni cruciali per comprendere la storia della ~epubblica. Per adess9 basti ricordare che quelle "schegge impazzite" erano l'altra faccia dell'amnistia ai fascisti voluta da Togliatti, due facce contraddittorie di una realtà multiforme che il Pci voleva e forse doveva gestire entro il suo orizzonte totalizzante e integralista. Due facce che contribuirono entrambe al fallimento di quella riforma dello stato che sola avrebbe potuto dare sostanza al rinnovamento istituzionale. E non è certo scontato ritenere che fossero le .schegge impazzite degli ex partigiani a rappresentare l'ostacolo più vero e pericoloso. Quanto a chi crede che la perdita dell'identità storica comunista sia una iattura, e chi attribuisce alla svolta di Occhetto e aJla deboleua dell'attuale Pci la colpa di offrire all'avversario il destro per una denigrazione morale e politica, li si può solo invitare a non cercare nella nostalgia una forza che in passato era solo apparente. Le vere debolezze del Pci, anche oggi, risiedono nel non voler abbandonare la strada maestra della tradizione togliattiana, di cui Ingrao è degno interprete alla stregua di Napolitano.

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