Linea d'ombra - anno VIII - n. 53 - ottobre 1990

OTTOBRE1990 - NUMERO53 LIRE8.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo

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Direttore: Goffredo Fofi Direzione editoriale: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancado Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Giorgo Bert, Paolo Bertinetti, Gianfranco Bettin, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camerà d' Afflino, Gianni Canova, Marisa <t Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerièi, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo DeJ· Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Deiassis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Bruno Fa).ceno, Maria Ferretti, Marcello Flores, Ernesto Franco, Guido Franzineni, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Gabriella Giannachi, Paolo Giovannetti, Giovanni Gi4dici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Mancorii, Maria Teresa Mandalari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Paolo Mereghetti, Santina Mobiglia, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Maria Schiavo, Fr;mco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, PaolaSplendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchena, Eman1tele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela/Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Franco Cavallone, Natalia Del Conte, Giorgio Ferrari, Carla Giannena, Giovanni Giovannetti, Grazia Neri, gli uffici stampa delle case eilitrici Costa & Nolan, Einaudi, Garzanti e Mondadori, Il Piccolo Teatro Città di Palermo, la libreria Popoll!re di Via Tadino a Milano. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Te!. 02/6691132-6690931. 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I LINEA D'OMBRA ·anno VIII ottobre I 990 numero.53 4 Editoriale 5 Harold Pin.te/ 9 Joaqu{n Solwlowicz Un golfo di retorica Oh, Superman! Sull'imperialismo americano Guerra sì, guerra no · 11 Mimmo Lombezzi Mediologia dell 'Intifadah 13 Sylvie Richterowa 16 Marino SinÌbaldi · Il mostro nato in Europa La Cosa, un anno dopo 19 Marcello Flores Reggio Emilia,, 45 anni dopo 21 Piergiorgio Giacché Dipingi di verde il tuo condominio! 24 Francis Pisani Cuba oggi. Un'inchiesta 29 Silvana Quadrino Serena, Barbara e altri bambini IN MARGINE: G.Cherchi (a p. 15). Il: 1 :Illlllllìl:::1:I:::::::::::::::i:::I:I:::i:::=:1 1 ::::i::;::1::::::::=:::;:;::1 1 :1 :; : :: ;:; ;;;;::::::::::::I::::::::::::I:::;:::::::::::::::::::::: 30 33 41 Edoarda Masi Mario Barenghi Ghada Samman L'utopia dei perdenti, la realtà dei vincitori Critica militante: l'esempio di Spinazzola Scrittrice a Beirut, incontro con P. Di Capua e I. Camera d'Afflitto e M. Nadoiti su Maria Schiavo (a p. 32), S. Mobiglia su Cynthia Ozick (a p. 35), M. Caramella suJonathan Ames (ap. 36),B. Pischedda su Sandro Veronesi (ap. 37), G. Turchetta su.Malerba, Maraini e altri autori di romanzi storici (a p. 39), Promemoria (a p. 81), Gli autori di questo numero (a p. 94). · 71 . 59 75 43 46 53 56 66 82 87 Christine Koschel Maria Pia Quintavalla Forugh Furokhzad ·Ana Hatherly Zoe Valdés Elizabeth Bishop R. L. Stevenson Louise H. EmnuJns Hanif Kureishi Amitav Ghosh Dick Hebdige Janet Frame Franco Scaldati Gianni Cano\la Due poesie Poesie Versetti terreni Le tisane Poesie amorose U.S.A. School ofWriting. Lettera aperta al reverendo dottor Hyde di Honolulu Le foreste delle piogge ai tropici Un vero inglese dalla testa ai piedi, o quasi a cura di Gabriella Giannachi Per una scrittura non violenta a cura di Fabio Gambaro Morte del teen-ager a cura di Roberto Gatti Un angelo alla mia scrivania a cura di Liuba Songini Lucio. Commedia Un film di Soldini sul comune senso dell •orrore e, dal Festival di Venezia: P. Spi/a su Jane Campion (ap. 88), M. Nadotti su Mike Ockrent (a p. 89), su Claire Denis. (a p. 90) e su M. L. Bemberg (a p. 91), G Fofi su Martin Scorsese (a p. 90), P. Mereghetti su Tom Stoppard (a p. 89), su Christian Vincent (a p. 92) e_su Silvio Caiozzi (a p. 93), P. Detassis su Aki Kaurismaki (a p. 91) e su Sergio Rubini (a p. 93), R. Rovescalli su Michail Pandurski (a p. 92). · La copertina di questo numero è di Margherita Be/ardetti

IL CONTESTO Un golfo di retorica Non è facile affrontare la crisi internazionale che si è aperta conl'invasioneel'annessioneirakena del Kuwait senza venire coinvolti nella banalizzazione retorica Q demagogica offerta, in Italia soprattutto, dalle forze politicheedallàstampadiogni tendenza. La difficoltà risiede tanto nel collocare la crisi presente in uno scenario internazionale di ardua comprensione ove si voglia ragionare in termini di medio e lungoperiodo, quanto nell 'incapacità di dare risposte di carattere etico e politico a interrogativi che nascono sul terreno del diritto internazionale, dell'uso e della risposta alla violenza, dei limiti e della possibilità di ricorrere alle armi. . Sul primo problema, quello dei caratteri nuovi della realtà internazionale in quest'ultimo decennio del secolo, bisognerà continuare a riflettere. Per adesso basterà sottolineare la miopia dei · più quotati commentatori che irridono alle recenti analisi sulla decadenza della potenza americana proponendo come vincente l'immagine di un unico superpotere che, per fortuna nostra e del mondo intero, è ormai· quello democraticoeprot.ettivodegliStati Uniti.Non si può tacere, tuttavia, l'analisi identica ma di segno opposto che attribuisce all 'Urss di Gorbaciov la colpa di aver lasciato il campo all'imperialismo americano, la cui potenza arrogante e incontenibile detterebbe ormai legge sulla scena internazionale. La possibilità di un nuovo equilibrio multipolare non è certovanificata dagli avvenimenti del Golfo, trattandosi di una tendenza che riguarderà i prossimi anni e decenni e che non va misurata semplicemente in termini militari, ma anche economici, diplomatici, culturali ed etnici. Il bisogno di mettere in graduatoria e classificare la potenza delle diverse nazioni e la loro forza morale non dovrebbe fare dimenticare la necessità che caratterizza tutti i paesi, anche adesso, di muoversi tenendo· conto delle opzioni e delle obiezioni dei loro partner, alleati, avversari. 4 La semplificazione dell' analisi sembra comunque rispondere a un duplice scopo: accoppiare un'informazione di carattere declamatorio-impressionistico, fatta di grandi contrapposizioni e fondata su un facilemanicheismo, con un'indicazione politica che è anch'essa figlia dell'emotività e della ricerca del facile effetto. Pur se il loro peso reale è ben diverso, sembrano rispondere alle stesse esigenze e caraterizzate dallo stesso strumentalismo tanto la retorica bellicista che la demagogia pacifista. La prima, ovviamente, è la più pericolosa, e non solo perché è maggioritaria e dispone dell'.appoggio dei grandi media, primo fra tutti quel formidabile strumento di manipolazione e formazione delle coscienze che è il telegiornale in diretta. Nella tradizione politica italiana, che ha sempre privilegiato gli schieramenti sui contenuti ed è sempre stata caratterizzata da un tasso eccessivo di ideologismo, l'enfasi bellica e l'evocazione artificiosa di antitesti irriducibili quali amico/nemico, assedio/difesa, giustizia/nefandezza, non può che produrre effetti deleteri: più sul piano interno, della coesione e della psicologia collettiva, del consenso e dell'estremizzazione emotiva, che su quello della politica internazionale, dove la ricerca di un ruolo e di uno spazio spingono spesso ad atteggiamenti meno drastici. Ugualmente grave, tuttavia, è che la sinistra non sia stata capace di maturare una propria posizione, muovendosi imbarazzata a rimorchio del governo o adagiandosi su un pacifismo demagogico tutt'altro che privo di connotati preoccupanti. Né si può addebitare solo a opportunismo la metamorfosi che ha portato pacifisti d' antana schierarsi coi falchi del Pentagono e irriducibilibarbudos avestire ipanni dei nonviolenti adiciotto carati. La tendenza a considerare l'attività politica come la conquista di un qualche spazio - grande o piccolo che sia - che si possa gestire a proprio piacimento e su cui poter · imprimere la pròpria egemonia ha coinvolto ancora una volta la sinistra nelle sue anime diverse. Al di là delle petizioni di principio, tanto più roboanti in genere quanto meno profondamente radicate, il consenso alle posizioni pacifiste tende anascondere, e anzi a utilizzare, un'adesione egoistica e opportunistica il cui motto sembra essere I' andreottiano "non farsi coinvolgere". È difficile prendere sul serio chi strilla sull'invio dei Tornadoenonproponepoilosmantellamento immediatodell'industria bellica nazionale per timore di perdere un po' .di consenso sindacale, chi accusa l'occidente di voler fare una guerra per il petrolio ma vuole difendere i consumi e i prezzi attuali del medesimo. Non si sfugge all'impressione, insomma, che il pacifismo sia piirindirizzato aottenere vantaggi politici (di spazio, di immagine, di peso, di ruolo) che non a essere realmente praticato e a costituire la base per una concreta propostadi.politicainternazionale. Conquestononsivuolenegare che molte delle argomentazioni dei neo-pacifisti rispondano al vero, né che siano improvvisamente spariti dalla scena mondiale i motivi e gli interessi che la dominavano nel passato. In ogni demagogia c'è sempredelvero,eil problemaodierno è quello invece di cosa occorra fare per costruire, se può esistere, una coerente posizione pacifista. Senza infingimenti e senza richiami emotivi, pur se bisogna avere consapevolezza che sono i richiami emotivi a formare le correnti d'opinione pubblica. Prima di poter giungere a una nuova definizione dei valori morali che possono e debbono fondare un modello di comportamento internazionale, occorre sbarazzarsi di alcune idee-guida che hanno sorretto negli ultimi decenni, o perlomeno ridimens.ionarne fortemente il carattere di verità unica e assoluta. Parlare oggi dell'imperialismo americano come del primo e solo nemico dell'umanità, con una terminologia da guerra fredda e un'analisi da "anni del Vietnam", può solo servire a taci- . tare i bisogni simbolico-emotivi di qualche militante, non certo a comprendere il mondo in cui viviamo. Così come è inutile e fuorviante restare ancorati a una visione del conflitto nord-sud che è incapace di discernere tra paese e paese, tra governo e popolo, tra ideologia e realtà sociale, tra sviluppo relativo e sottosviluppo, tra corruzione e potere, tra autoritarismo e illegalità, tra violenza e macelleria. Non può bastare dichiararsi antioccidcntali e schierarsi contro gli Stati Uniti per acquistare automaticamente un. credito presso i democratici. Questa posizione, che in passato ha condotto a tragici errori di valutazione - dall'Urss all'Iran passando per la Cina e la Cambogia, per tacere della sottovalutazione dei fascismi che provocò a suo tempo l'ossessione dell'imperialismo inglese--:- è il fondan1ento di un atteggiamento giustificazionista che non ha nulla da. invidiare al peggiore cinismo degli affaristi occidentali, un machiavellismomorale che si giustifica innegativo, con la semplice esistenza di un nemico. La prudenza, in questa fase, dovrebbe guidare maggiormente, anche se non è possibile fare a meno di prendere posizione, soprattutto quando si ha la responsabilitàdirappresentare ediorientare fette consistenti di opinione pubblica. Se non è possibile dare facili ricette non si può neppure restare alla finestra in attesa che gli eventi si facciano più chiari. Anche perché, accanto a controtendenze nuove e positive, vi è pur sempre il carattere profonda- .mente guerrafondaio di buona parte dell'economia capitalistièa, mentre l'ideologia della violenza conquista proseliti sia in campo privat6 che pubblico, favorendo sempre più l'ansia di "restarne fuori" e di coprirsi gli occhi per non mettere in pericolo la propria fortunata situazione di non coinvolti. Meglio però riconoscere i limiti entro cui si è costretti a vivere, e appiattirsi dietro posizioni tutt'altro che esaltanti come la difesa delle risoluzioni dell'Onu e la ricerca di un nuovo ruolo per l'Europa (in cui, del resto, esiste la pcissibilitàdidifferenziarsi), che non ripetere analisi dell' imperialismo fondate suuna contrapposizione borghesie/proletariati e oppressori/oppressi che si è da tempo modificata e complicata. Contrapporre alla retorica bellicista, che finge di non vedere gli interessi economici e di potenza che stan dietro all'agire dei governi occidentali, una demagogia pacifista che riduce a profitto questioni benpiùcomplesse( come opporsi all'aggressione, il diritto all'esistenza di regimi autoritari o feudali, quali connotati definiscono gli amici e i nemici, quali comportamenti politico-morali appoggiare o tollerare o contrastare) non aiuta la faticosa strada della costruzione di una nuova identità. politico-ideale che deve misurarsi con una realtà internazionale in profonda trasformazione. Tensione morale e comprensione della realtà sono due aspe.tti di un medesimo sforzo che è necessario compiere per riformulare brandelli di una decente prospettiva politica per il nuovo secolo. Non appiattire le ragioni aitrui in una caricatura di comodo è 11 primo passo per un dibattito proficuo. Solo con coerenza e tolleranza è possibile costruirsi una identità che metta al bando l'opportunismo verso i governi e la facile ricerca di consenso verso i governati. ~ (M.F.)

ILCONTESTO Oh, -Superman! Sull'imperialismo americano Harold Pinter traduzione di Maria TeresaPetruzzi Ai primi di quest'anno mi sono recato a Praga e vi ho trovato una situazione straordinaria: una sensazione eccitatae nervosa di incredulità, una sensazione di pensiero tradotto improvvisamente e impressionantemente in azione, quasi una percezionedi qualcosa di miracoloso. I Cechi si erano liberati dall'oppressione. Il senso di liberazione era palpabile. Come si è manifestato il nuovo spirito democratico?Quel che saltava immediatamente agli occhi era il fatto che si andava creando un clima straordinariamente nuovo - un clima favorevole allo sviluppo di un dibattito indipendente, critico e aperto e nel quale la costrizione e la repressione del pensiero non era più accettabile. · L•unico altro paese dove avevo avvertito qualcosa di simile a quel senso di spontaneità, di vitalità e di impegno eccitato, anche se precario, era stato il Nicaragua, quando mi ci ero recato nel 1988.E uscivano da una battaglia durata sette anni. Quando l'Est europeo è stato sconvolto dall'eccezionale catena di eventi, il mondo ha gioito. E allora mi viene da pensare al Centro America, dove la gente ha avuto sempre le stesse identiche aspirazioni dei paesi dell'Est europeo: liberarsidall 'oppresiione. L"'Economist", un giornale diffuso a livello mondiale, ha pubblicato, nel febbraio scorso, un editoriale intitolato "Sì. Voi siete la Superpotenza". Vi si affermava che solo gli Stati Uniti possono definirsi, ora, una Superpotenza, e continuava dicendo che il ruolo dell'America è quello di aiutare altri paesi a rendere il mondo un posto più sicuro e più ricco. L'editoriale terminava con il seguente paragrafo: "Una Superpotenza moderna deve essere unposto che i meno liberi ammirano, addirittura invidiano. Gli ultimi dodici mesi hanno visto il tri.onfodegli ideali occidentali, della democrazia e del capitalismo di mercato.Una delle principali ragioni di questo trionfo è che nei decenni del dopoguerra l'America ha tenuto fede ai propri ideali mentre i dogmi marxisti si sono rivelati una realtà corrotta. L'America deve rimanere al suo interno una terra di occasioni e di apertura, per meglio assicurare che il resto del mondo continui a muoversi nella stessa direzione. Buon lavoro, Superman." Quello che possono pensare di queste osservazioni i 40 milionidi Americani che vivono ai margini oal di sottodella linea di povertà, non è difficile immaginarlo. Vorrei però esaminare più da vicino il problema di questa realtà corrotta, e vedere a cosa si riferisce. (Vale la pena di osservare, a proposito, che l'editoriale dell"'Economist" non citava affatto l'America Latina.) Gli StatiUniti hanno avuto un rapporto lungoe rigorosamente possessivo con i paesi del Centro-America e con il bacino dei Caraibi, e un rapporto particolarmente attivo con il Nicaragua.

IL CONTISTO Nel 1823 il Presidente Monroe dichiarò che l'interferenza di una qualsiasi potenza europea nelle nascenti repubbliche dell' America Latina sarebbe ~tata considerata un atto ostile verso gli stessi Stati Uniti. La "Dottrina Monroe" stabiliva il diritto di "proteggere" l'America Latina e all'inizio del ventesimo secolo gli Stati Uniti si insediarono fermamente nella regione come potenza imperi~e pronta a far valere la propria autorità e a proteggere i propri interessi con la forza. Le truppe degHStati Uniti occuparono il Nicaragua dal 1912 al 1925. Si.ritirarono per un anno e fecero ritorno nel 1926, "per proteggere le vite e i beni americani". Ma Augusto César Sandino era sullemontagne con un esercito di guerriglieri, e4.000 marines non riuscirono ad annientare quell'esercito. Nel 1927un capitano dei marines statunitensi invitò Sandino ad arrendersi. Ma lui rispose: "Ho ricevuto e compreso là vostra comunicazione di ieri. Non mi arrenderò, e vi aspetto qui. Voglio un paese libero o la morte. Non ho paura di voi". Finalmente, nel 1933, gli Stati Uniti si ritirarono dal Nicaragua. Manon prima di aver costituito, ~ddestratq e armato un corpo di polizia - la Guardia Nazionale - sotto il comando supremo di Anastasio Somoza - divenuto successivamente Presidente. Sandino fu invitato a Managua nel 1934 per discutere il disarmo con Somoza. Vi si recò, in buona fede: Somozagli strinse la mano. Uscì dalla residenza di Somoza. Poco dopo la sua macchina fu bloccata. Fu catturato, messo al muro e fucilato. Così incominciò il regime· di Scimoza: una dinastia quasi monarchica che detenne il potere peroltre quarant'anni, col pieno sostegno degli Stati Uniti. Poteva ben essere una dittatura viziosa e brutale, ma per gli affari andava molto bene. Il popolo del Nicaragua - guidato dai sandinisti - rovesciò il regime nel 1979-unarivoluzionepopolareentusiasmante. Gli Stati Uniti lo considerarono un atto irriguardoso e sotto la presidenza Reagan si proposero di distruggerne gli esecutdri. Il "crimine" dei sandinisti era duplice: · 1)Avevano proclamato l'indipendenza del loro paese dall 'egemonia degli Stati Uniti, insistendo sul principio dell'autodeterminazione (come la Cecoslovacchia). 2) Avevano dato un pessimo esempio alla regione: se si fosse permesso al Nicaragua di stabilire norme fondamentali di giustizia sociale ed economica, di elevare i ljvelli sanitari e di istruzione e di realizzàre l'unità sociale e l'àutorispetto nazionale, i paesi limitrofi (dove le multinazionali e le banche Usa hanno interessi vitali) si sarebbero sentiti in posizione di debolezza, avrebbero cioè potuto avanzare le stesse richjeste e fare le stesse cose. Il Mio potere sarebbe in pericolo- Voi (i popoli del Centro America) diventereste pericolosamente attivi, e dannosi per i miei interessi. Pertanto dovete essere schiacciati. I Sandinisti cercarono di fondare una società stabile e dignitosa. Fu abolita la pena di morte. Furono assegnate terre a l 00.000 famiglie; furono costruite più di 2.000 nuove scuole; l'analfabe- · tismo fu ridotto a un settimo. La malaria fu dimezzata; il morbillo, il tetano e la diarrea furono drasticamente ridotti. La mortalità infantile fu ridotta di uri terzo. La poliomielite fu debellata. Gli Stati Uniti denunciarono questi successi come propaganda marxista-leninista. Organizzarono i Contras - ùn esercito costituito per lo più da membri della· vecchia Guardia Nazionale di· Somoza. La loro tattica consisteva non nello scontro con I' eserçito sandinista, ma nel creare il maggior caos possibile, attaccare case di cura, fattorie, ospedali, scuole, uccidere e n:iutilare le donne è i bambini che incontravano; spargere il terrore. Queste tattiche erano caldamente raccomandate all'epoca in un manuale di terrorismo scritto e divulgato dalla Cia. Il fenomeno era tutt'altro che casuale - i Contras non erano un manipolo di tifosi hooligans -, era una politica ben precisa e sistematica ispirata dagli Stati Uniti e da questi finanziata. Gli Stati Uniti continuarono attuando il blocco commerciale e l'embargo finanziario contro il Nicaragua. Impartirono istruzioni alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale (IMF) di tagliare ogni aiuto al paese, Esercitarono inoltre forti pressioni sui paesi occidentali perché facessero lo stesso.· Nel 1984, malgrado l'inasprirsi dell'azione dei Contras e il conseguente indebolimento dell'economia (il 50% del bilancio veniva speso per la difesa), i sandinisti indissero le elezioni. Si trattò.di elezioni libere e democratiche, a detta degli osservatori giunti da tutto il mondo, tra i quali una delegazione parlamentare multi~partitica britannica. Gli Stati Uniti ritirarono dalle elezioni uno dei più forti partiti di opposizione, sperando così di rendere nulli i risultati, ma lo stratagemma fallì. Aveva votato 1'80% . dell'elettorato. Non furono riscontrate tracce di broglio o di manomissioni. I sandinisti riportarono il 67% dei voti. Il giorno in cui furono annunc;iati i risultati delle elezioni, la televisione americana mandò in onda notizie allarmanti: "Mig in volo verso il Nicaragua". Fu un colpo propagandistico efficace. I risultati elettorali passarono del tutto inosservati. "I Russi mandano i Mig verso il Nicaragua! Stiamo per essere attaccati!". Naturalmente, i Russi non avevano mandato nessun Mig in Nicaragua. E i sandinisti non invasero il Téxas. Nel febbraio 1985 la signora Thatcher disse inParlamento: "Il Vice Presidente Ramirez è venuto a farmi visita, per aiuto. Ho messo in chiaro che i futuri rapporti del governo con il Nicaragua saranno determinati dai progressi che quel paese farà verso la instaurazione.di una genuina democrazia". Evidentemente aveva dimenticato che in Nicaràgua si erano appena tenute elezioni democratiche. La verità è che questo fatto venne ignorato per anni dai mezzi di informazione sia americani che britannici. Perché? Forse perché non veniva considerato di pubblico interesse. Faceva più sensazione considerare il Nicaragua come una fortezza totalitaria marxista-leninista. È quanto fece il Preside~te ReaganrE lo fece fino al parossismo. Una retorica facile, chiara, fin 'troppo facilmente credibile. Reagan fece anche il seguente confronto:'"! Còntras sono l'equivalente morale dei nostri Padri Fondatori e dei coraggios1 uomini e donne della resistenza fran- . cese". Un funzionario sindacale sandinista inerme fu catturato dai Contras, l'anno scorso. Gli spezzarono le braccia, gli tagliarono le labbra e la lingua, gli cavarono gli occhi e lo castrarono. È una tecnica tipica dei Contras, praticata infinite volte in Nicaragua. È in piena sintonia coi sistemi degli squadroni della morte in Salvador e in Guatemala, e in perfetta coerenza con i sistemi che gli StaliUniti appoggiano per tenere l'America Centrale "pronta" per ·la democrazia. Credo che i Padri Fondatori rimarrebbero quanto meno sorpresi sé leggessero questa descrizione della loro posizione _morale. , Perché gli Stati Uniti facevano.tutto questo? Perché volevano ridurre in ginocchio un paese già afflitto dalla povertà, farlo sanguinare a morte? Gli stessi Stati Uniti ribadirono la Seguente.· affermazione: "Vogliamo che il Nicaragua· tomi alla democrazia". Tornare alla democrazia significava naturalmente, in questo caso, ritornare a qualcosa di simile al regime Somoza, un ritorno alla dittatura. Gli Stati Uniti hanno sempre visto di buon occhio le dittature amiche. Ne hanno create e sostenute diverse. Hanno mantenuto rapporti e~tremamente cordiali con le dittature di Haiti, Cile, Guatemala, Paraguay; e le dittature militari di Argéntina, Uruguay e Brasile,-neiloro lunghi e terribili periodi di potere, hanno sempre potuto contare sul caloroso e pieno sostegno degli Stati Uniti. E così, l'unico paese di tutta l'America Centrale che abbia

tenuto elezioni democratichecinque anni dopo aver rovesciato ·unadittatura. viene a sua volta accusato di essere una dittatura, contro paesi confinanti che sono, di fatto, dittaturemilitari ma sono descritte come democrazie. Un modo di definire le cose moltoparticolare. I rapporti degli Stati Uniti con i dittatori amici seguono un modello c~ssico. Lo insediano, gli costrùiscono le camere di tortura, gli mandano esperti e consulenti, .lui uccide quante migliaia di persone entrambi ritengono necessari, il popolo è soggiogatoe tutto va bene.C'è una societàstabile,un'economia stabilee si possono fare affari.La situazioneduraqualcheanno. Poi il dittatore incominciaa irritarli.Diventa ingombrante.Non fa esattamente quello che gli è stato ordinato di fare. E viene accusatodi essereun trafficantedi droga. (Guardache sorpresa!) Incominciaa proferireinsulti.E cosl vienedestituito,fatto fuori. Nel casodiPanama,naturalmente,sonodovutiandarloa prendere di persona.E mentrevien~catturato si fa in mododi ammazzareunmigliaiodi personeinnocenti.Si diceche sonoduecento, e quand'anche fosse, sarebperopur sempre duecentoinnocenti, ma in realtà a Panama si trattavadi mille, che si diceva fossero duecento.E intanto ci dicono: "Lo 1facciamo perché crediamo nellademocrazia.". Bisognerebbericordare che gli ·stati Uniti non si sono mai curatimoltodelle "considerazionimorali".Le ritengonocose da donnicciole.Gli StatiUniti credono nell'azione, e intraprendono le azioni che ritengonopiù comode. I termini impiegati per giustificare un'aziol}esono ampi e semplici:"Proteggiamola cristianitàcontro il comunismo".Ho sempre trovato alquanto ironico che ci fossero tre-preti nel governo sandinista; due gesuiti (il Ministro della Cultura e il ILCONTliSTO Ministrodella Pubblica Istruzione)e un missionariodi Maryknoll,SocietàAmericanaper leMissioniCattolicheEstere (Ministroper gli Affari Esteri).Gli Americaninon sonomai riusciti a capirlo.Per loro non aveva senso. Dopo tutto, si trattava di una dittaturatotalitariamarxista-leninista.Equindiatea,naturalmente, poichénon si può essere totalitarimarxisti-leninistise non si èancheatei,no?Ealloracheci facevanotrepretinelgoverno?Fra l'altro, non risulta che i sandinistiabbianomai uccisoun prete. Nel Salvador è accaduto. L'assassinio dell'arcivescovo Romeronel 1980,l'infàrneuccisionedi seigesuiti ali 'Università dell'America Centrale nel 1989: ècco alcuni delle dozzine e dozzine di preti torturati e uccisi nel Salvador negli· ultimi vent'anni.Gli StatiUnitifo~isconoall'esercitodel Salvadorpiù di unmilionedi dollarialgiornoperdifendere la cristianitàcontro quel pericolosomanipolodi gesuiti atei marxisti-leninisti. A furia di vomitare una menzogna dopo l'altra. un giorno dopo l'altro, anche il bugiardo si convince di dire la verità. L'amministrazione Reagan usava fare continui riferimenti a qualcosache definiva "i précedenti dei sandtnistiin materia di diritti umani".Diventòun ritornello.La verità è che i precedenti dei sandinistiinmateriadi dirittiumani eranoinfinitamentei più • dignitosi,seri e responsabiliin tutta la regione- fattaeccezione forse per il Costa Rica. A ben guardare non si può·dire che il governo sandinista abbia mai avuto preèedenti in materia di "diritti umani". Non ci sono prove che sotto il governo sandinistaabbiano operato squadroni della morte. Non ci sòno prove che ci siano state torture.Non ci sono prove che siano stati compiuti atti di brutalitàsistematicada parte dei militari. Può darsi che si siano verificate rappresaglie militari sporadiche contro le atrocità commessedai Contras,riconosciutedalle autoritàcome crimini e punitesecondola legge. Ma paragoniamo questo con il rispettò dei diritti umani in GuatemalaeEl Salvador.InGuatemaladobbiamoparlaredi vero e proprio genocidio contro la popolazione indiana. Uomini, donnee bambinisonostatioggettodi massacrie brutaliviolenze in una misura quasi inimmaginabile, che rasenta la cifra di 160.000tramorti e scomparsinegli ultimi vent'anni. Nel Salva- . dorlasituazioneè esattamentelastessa.Le cifre,qui,oscillanotra 70/80.000~orti nellostessoperiodo. IriNicaragua,la guerradei Contrashaprovocatooltre30.000morti e 5,.000menomatia vita. Buona parte di queste persone sono state violentate, scuoiate, decapitate,squartate.IlPresidenteBushnonnehaparlatoquando si è congratulatocon la signoraChamorroper la sua vittoria.E nessunosi è preso la briga di ricordarle. . . Dunque, in questa piccola regione dell'America Cen_trale quasi 300.000persone sono state uccise in nome della libertà e dellademocrazianegliultimivent'ani. Oracerchiamodi chiarire perchésonostati uccisi. Sonostati uccisi perchéerano scomodi. Sonostati uccisi perché credevanoin una vitamigliore)?Crtutti. Questa fede li ha etichettati subito come comunisti. E molto stranoe terribilmentefronicoche, mentre il sistemacomunista nell'Europa dell'Est è andato crollando e tutti dicono _c~ il comunismoè morto, sologli Americaninon ne sonoconvmu. A Washington.sonotuttoraconvintiche nell'Ameri~ Lati~a_cisia ancorauna gran massadi comunistiche non mentanodi vlVere. Ma chi sono, poi, queste persone? I poveri, ~~en~ .- e preti, infermieri,medici, sindacalisti,giorn'.111SU~ s~den~, 1~~: gnanti;poeti, gente che lavoracon le orgaru~az10111_per I dmtll umani.Costituisconounpericoloper una societàstabile,sonoun pericoloper.una ordinata condotta degli ~fru:i. Anche se.no~ vengonouccisi, certamentenon vengonoamtau. Per esempio,d governoinglesenon ha dato uribriciolodi aiuto, nonun briciolo 7

IL CONTESTO di riconoscimento al Nicaragua - solo una nuda e cruda nota diplomatica, accettandolo a malincuore come un paese bonafide. Per cùi, ad csempio,.quando il Nicaragua fu sconvolto da un terribile uragano nell'ottobre 1988, la Gran Bretagna spese solo 250.000 sterline in aiuti. Gli Stati Uniti non dettero niente. Evidentemente era un uragano comunista. Naturalmente gli Stati Uniti hanno accettàto favorevolmente gli sforzi dei paesi dell'Europa de Il 'Est verso I' autodeterm inazione. Tutti provarono orrore quando i Russi invasero la Cecoslovacchia nel 1968. Ma quel che gli Stati Uniti hanno fatto in Nicaragua è esattamente la stessa cosa che fece Mosca in Cecoslovacchia nel 1968, anche se con metodi diversi. Invece di inviare dei carri armati, essi hanno distrutto il servizio sanitàrio e affondato l'economia e spaventato la popolazione ..E così l'elettorato ha dovuto barattare la vita e la libertà contro la fame e la morte. E fame e morte hanno vinto. Ma adesso, che cosa faranno gli Stati Uniti? A mio avviso, il guaio è che gli Stati Uniti si erano davvero montati la testa ali' idea dell'aggressione sovietica. Essa giustificava tutto, era presente fin dalla colazione del mattino insieme con i fiocchi d'avena. Faceva parte del modo di vivere americano. Avevi un nemico e l'amavi, te lo tenevi stretto. Gli tenevi una lama puntata contro l'ombelico, ma lo tenevi stretto a te perché era tuo amante nella morte. Avevi bisogno di lui. Parlavate di morte. I vostri punti di riferimento avevano tutti a che fare con la morte. Ma eri felice. Erano bei tempi. Potevi andartene in giro per il mondo-ad aiutare i tuoi amici a torturare e uccidere altre persone - giornalisti, insegnanti, stÙdenti, contadini ecc. - perché quelle persone, dicevi, erano dei loro. Erano ispirati da loro, erano corrotti di:l ■ ■ - -EDITO DAFIDIALABORATORI DI RICERCA- .... OLIVERSACKS "NEUROLOGEIA ANIMA" È disponibile • il testo della conferenza tenuta da Oliver Sacks a Padova nell'ambito delle G.B. Morgagni Lecture Series. L'opuscolo verrà inviato gratuitamente a chi ne farà richiesta. ~ fidia L'IMPEGNONELLENEUROSCIENZE -:}<: - Spedire il tagliando a: Fidia S.p.A. Ufficio Stampa - Casella Postale n. 110 ' 35031Abano Terme (PO) NOME VIA N CITTÀ CAP ■ ■ 8 loro. E a furi:i di parlare di loro hai conservato e rafforzato il tuo potere. Ma una volta finito tutto questo, che cosa farai? Una volta che non hai più un bel nemico, se non puoi più spendere miliardi di dollari in armamenti e ricavare miliardi di dollari dagli armamenti, che diavolo farai? Che succede se non ci sarà più un'aggressione sovietica? Che succede se l'Unione Sovietica dice, come sembra stia dicendo, "non vogliamo più essere una superpotenza, non siamo più una superpotenza"? Che cosa farà, allora, la povera America? Perché ali' America è sempre piaciuto essere una superpotenza - sempre. Carlos Fuentes ha detto che l'Unione Sovietica sta rinunciando al proprio inutile bagaglio ideologico mentre gli Stati Uni~ insistono nel trattare con il mondo solo in termini ideologici. E possibile che gli Stati Uniti imparino a vedere il mondo in modo diverso? Non ci sono prove consistenti per alimentare questa speranza. . Secondo tne la politica estera degli Stati Uniti si può ancora sintetizzare in "leccami il culo o ci ficco dentro la tua testa". Ma loro ovviamente non lo ammettono. Parlano di "conflitto debole". In realtà vuol dire che metti un po' di mine in un porto - come ha fatto la Cia in Nicaragua- e poi dici che con questa faccenda non c'entri. Devono essere cadute da un camion. Quando nel 1986 sei stato citato davanti alla· Corte Internazionale di Giustizia dell 'Aja, che ti riconosce colpevole di aver violato otto articoli della Legge Internazionale e ti ingiunge non solo di cessare la tua aggressione nei confronti del Nicaragua, ma di risarcire i danni arrecati, ti limiti a scuotere la testa e dici che la materia non è di competenza della Corte Internazionale. "Conflitto debole" significa che migliaia di individui muoiono, ma più lentamente che se sganciassi una bomba su un mucchio di loro in un colpo solo. Significa contaminare il cuore di un paese, provocare un bubbone maligno mentre tu te ne stai a guardare la cancrena che avanza. E poi vai davanti alle telecamere con la camicia bianca e una bella cravatta e dici che ha prevalso la democrazia. Il risultato di tutto questo è una malattia che colpisce il cuore del linguaggio, per cui il linguaggio diventa una mascherata permanente, un tessuto di menzogne. La feroce e cinica mutilazione e degradazione degli esseri umani nello spirito come nel corpo, la morte di innumerevoli migliaia di esseri umani, queste azioni vengono giustificate con stratagemmi retorici, terminologia e concetti del potere sterili, maleodoranti. Mi chiedo se facciamo mai caso al linguaggio che usiamo. Ne siamo capaci? Le strutture del linguaggio e quelle della realtà (intese queste ultime come ciò che accade realmente) si muovono lu·ngo linee parallele? La realtà rimane veramente al di fuori del linguaggio, separata, insensibile, estranea, non suscettibile di descrizioni? È proprio impossibile una.corrispondenza precisa ed essenziale tra ciò che è e ciò che noi crediamo? Oppure siamo forse costretti a usare il linguaggiosoloperoscurareedistorcerelarealtà-distorcereciò che è - distorcere ciò che accade - perché ne abbiamo paura? Siamo incoraggiati a essere vivi. Non siamo capaci di affrontare i morti. Ma dobbiamo farlo perché muoiono in nome nostro. Bisogna fare attenzione a quanto viene fatto nel nostro nome. Credo che proprio il nostro modo di usare il linguaggio ci abbia cacciato in questa terribile trappola, dove parole come libertà, democrazia e valori cristiani sono ancora usati per giustificare politiche e azioni barbariche e vergognose. Ci troviamo nella necessità seria e urgente di sottoporre tali termini a un profondo esame critico. Se non lo facciamo, il nostro giudizio morale e il nostro giudizio politico ne saranno inevitabilmente compromessi. (marzo 1990) Copyright Harold Pinter 1990

IL CONTESTO Politica Guerra si,· guerra no internazionale, nazionalismi e petrolio Joaqu(n Sokolowicz Potrebbe scoppiare la guerra - ci chiediamo - nel corso dei dieci-quindici giorni che passeranno dal momento in cui queste righe vengono scritte a quello in cui saranno arrivate al lettore? Sì, potrebbe. Ma non ci sono forse elementi, negli sviluppi della crisi, che facciano intravedere una via d'uscita per evitare la conflagrazione? Sì, ci sono. Tutto è possibile, l'ipotesi peggiore così come l'auspicabile compromesso, visto che sono stati fatti finora (terza settimana di settembre, la settima dell'occupazione irakenadel Kuwait) passi gravi in un senso e in quello opposto delle ritorsioni mentre allo stesso tempo si dovrebbe però preferire da una parte e dall'altra, per logica, una pace con concessioni ai costi spaventosi di una guerra quale si è prospettata dietro i fatti di queste settimane. Ma quale logica? La stragrande maggioranza dei governi del mondo, non soltanto gli Stati Uniti, intendono impedire che un uomo solo controlli - con l'annessione territoriale compiuta - più della metà del petrolio prodotto in Medio Oriente. Quest'uomo sa, da come si sono quindi messe le cose, che è destinato alla disfatta finale in un'eventuale guerra e perciò dovrebbe cercare di evitarla a tutti i costi. Solo che lui, considerando presumibilmente e giustamente che la sua sorte sia segnata: (che cioè gli americani e altri non smetterebbero in qualsiasi caso gli sforzi per liquidare il suo regime, capace di provocare simili scossoni nel sereno clima del dopo-guerra-fredda), potrebbe non avere interesse a un formale accomodamento e decidere allora di lanciarsi nell'impresa suicida, che comunque provocherebbe danni enormi al nemico. Tuttavia, visto il personaggio, che già in passato ha dato vita a rovesciamenti persino clamorosi di precedenti sue posizioni, non sarebbe nemmeno azzardato ipotizzare un atteggiamento del tutto opposto a quello: se l' embargo economico internazionale contro l'Irak dovesse far sentire prima del previsto gli effetti con esso proposti, provocando nel suo paese un malessere dilagante con riflessi ai livelli più alti del regime e se per controllare una tale situazione non gli bastassero i suoi soliti .metodi brutali, potrebbe ripiegare cercando le garanzie per la permanenza al potere in ripristinate alleanze internazionali. Sull'altro versante quello dell'affollatissimo fronte dei responsabili dell'embargo e dj coloro che hanno spedito truppe ai confini con l'Irak, sembra di cogliere preoccupazione per il prolungamento dei tempi della crisi. Gli effetti delle sanzioni (la cui applicazione più o meno rigorosa sembra assicurata, al momento di scrivere) si faranno sentire non prima di sei mesi e solo çlopo un anno in forma davvero pesante. Troppo lunga sarebbe quest'attesa, per gli alleati, perché già adesso va cambiando radicalmente la fisionomia demografica del Kuwait secondo i disegni degli occupanti il cui sgombero loro esigono e perché i vari gruppi terroristici convocati da Baghdad perché riprendano l'attività internazionale metteranno in campo presumibilmente con frequenza in crescendo un fattore di pressione dal duplice obiettivo: far distogliere almeno in parte l'attenzione dello schieramento militare anti-irakeno dal centro della crisi e tentare di indebolire questo fronte con il ricatto del terrore sui singoli suoi membri. Non è facile da prendersi una decisione di attacco quando in gioco è la vita di centinaia di residenti e turisti stranieri presi astutamente in ostaggio dal capo di Baghdad, anche se da Washington il presidente Bush dice che è pronto a prenderla. Peraltro, considerate le armi in potere degli irakeni (missili a testata nucleare e gas asfissianti, fra l'altro) e l'importanza numerica delle loro forze militari (un milione di uomini), i morti in una guerra contro di essi si conterebbero a migliaia, forse a decine di migliaia, anche se durasse appena qualche settimana. (Ci fu uno scandalo nell'opinione pubblica americana quando si seppe che nell'intervento a Panama, l'anno scorso, erano caduti quasi una trentina dei propri soldati). Certo non possiamo sapere se sia in programma un blitz per farla finita senza eccessivi costi con chi ha provocato il terremoto politico-strategico in corso; nessun dubbio sul fatto che siano al lavoro per organizzare qualcosa del genere i servizi segreti non solo americani. Quello che noi conosciamo, le iniziative e i gesti di pubblico dominio, consentono un'analisi la cui conclusione è che, quando sono trascorsi cinquanta giorni dall'invasione del Kuwait, le due alternative alla vista (guerra ò compromesso di pace) hanno uguali probabilità di avverarsi. Saddam Hussein, presidente della repubblica, primo ministro, capo del Consiglio rivoluzionario e segretario generale del partito Baath è il "numero uno" a Baghdad da undici anni. Già prima era stato, per quasi un decennio, il vero "uomo forte" del regime mentre svolgeva un ruolo nominalmente di secondo piano. Consolidato il suo potere personale nei primi anni del ventennio trascorso mediante l'assassinio di avversari veri o ipotetici (diverse centinaia) e con l'affidamento dei vertici del regime a uomini del suo villaggio natale, compresi parecchi parenti, si dedicò con passione al tentativo di tràSformare l 'Irak in una potenza. Il pae,se doveva quanto meno strappare la leadership nel mondo arabo all'Egitto e (una volta che questo paese venne condannato all'isolamento per avere il suo presidente Sadat riconosciuto Israele) alla Siria, retta dal partito interarabo nazioTruppe americane nel deserto - (foto di FredMoyer/Mognum/ G.Neri). o

ILCONTESTO nalista-socialisteggianteBaath, dal quale il suoproprioraggruppamento si era scisso. Per evitare soprassalti all'interno fece ucciderea più riprese, sempre innumero crescenteanche perché si trattavadi sperimentare le sofisticate armi nuove in dotazione al suoesercito, le popolazioni curde, senza badare in questi casi - visto il numqo delle vittime - Jilla distinzione tra veri militanti dellà ç_ausairredentista e gli altri, quasi ogni volta diverse migliaia fra giovani e vecchi e donne e bambini. Trovò nell'Unione Sovietica; allora impegnata nella ricerca di spazi d'influenza in Medio Oriente, le forniture e la collaborazione che cercavaper costruire la sua forza militare. L'astuto dittatore riuscì a crearsi anche altre fonti di materiale bellico (la Francia, in primo luogo) senza tuttavia scostarsi dalla principale fornitrice fra l'altro, al.fine di dotarsi della bomba atomica. Pochimesi dopo avere assunto in prima persona il vertice del regime, lanciò la guerracontro l'Iran (da poco entratoallora, con l'ascesa di Khomeiny al potere, nella sanguinosa era delle esecuzioni sommarie volute dagli integralisti). Con la sua solita astuzia, seppe sfruttare le preoccupazioni suscitate inOccidente dal nuovo oscurantismo di Teheran e, pur senza divorziare del tuttodaMosca, diventò beneficiario di armi sofisticatein grande quantità dalla Francia, da altri paesi europei, dagli Stati Uniti. Dopo oltre otto anni di combattimenti feroci, che costarono al suo popolo 600.000 morti (seicentomila!) e sacrifici ii:nmani, vinse quella guerra, se vincere vuol dire che il nemico ha finito per accettare la.resa. Ma lo scopo proclamato all'inizio delle ostilità, la conquista dello sbocco marittimo che avrebbe dato all'Irak uno spazio territoriale di grande importanzastrategica e commerciale, rimase irrealizzato. L'Irak dispone in veritàdi uno sbocco sul mare,una cinquantina di chilometri, che però secondo le ambizioni militari di Baghdad rappresentano un territorio vulnerabile di fronte a eventuali attacchi esterni e che impongono l'uso di oleodotti in paesi' vicini per l'esportazione di petrolio (Arabia Saudita e Turchia, mentre il pipeline che attraversa il territorio siriano è chiuso per l'annoso braccio di ferro fra Baghdad e Damasco). Ecco il perché dell'invasione del Kuwait e la cacciata del suo emiro;che per tutta la durata della guerra con l'Iran era stato un · alleato utilissimo per l'Irak. . Beninteso non Sitratta del bisogno d1uno sbocco al mare da parte di un paese povero e magari strozzato da strettezze territoriali, ma della volontà di espandersi di chi aspira al ruolo di potenza. L'Itak era già un paese ricchissimo prima di quest'impresa: terzo produttore di petrolio nel Medio Oriente. Ogni aumentodel prezzò del greggio, come quello deciso in fretta alla fine di luglio dagli esportatori riuniti nell'OPEC per venire incontro alle pretese del capo di Baghdad ed evitare quello che qualche giorno dopo è invece avvenuto ugualmente (da 18 a 21 dollari il barile) significa per le casse irakene ingressi di milioni di dollari in più al giorno; un mese e mezzo dopo l'invasione, il prezzo era salito a 30 dollari. · È vero, così come è stato proclamato a giustificazione ufficiale dell'impresa, che il Kuwait è stato inventato come paese sovranoda un ex potenza coloniale (cosa, questa, che evidente- ·- mente non ha avuto importanza per il dittatore irakeno durante i lunghi anni in cui da quello StatO'artificialeha ricevuto ingenti aiuti e quando si recava a quel tempo a visitare il suo mç:m~ca); aoche il Libano, la Giordania, diversi Stati africani, sono nati da interessidelle ex potenze coloniali, indifferenti a conformazioni etniche e unità culturali. Vuol dire allora che si deve scatenare una guerra globale sul pianeta per rimettere te cose a posto? IIpresidente della repubblica, primo ministrò, capo del Con10 . siglio rivoluzionario e segretario generale del partito dell 'Irak è astuto, senza dubbio: ha guadagnato qualche giorno per rafforzare il suocontrollo del territorio invaso aggiungendodi suoalle inizialiesitazioni di Bush-oche tali sono sembrate-I 'annuncio dell'imminente ritiro delle sue forze. Ha inv~ poi proclamato l'annessione del Kuwait e la sua trasformazione in provincia irakena separata però delle due isole che alcuni dirigenti arabi impegnati in sforzi di mediazione propongono di affidare a Baghdad in cambio 'dellosgombero. Una porta aperta al compromesso? Ancora una volta SaddamHussein si è dimostratoastuto nel riuscire a mettere praticamente sotto il suo controllo le varie componenti del movimentopalestinese, costringendopoi il giustamente impaurito Re Hussein di Giordania (paese confinante a Est con l'Irak e a Ovest con Israele!),ad accogliere nel suo paese anche i nemici storici del proprio regno presenti.tra gli esponenti palestinesi. L'astuzia del dittatore iralçenosarà utile· allacausapalestinese? Si direbbe di no, mentrela crisi è in corso: 1 'I ntif àdah non dispone più dell'assistenza finanziariadell'Arabia Saudita e del deposto emiro kuwaitiano, mentre tutti -gli sforzi per costringere il governo israeliano a negoziare il raggiungimento di una soluzione del problema palestinese (la Comunitàeuropea aveva ultimamente all'esame lapossibilità di adottare sanzioni economiche nei confronti di Gerusalemme) si .sono ora fermati. E il mondo arabo, che nei mesi scorsi aveva raggiuntouna compattezzache trovapochi precedenti storici nel sostegno al lavorìo americano e sovietico per arrivare a un negoziato israeliano-palestinese, dopo l'impresa ,di Saddam Hussein è spaccato. · Il "numero uno " irakeno disse a un'certo punto che l' occupazione del Kuwait sarebbe cessata quando gli israeliani avrebbero lasciato i territori arabi che a loro volta occupano da oltre vent'anni. La sua impresaera in quel momentoal decimo giorno e perciò queste parole, che se pronunciate in partenza avrebbero provocato forse un dilemma a più di un governo "fratello", non ' potevano che essereispirate da demagogia (a prescindere dalla differenza tra le due occupazioni: Israele s;impossessò di territori prima egiziani e giordani in una guerra subita). E tuttavia dall'incontro Bush-Gorbaciov,a Helsinky ai primi di settembre, uscì una decisione che sembrò venire incontro agli enunciati di SaddamHussein: si ritirino gli irakeni dal Kuwait e subito dopo .si farà una conferenza per cercare di risolvere tutte le crisi mediorientali. Pochi giorni dopo il "vertice", però, a Città di ·Kuwait vennero attaccate da.soldati irakeni alcunè ambasciate straniere. Forse il capo di Baghdad voleva ancora una volta saggiare la capacità di reazione dei paesi offesi? O si deve piuttosto pensare - visto il carattere provocatorio di quei fatti - che ci siano tra gli irakeni oppositori intenti a promuovere azioni contro il dittatore e che questi non possa esautorare nessunopubblicamente per non dare segni di debolezza?Non ci sono risposte a questi interrogativi. Difficili i pronostic'isull'esito di questa crisi, che se degene- . rasse in un conflitto bellico rischierebbe, non tanto perché lo ha prqspettato Saddam Hussein, mjl quanto perché le ostilità.-potrebbero sfuggire a ogni controllo, addirittura col dar luogo a uno scontro (scenario terrificante) tra movimenti islamici e nemici dell'espansione islamica nel mondo, tra paesi ricchi e paesi poveri, fra regimi rivali in diverse regioni. Molto dipende, certamente, da quella che può essere la "logica" del presidente della repubblica, primo ministro, capo del Consiglio rivoluzionario e segretario generale del Baath irakeno, SaddamHussein.

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