Linea d'ombra - anno VIII - n. 52 - settembre 1990

livello educativo e culturale medio è stato certamente più alto di quello delle popolazioni non ebraiche. È in rapporto a questi fattori che essi con l'andare del tempo hanno avuto successo sul piano del commercio e poi delle professioni intellettuali. Su questa base, negli adii e nelle insofferenze dell'antisemitismo · storico europeo hanno agito, almeno fino ai primi decenni di questo secolo, fattori di competizione sociale, che si sono sovrapposti a diffidenze e incompatibilità ideologiche, e ali' insorgere di dinamiche persecutorie ed espiatorie. Ma altri razzismi sono del tutto diversi: si pensi per esempio al razzismo tradizionale degli statunitensi di origine europea verso gli africani di pelle nera. Fra l'altro, questi ultimi sono stati (e sono) accusati di essere bonacéioni ma sostanzialmente indisciplinabil', poco intelligenti nella media, e quindi intrinsecamente incapaci di emergere socialmente: cosa che nessuno ha ma1 detto degli ebrei. Moltiplicandosi gli esempi, risulta ancora più evidente l'eterogeneità delle situazioni e delle dinamiche. Il razzismo verso gli Indiani in Kenia è fenomeno ben diverso dal pregiudizio razziale verso i Boscimani in Sud Africa; e del resto i neri anglofoni dell'East Africa, con il loro buon accento oxfordiano, non nascondono che a loro parere i loro fratelli di sangue della costa africana dell'Ovest sono congenitamente incapaci di parlare inglese con un accento e una grammatica decenti; così, svariando attraverso i continenti, il disprezzo razzista dei boliviani di origine europea verso gli indios andini (di cui amano dire che sono gli animali più simili agli esseri umani) o la sufficienza con cui molti giapponesi considerano i coreani, o gli askenaziti di Israele i sefarditi, e l'odio viscerale di moltissimi ebrei sefarditi israeliani verso gli arabi (da cui peraltro sono per lo più fisicamente indistinguibili, e di cui spesso parlano perfettamente la lingua), rappresentano fenomeni caratteristici e molto diversi fra loro. In ognuno di questi casi, e in infiniti altri, non si tratta soltanto di questioni puramente psicologiche e di tolleranza (questi0ni peraltro che hanno aspetti e strutture molto variabili), ma anche di rapporti e conflitti di culture, e inoltre, quasi sempre, di esiti diretti e indiretti di forme di ·competizione per l'accesso e il controllo delle risorse. · Presentare il razzismo come un'epidemia psichica o come un virus sociale significa dunque non voler spiegare cosa succede nel concreto: e cioè non voler sapere. Così, non stupisce che, feticizzato e reso astratto, il concetto di razzismo si sia pian piano dilatato fino al punto da perdere ogni significato. Il razzismo per esempio viene confuso con lo sciovinismo e con la xenofobia, per cui qualsiasi ostilità agli stranieri oggi sembra razzista, anche quando non lo è; oppure è confuso con talune specifiche rivalità storiche e con particolari incompatibilità culturali. Si pensi per esempio alla situazione per cui gli induisti dell' India si odiano vicendevolmente con i musulmani di qual paese, in base a una distanza culturale e religiosa che comprende fra l'altro i modi opposti con cui essi si riferiscono alle mucche.o ai maiali. È questo un fenomeno che in Occidente facciamo fatica a capire e che tendiamo anche, sottilmente, a disprezzare, ma che in sé non è affatto un fenomeno razzista. (Si può osservare che rischiamo di essere più razzisti noi, quando pensiamo che quelle contese trovano fondamento in un preteso "primitivismo" del modo intrinseco di ragionare di quei popoli.) Così anche, la violenza calcistica, se da un Iato presenta aspetti straordinariamente rozzi di competizione tribale e territoriale, non per questo è violenza razzista. Specificità dei fenomeni. Inflazione e perdita di senso del termine razzismo La perdita di senso della parola razzismo è tale che oggi si sente parlare (e si scrive su accreditati giornali) di "razzismo ILCONTESTO verso gli handicappati", di "razzismo verso i fumatori", e perfino "verso. i vecchi" e di altre insulsaggini del genere. Beninteso, determinate forme di intolleranza esistono, ma andrebbero analizzate volta per volta, e non serve a nulla appiattirle sotto una etichetta comune. Può anche darsi che stiamo diventando tutti più intolleranti in generale, verso gli arabi come verso i minorati o i vecchi, o magari verso i bambini, o verso i pedoni che traversano la strada in città: ma 1 'immagine di questa intolleranza rischia di essere uno stereotipo che tutti ripetono senza alcuna prova e che alla fine non dice più nulla. Ciò che non si vuol capire, è che in tal modo si cancella, insieme alla comprensioi:ie-delle difficoltà di convivenza fra le persone, e fra i popoli e le culture, la realtà stessa delle comunità e dei rapporti umani, delle persone vive in cui nascono i problemi, realtà che è impastata di bisogni e di storia, di vicende economiche e di tradizioni, di vita quotidiana, di speranze, e anche di moltissime amarezze. Precisamente a queste cose ben concrete e ben reali, ci piaccia o no, sono legati i pregiudizi, e fra gli altri pregiudizi quelli verso le minoranze etniche, e quindi anche le forme di razzismo in senso· proprio. È forse per questo tipo di ottica che il tentativo stesso di andare a fare un minimo di inchieste, cioè a capire perché taluni individui siano diventati razzisti, viene guardato talora con sospetto. Il razzismo, si dice, va prevenuto con un' adeguata educazione alla tolleranza; i razzisti non meritano comprensione, vanno isolati e respinti, e poi, naturalmente, vanno convinti che sbagliano. Ma questo programma non comprende alcun ascolto. Nessuno ha osservato la contraddittorietà di una simile posizione rjspetto ai suoi stessi assunti etici. 1 In realtà, non è difficile passare un po' di tempo - per esempio- a parlare con i giovani proletari e studenti fiorentini, Disegno di Daniele Meloni. ,-•--, 5

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