IL CONTESTO per capire come mai molti di loro hanno legato il tifo per la loro squadra all'insofferenza per gli stranieri dalla pelle nera che stendono la loro merce sui marciapiedi, oppure peri nordafricani di pelle bianca, generalizzando il fatto che molti di questi ultimi spacciano droghe, o per le piccole comunità di cinesi che si sono stabilite in taluni paesini e cittadine toscane; ed è interessante notare che i discorsi non sono affatto sempre gli stessi, e che per esempio gli immigrati dall'estremo oriente vengono rimproverati di essere iperorganizzati, troppo zelanti, troppo risparmiatori, compatti, segr<'ti.disciplinati, cerimoniosi e forse, chi lo sa, falsi, e di lavorare troppo e far girare le macchine dei loro piccoli laboratori anche di notte, e così via; e gli africani vengono volentieri accusati di avere caratteristiche psicologiche del tutto opposte. Così, a qualche studioso è stato talora difficile far capire che bisogna pur sempre anche andare a parlare con gli italoamericani di New York per sapere perché detestano i negri, e passare un poco di tempo con altri popolani dei grandi quartieri di quella città per cercare di capire perché gli irreprensibili, gentilissimi e.colti fruttivendoli coreani, pri'1Jaaccettati, ora hanno quasi ogni giorno i loro negozi devastati. Non mancano però versioni più colte, o più pretenziose, di un modo generico, e - appunto - pregiudiziale di avvicinarsi al problèma del pregiudizio razziale. Recentemente il redattore di una rivista di cultura, un giovane di solida formazione filosofica e di svariati interessi psicologici, mi ha chiesto di risponqere ad alcune domande sul problema dell'Altro. L'altro in che senso? Gli ho chiesto. L'Altro in tutti i sensi, mi ha risposto, tranquillo; e in particolare l'altro come Diverso. Per esempio? Qui egli è parso improvvisamente preoccupato. Egli voleva presentare un problema logico e linguistico, più che storico, e infatti era attentissimo a evitare che il linguaggio che usava lasciasse trasparire smagliature, che fossero tali da far emergere un mOdo, "sbagliato" di intendere l'Altro. Così, con grande cautela mi ha fattp alcuni esempi. Per esempio, diceva, 1' Altro è il pazzo, il negro (omeglio: lui veramente diceva "il nero", perché dire negro gli pareva pregiudiziale; diceva anche "cosiddetto fo1le", e una volta disse "non vedenti" per dire "ciechi", e ·suppongo che avrebbe detto "operatore ecologico" per dire netturbino); e ancora, l'Altro è ovviamente l'ebreo, ma anche la donna, e il minorato (pardon: handicappato ossia disabile) e il vecchio, e il bambino, e così via, ihsomma alla fine più o meno quasi tutti. Gli chiesi se. era sicuro che tutte le forme di incomprensione, discriminazione e.pregiudizio verso le più svariate categorie di persone fossero sempre dovute allo stesso me~canismo psicologico. Ne era sicurissimo. Ci.tòalcuni filosofi, e mi fece capire che in fondo questo era un problema ontologico; si dimostrò pochissimo interessato a discutere, per esempio, in che modo la paura del pazzo e della pazzia è legata a ben precise dinamiche psicologiche, che non si ritrovano in altre forme di pregiudizio; inoltre ignorava - per esempio - gli studi notissimi di Goffman, la vecchia sociologia radicale americana e il problema della stigmatizzazione, il concetto di devianza residua, e le ipotesi interazioniste e costrutti viste moderne: ma non gliene importava affatto. In realtà, insisteva, il problema vero era sempre lo stesso, solo con apparenze diverse, era il tema essenz,iale del!' Altro, ed era questo che andava svisce~ato e ~apito. Gli feci presente che la psicologia dinamica, e la ps1c~logi~s?Ciale,investigavano da anni con pazienza molti fenomem s?C1ahconcreti, di intolleranza e di pregiudizio, e che da queste ricerche non sembrava affatto risultare che tanti fenomeni psicologicamente e storicamente diversi fossero dovuti sempre allo stesso meccanismo, ma al contrario che entrassero in gioco molti meccanismi differenti, e molto complessi, variabili 6 da caso a caso, discussi, spesso poco chiari, e che comunque l'esistenza evenwale di un meccanismo comune universale andava caso mai dimostrato, e non già dato per scontato in partenza. Ma era un dialogo fra sordi: e ci lasciammo con una buona dose di malumore reciproco. Unasituazioneplanetarianuova: Iosfondostoricoe culturale attuale,fracris.idei gr.andisistemi, inquinamentoesovrappopolazione È molto verosimile l'ipotesi che gran parte degli attuali fenomeni di intolleranza e di razzismo verso gli immigrati - per esempio inItalia-siano da mettersi in rapporto alla tendenza dei gruppi più ricchi a diventare sempre più ricchi, e dei gruppi più poveri a veder aumentare anno per anno la loro· istanza dal · benessere, e quindi a cercare un sostentamento e un futuro spostandosi nelle nazioni ricche. Il problema sta assumendo.su scala planetaria, in anni recentissimi, aspetti qualitativi del tutto nuovi rispetto al passato. All'avvicinarsi della fine del millennio l'umanità si trova, come è noto, di fronte a un nodo di problemi dalla cui' soluzione dipende la sua stessa possibilità di sopravv1venza. Se l'aspetto più drammatico della trappola in cui sembra essersi cacciata la nostra specie è certamente dato dall' inquinamento, un aspetto connesso è dato dall'associarsi della sovrappop'olazione con la miseria in gran parte del globo. Ancora pochissimi anni fa il mondo sembrava costretto a scegliere fra il donare alla generalità dei suoi abitanti un buon livello di benessere e di consumi, ma al prezzo di un eventuale sviluppo industriale universalizzato che avrebbe distrutto l 'atmosfera e ucciso tutti quanti per inquinamento in pochissimi decenni, e -come alternativa- il mantenere nove decimi del pianeta ai limiti della sopravvivenza, col risultato di rinviare per un po' di anni il giorno dell'inquinamento globale ma di produrre u·na massa di poveri che cresce - per la diminuzione della mortalità infantile- con un incremento geometrico. Oggi sta succedendo ~oprattutto quest'ultimo fenomeno. Più precisamente sono successe due cose. In primo luogo, buona parte del mondo eufemisticamente designato come ~'in via di sviluppo". ha incontrato molte più difficoltà del previsto a decollare verso l'autonomia e un minimo di benessere, e in moltissimi casi non è decollato affatto, o addirittura si staCdisgregando. In secondo luogo è tramontata l'illusione che potessero nascere con relativa facilità modelli non capitalistici di sviluppo, per esempio di tipo socialista o secondo il "modo di produzione asiatico", oppure di tipo localistico e comunitario: .tu\to porta invece a sospettare- ed è un' ammissione ben triste - che l'organizzazione sociale umana tolleri, dalla rivoluzione industriale in poi, un solo sistema sociale · che funzioni e dia da mangiare alla gente, cioé quello industriale, liberale e capitalista, con tutti i suoi inconvenienti. (Beninteso, può darsi, ed è anzi sperabile, che emergano nei prossimi anni nuovi modi di sviluppo e di vita, non industriali e non capitalistici, che in qualche modo funzionino, sfamino tutti senza debiti, e magari non inquinino: ma per ora non ci sono, e neppure si vedono comparire ali' orizzonte.) L' industrializzazione universale non procede ovunque così veloce come qualdie anno or sono si poteva temere. Ma a quale prezzo ! Il globo si sta spaccando in due. Da un lato vi sono i paesi dell'Europa, gli Stati Uniti e il Canada, il Giappone e il Sud Est asiatico, e forse perfino l'India - se ce la farà, cosa ormai possibile - e con esse forse pochissime altre nazioni, tutte caratterizzate da bilanci in attivo, dà una solida autonomia produttiva e tecnologica, da un buon tasso di sviluppo, da università adeguate e moderne. (Non si tratta soltanto, si badi, delle nazioni di tradizione europea: il successo di taluni paesi emergenti è /
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