Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

proprio per quelle classi e quei valori che i comunisti dicono di voler difendere.. Ma evidentemente a "quelli del No" poco importa la constatazione che quei valori che la sinistra ha bene o male agitato - solidarietà, uguaglianza, giustizia sociale - e altri che deve necessariamente assumere nella loro radicalità - le libertà e i diritti individuali; la qualità della vita e dei consumi, le questioni ' ambientali - non possono che perdere senso, forza, fascino se non vengono rapidamente sottratti alla loro totale incoerenzacoi regimi e le ideologie variamente comuniste. E poco importa, infine,che l'esito della vittoriao la resistenza delNononpotrebbe che essere un piccolo, inutile partito, nemmeno di "puri e duri" (per evidente mancanza di purezza), nemmeno di inossidabile ILCONTESTO coerenza (infatti: coerenza a cosa? Per esempio: al rifiuto del Patto Atlantico - anni Cinquanta -, alla sua accettazione - anni Settanta-, al suo nuovo incipiente rifiuto?) e nemmeno di simpatici utopisti (per mancanza di coraggio e fantasia): sarebbe insomma, senza ironia, un partito di veri comunisti italiani... Ma, per concludere: capisco i dubbi che solleva, i rischi che evoca, la scarsa attrattiva che suscita questa tutt'ora indefinita alternativa a un neo-Pci. Non c'è nulla di facile e nulla di rassicurante in questa fuoriuscita dalla tradizione. Ma una continuitàsi è rotta, una storia è finita.Comunque. Sipuò, nella sinistra dentroe fuori il Pci, come al solito chiudere gli occhi e salvare se stessi. Ma davanti all'inutilità e alla tristezza di un esito del genere, non vale la pena di correrlo, il rischio di ricominGiare? Reggio Emilia, 45 anni dopo Vendette e sensi di colpa · Marcello Flores Anche le polemiche più insulse e strumentali possono offrire qualche insegnamento e sollecitare qualche utile. riflessione. Delle centinaia di colonne di piombo scritte sul "triangolo della morte" di Reggio Emilia e sulle presunte atrocità commesse da ex-partigiani nei mesi e anni successivi alla Liberazione, solo poche righe meritano di essere ricordate, oltre al meritorio sasso in piccionaia lanciato, forse con-un po' di ingenuità, da Otello Montanari. Dalle.decine di giornalisti che si sono gettati come segu~i sulle orme di una preda che prometteva di essere grossa e succosa, non è venuta una virgoladi conoscenza inpiù di quanto, spontaneamente,non avessero resonoto unristrettissimonumero di protagonisti di quei fatti. Dalle decine di commentatori - più o meno autorevoli - che hanno sintetizzato e divulgato con sicumerapari alla propria ignoranza il clima politicoe l'ambiente storico della Resistenza e del dopoguerra, sono venute solo grossolane mistificazioni e contraddittorie spiegazioni; nei casi migliori-rarissimi-, è sembrato coraggioso ed anticonformiReggio Emilio, op,ile '45. sta riproporre una ovvia quanto dimentiçata verità storica. Viene da chiedersi, innanzitutto, se il cumulo di disinformazione e di falsificazione della cronaca e della storia cui è toccato di assistere sia stato il frutto di un consapevole attacco alla Resistenzae ai suoi valori, comehannovoluto vederei comunisti; o il fruttopiù o meno inconsapevole di altri meccanismipsicologici e intellettuali. Certo non è mancato chi ha voluto incolpare direttamente la Resistenza di ogni delitto addebitato successivamentea ogni singolo partigiano,ma si è trattato dei solitirigurgiti nostalgici che ormai fanno parte del folklore storico-giornalistico. Più serio è stato il tentativo di proporre una nuova scansione della storiadell'Italia repubblicana, in cui gli anni della guerra di Liberazionee quelli della solidarietà ciellenistica appaionocome una sorta di magmatico e confuso preludio, mentre la vera fondazionedell'Italia contemporanea sarebbe quella della vittqria "democratica" - cioè democristiana- del 18aprile 1948.E una ipotesi, questa, che attrae, paradossalmente, i cattolici integralisti e una parte del mondo laico e socialista, tutta gente, cioè,

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