IL CONTESTO · Quelli del no ovvero: la Cosa, uar anno· dopo Marino Sinibaldi A quasi un anno di distanza sembra ormai chiaro come l'effetto principale della proposta di Achille Occhetto sul destin.o del Pci sia stato quello di far emergere il disastro culturale, prima e più che politico, della sinistra italiana. Benché quella discutibile definizione geopolitica - la Sinistra - non si riassuma affatto, nemmeno nell'Italia di oggi, con l'area organizzata o influenzata dal Pci, la qualità e i modi del dibattito sulla Cosa sintetizzano efficacemente (o penosamente) i diversi volti della crisi della sinistra: la sua scarsa rappresentatività sociale, il suo vuoto di prospetti ve politiche, la sua mancanza di concretezza e di realismo (con te· conseguenti convulse oscillazioni tra demagogismo populista e iperrealismo migliorista). La sua latente catastrofe culturale, appunto, prima ancora che la sua lampante sconfitta politica. Dentro questo tormentato - anche se necessario e, chissà, forse salutare - harakiri, colpisce il prepotente emergere di un agglomerato di sentimenti, un modo di pensare, un sistema di reazioni e un linguaggio che hanno contraddistinto gli oppositori di Occhetto, "quelli del No". Aldilà delle differenze politiche e culturali interne a questa area neocomunista, impressiona il senso comune che in questo anno faticoso ha prodotto e che oggi costituisce un fenomeno politico, culturale e antropologico capace di illustrare meglio di altri la dimensione e i connotati delle difficoltà della sinistra italiana. Anche da questo punto di vista, lo scontro lacerante che si è aperto nel Pci rappresenta un'occasione decisiva per la sinistra e l'opposizione italiana, una piccola (absit iniuria verbis) Ora X che decide il suo prossimo futuro. E perciò va osservata, o vissuta, con attenzione. Intanto, colpisce l'assoluta mancanza di sviluppi, progressi, r_novimentie mutamenti del processo che si è aperto dentro il Pci. E come un dramma senza plot. Lo schieramento dei favorevoli e dei contrari che si è creato praticamente all'indomani della proposta di Occhetto è rimasto immutato. Tutto nel mondo pare essersi fermato da allora e quello che è accaduto dopo, ossia la più radicale liquidazione di un sistema politico e ideologico cui sia accaduto di assistere, sembra non debba né possa influire su quelle vicende e quelle decisioni. Non c'è stata, o c'è stata di dimensioni ridottissime, alcuna evoluzione dalla prima comprensibile reazione di militanti che istintivamente rifiutano la prova ardua cui Occhetto li chiama (ma, in realtà, cui mediante Occhetto, sono costretti), e però poi non si sottraggono alla necessaria fatica di una riflessione sulla propria storia più o meno recente e sulla crisi senza uscite del Pci italiano - o almeno osservano senza pregiudizi gli eventi sicuramente tormentati e ambigui ma dal senso straordinariamente limpido in corso in tutto il mondo. E dunque riconsiderano la loro primitiva reazione, metabolizzano lo shock, magari cambiano idea. Mi rendo conto come questa descrizione di un processo ideale di riflessione politica pecchi di illuminismo e sembri non tenere in conto la profondità dei sentimenti messi in discussione. Ma sospetto molto dello scialo di emozioni, della esibizione di pathos di un corpo politico come quello comunista, che altre volte ha dato 16 ampie dimostrazioni di freddezza, in positivo e in negativo (di intelligenza e di cinismo, cioè). E dunque ritengo più importante la constatazione che il dibattito interno ed esterno al Pci non abbia in alcun modo aiutato questo magari ostico ma necessario e anche elementare processo di riflessione '(di rieducazione, direi, se il termine non emanasse, per chi ha letto gli scrittori dissidenti cinesi, un alone sanguinario). In assenza di ogni spazio di confronto reale, di autentica e non formale rimessa in discussione di storie, scelte, paradigmi, identità, e persino di quella analisi concreta della situazione concreta che un vecchio maestro dei comunisti non si stancava di raccomandare, il dibattito sulla Cosa ha assunto la più vieta e scontata delle direzioni: la contrapposizione di due tesi e di due schieramenti, sempre più astratti e sempre più inconciliabili, sempre più ridotti nelle desolanti e mistificate categorie dei "vecchi" e dei "nuovi". Questa considerazione oggettiva non è una dichiarazione di equidistanza. Ritengo giusta e, nella sua forma originaria, persino ovvia e scontata la proposta di Occhetto, ma non è questo l'importante.L'importante- o meglio, il deprimente, lo scoraggiante - mi sembra ormai la forma del dibattito e in particolare gli argomenti più o meno apertamente messi in campo dall'area del No. Qui è venuto nitidamente alla luce quel disastro culturale della sinistra della cui esistenza non dubitavamo, ma che oggi appare come l'esito finale di una distruzione di energie, speranze e anche intelligenze critiche che, davvero, viene da lontano. ùn esempio eclatante del clima sfasciato che sopravvive a questo disastro è la grossolana falsificazione della "svolta a destra". La proposta di Occhetto assomigliava per certi versi a una scatola vuota che poteva variamente essere riempita; poteva muovere, insomma, in diverse direzioni, a destra o a sinistra, per usare i termini cui molti sembrano irrimediabilmente affezionati, ma soprattutto poteva alludere a soluzioni diverse per quanto riguarda questioni assai più importanti: il superamento della forma partito, per esempio, o il rapporto con le tensioni e i movimenti sociali, che ovviamente disegnano discriminanti differenti da quelle rassicuranti della tradizionale geopolitica da guerra fredda. E invece il primo assioma messo in campo nel dibattito ne ha subito mostrato il carattere strumentale e deformante. L' equazio- ,ne superamento del comunismo=svolta a destra, se da un lato rivela-come cercherò di dimostrare- una concezione settaria politicamente e infondata storicamente, nell'immediato colpisce soprattutto per la mancanza di riscontri obiettivi: fino alle vicende del Golfo non c'è stato praticamente esempio, nella politica dell'ultimo Pci, di scelte "di destra". E invece ce ne sono state "di sinistra", o almeno così definibili rispetto alla tradizione del Pci (soprattutto su tematiche legate 'ai diritti come informazione, droga, libertà sindacali). E poi, eventualmente, svolta rispetto a cosa? A destra rispetto a cosa? Credo di poter evitare qui l'esercizio - utile e sgradevole altrove, ho constatato - di ricordare pedantemente gli esempi di quanto "a destra" sia stato il Pci negli anni Sessanta e Settanta, per lasciar stare i fantasmi precedenti. D'altra parte, questo semplice richiamo provoca una curiosa
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