Linea d'ombra - anno VIII - n. 52 - settembre 1990

CINEMA sono abbastanza sale. Per 55 milioni di egiziani ci sono appena 200 sale. Il rapporto ideale, secondo l 'Unesco, sarebbe di una sala ogni centomila abitanti: ce ne vorrebbero 5500 e ne abbiamo solo 200. Grazie alla televisione e al video i film arrivano fino alla gente. E per noi quello che conta è che la gente veda i nostri film. E questa la priorità. Una volta sono stato invitato, assieme ad altri registi, ad andare in un villaggio dell'alto Egitto, a Sohag, a presentare un film e a discuterne col pubblico. È stata un'ottima iniziativa culturale. All'iriizio -però ero reticente: cosa andavo a fare a Sohag, fra gente che di cinema non sapeva sicuramente niente! Sono stato io stesso sorpreso di trovare a Sohag gente che parlava di cinema con apertura e conoscenza. La discussione è andata avanti fino al mattino. La gente sa pensare. È colpa nostra se non le si dà l'occasione di farlo. Per questo sono essenziali i contenuti. Non si può lavorare nel cinema senza coscienza, come se si vendesse droghe, fare film che fanno ridere; che distraggono la gente, o che la fanno piangere. Far ridere o piangere è in fondo la stessa cosa. Bisogna che la gente possa trarre profitto dal film, un'idea, un'opinione. Sfruttare il principio stesso del dramma, che agisce sulle sensazioni del pubblico. Il pubblico forma da sé la personalità degli eroi del film. Il cattivo corrisponderà per certi al collega di lavoro, per- altri al fratello, o al padre, oppure ali' amico. La preoccupazione personale della gente, come rifarsi delle angherie del suo proprio "cattivo", entra così nel film. Quando il film combacia con queste preoccupazioni può diventare utile,~dare spunti per risolverle. Bisogna però che questi spunti aboiano un senso. Non come in molti film usciti negli ultimi dieci anni, dove l'eroe reagisce ai soprusi facendosi giustizia da sé, prendendÒ una pistola e andando a uccidere i cattivi. Non è una soluzione, non è possibile fare altrettanto nella realtà. Certe volte non ci sono soluzioni. O il regista non ne ha. Non importa, in questo caso basta dare alla gente la possibilità di pensare, di trovarne una, invece di proporre una falsa soluzione. lo per esempio ho girato nel 1956 El Futuww_a, un film che tratta un problema economico, quello della mafia dei commercianti che controllano il mercato della verdura in Egitto. Volevo mostrare come questa gente controlla il prezzo dei pomodori, delle banane, eccetera,-come una quantità di merce viene gettata nel Nilo per tenere alti i prezzi. La conclusione logica di questo film è che il regime economico deve cambiare. Evidentemente non potevo dirlo esplicitamente. E allora ho coricluso il film come l'ho iniziato, ho làsciato che si aprisse un nuovo ciclo. All'inizio un contadino arrivava dall'alto Egitto al Cairo, con la sua gallabia e senza niente da mangiare. Cominciava a lavorare al mercato e a poco a poco diventava un commerciante, sempre più importante, un grande capitalista, e si metteva a sfruttare la gente. Era fuggito alla povertà e allo sfruttamento e diventava lui stesso sfruttatore. Alla fine del film un altro contadino arrivava, esattamente come era arrivato il primo, e adagio adagio prendeva il suo posto. Il problema di cui parlavo trent'anni fa non è ancora risolto. Il film voleva allora, e vuole_ancora oggi, farri flettere la gente, farle trovare da sé la soluzione. Non è però limitantedoversisempretenerealmessaggio,aun cinema "educativo"?... lafase neo-realista - se così vogliamo . definirla- del cinemaegiziano,non dovràprima opoi concludersi? E il cinema tentare nuove sperimentazioni? Non bisogna dimenticare che c'è una differenza enorme fra noi e l'Europa. Il cinema non è nato qui, l'abbiamo preso da voi. Questo elemento estraneo deve interagire con la sensibilità che ci è propria. Non tutto quello che si può fare all'estero si può fare anche da noi. Le dò un solo esempio, banale: a Londra c'è un albergo che si chiama Hotel Churchill. Per terra, dove tutti camminano, hanno scritto il nome dell'albergo, Churchill. Qui una cosa del gener~ non è nemmeno pensabile: scrivere il nome di Nasser o di Sadat sul pavimento ... avrebbe tutto un altro senso. Per potermi far capire devo conòscere esattamente il significato delle cose in Oriente, nei paesi arabi. E poi il cinema è un'opera collettiva, non posso fare un film da solo. Bisogna che tutte le persone che lavorano con me partecipino al mio Il)Ododi intendere il film. Sennò il film non riesce. Il cinema è un 'arte pubblica. Posso scrivere un libro e diffonderlo clandestinamente, e dire quello che voglio, mentre un film deve essere mostrato, deve essere visto, il suo successo non sta · tanto negli incassi ottenuti ma nel numero di persone che l'hanno visto. E girare un film costa più caro che pubblicare un libro, bisogna trovare i soldi ... Il cinema è importantissimo anche da noi, ma muove da sensibilità e idee diverse. A Parigi la gente è quasi tutta istruita. Ci si può permettere di fare sperimentazioni. Qui no. Voglio fare film che la gente capisca. Che senso avrebbe fare film se nessuno li capisse? Il pubblico non ha colpa se non riesco a farmi intenderé. Se andassi a parlare ai fellah, i contadini, in prosa rimata o in tedesco, nessuno mi capirebbe. E non è colpa loro se non sanno leggere versi oparlarè lingue straniere. Sarebbe colpa mia non essere riuscito a parlare il loro linguaggio. Non si tratta di fare film mediocri, la gente non è stupida, tutt'altro. Si tratta di fare dei film buoni e comprensibili al tempo stesso. Deifilm comprensibilinon solo in Egitto ma in tutti i paesi arabi, dove il cinemaegizianoesporta i suoi prodotti. , Il film egiziano ha un ruolo fondamentale in tutti i paesi arabi. E capito ovunque, in cinquant'anni proprio grazie al cinema e alle canzoni la parlata egiziana è diventata comprensibile per tutti. Tutti gli arabi h~no imparato le espressioni tipicamente egiziane. È curioso, quando vado inun altro paese arabo la gente mi dice ezzéiyyék?, come stai?, me lo dice ali' egiziana, esattamente come io direi a qualcuno howare you? per fargli capire che so parlare inglese. E l'ha imparato dai film. Il cinema egiziano ha un'influenza tanto forte che è addirittura riuscito a superare i dissidi che ci sono stati fra l'Egitto e gli altri paesi arabi. Anche quando le relazioni politiche erano pessime, nessuno ha potuto impedire che si continuassero a vedere film e sceneggiati egiziani. Tutti .si riconoscono nei film egiziàni. In molti altri paesi arabi si fanno film, ma posso dire tranquillamente, senza preconcetti né presunzione, che non si può parlare di vera industria cinematografica se non per l'Egitto. L'Egitto produce 50, 60 film all'anno. Gli altri paesi al massimo 5 o 6. Il loro problema è anche di natura linguistica. Il loro accento purtroppo non è capito negli altri paesi. E successo addirittura che un film libanese con Feyruz, una cantante molto amata anche in Egitto, è stato proiettato al Cairo con sottotitoli in arabo. E ancora recentemente ho rivisto un film tunisino, che avevo già visto a Parigi con sottotitoli in francese, proiettato senza sottotitoli. Non ho capito una sola parola. Parliamo tutti arabo ma l'accento, le espressioni sono diverse o cambi ano significato da paese a paese. C'è poi un altro fattore che distingue noi egiziani. La maggior parte degli altri paesi arabi, quelli del Maghreb per esempio, ideologicamente guardano più di noi verso l'Europa. Molti film sono addirittura fatti, prima che per un pubblico arabo, per il pubblico francese. Ci sono indubbiamente dei film di grande valore inMarocco, in Algeria, in Tunisia, in Siria. Ma sono ancora troppo pochi, questi paesi non hanno ancora un 'industria cinematografica nel vero senso della parola. Perriequilibrare la situàzione ho proposto di fare produzioni miste. Come si fa in Europa, in America. Anche per cambiare un po' l'aria: il mondo arabo ormai conosce a memoria tutto l'Egitto. Se si cominciassero a vedere film kuweitiani o somali non sarebbe male. Per cambiare un po' le idee e cominciare a conoscersi. (Le interviste con Chahine e Abu Seif sono state realizzate per c.onto della Televisione della Svizzera Italiana). 91

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