STORIE/KONDRATAS Lui aveva sis emato tutto con molto ordine. Non pensavo che a qualcuno. sarebbero servite queste cose. Se le può prendere. Non chiedo nessun compenso. Me ne sarei disfatto comunque. Solo dovrebbe portar via tutto al più presto. Oggi stesso. I suoi pensieri saltellavano, parlava veloce, senza permet- . ·tere spiegazioni. Di colpo mi strinse il braccio: - Sa una cosa? Ci ho pensato. Noi mettiamo tutto in questa macchina, lo trasportiamo a casa sua e scarichiamo. Non abbia paura, ci starà. Nella macchina c'è ancora molto posto. Questo è l'ultimo viaggio. Così faremo più in fretta. - Parlando mi conducev~ per le stanze vuote con brandelli di carta giallastra e azzurro cielo attaccati alle pareti. Odoravano di cinnamomo e di ragnatele umide. Sui pavimenti erano chiare le tracce di mobili da poco rimossi. L'uomo aprì una porta su una piccola cameretta con un'ampia finestra: - Eccoli. Devo dire che quel che allora vidi mi deluse. Senza, in coscienza, aspettarmi nulla, eppure nel profondo del cuore speravo di vedere qualcosa d'interessante. Sì, una collezione, fosse pure di etichette, di fiammiferi o di spillini. Ma ciò che era ammonticchiato in quella camera, da lontano non ricordava affatto una collezione. C'erano cumuli di scatolette di latta della marmellata, storte e arrugginite, vecchi pacchetti di cartone per surrogato di caffè pieni di macchie, bottigline di vetro nero (su una lessi: "Inchiostro Pinguin") e barattoli di vetro ricoperti con carta adesiva scura. Alcuni avevano certe etichette, altri non recavano niente o delle tracce di colla sbruciacchiate a indicare che anche lì c'erano state le etichette. -Eccoli, -ripeté quell'uomo, ritto dietro la mia schiena, guardando la camera oltre le mie spalle. - Cosa? - I tramonti. Ehi, ragazzi- strillò- caricate anche questa roba! - aprì con delicatezza una delle scatolette e quella, rimbalzando sul pavimento; rotolò verso le altre. A giudicare dal suono doveva essere vuota. Probabilmente il mio viso mostrò delusione, poiché sentii dire: - II babbo si lamentava sempre che gli mancavano i contenitori e tutti i vicini allora gli portavano ogni tipo di barattoli che poi gli sono rimasti. I facchini intanto trasportavano le lattine e i barattoli di vetro sul camion e io dovevo starmene lì, in piedi, e ascoltare quell~ sconosciuto. Quella robaccia occuperà almeno un quarto d~I ~10 appartamento. E quanta fatica dovrò ancora fare prima d!_npor~la tutta fuori di casa; non posso certo permettermi d mgagg1are dei facchini. ~ Mica poco, vero?~ disse il biondo con una punta d'orgoglio. -:-~ll'inizio collezionava aurore, ma poi, chissà come e perc~_e,s mteressò ai tramonti. Sa, cominciò a occuparsi di tut~oc10assai tardi cosicché non poté dedicare molto tempo agli ?me alle altre. L'età non era più quella. Capirà da solo: d'estate il sol~ sorge m_oltopresto e per una persona anziana non è semplice levarsi all:alba. I tramonti erano più comodi. Comunque ~r me lei pu? prendersi tutto. Le aurore sono stipate nello scantmato. Quasi tutte senza etichetta. Ma penso che in un 64 Villaggio lituano (foto di R. Urbonas, 1989). modo o nell'altro occorrerà aiutarla. Per me sarebbe meglio se si prendesse tutto. Mi guardò negli 'occhi: - E allora? Avvertivo sul mio volto un certo rossore ma non riuscivo a farci niente. - No grazie, - dissi - non è il mio campo. -Ma come ... I facchini avevano finito il lavoro quando arrivammo presso il camion. Mi sedetti vicino al conduttore per indicare la strada. Il biondo salì in cabina. Dopo un'ora rimasi da solo nel mio appartamento, sovrastato da latte, stracci e barattoli di vetro; bestemmiavo sottovoce e non avevo la minima idea di come utilizzare quel tesoro cadutomi, è il caso di dirlo, dal cielo. Afferrai una di quelle scatolette di latta, la rigirai nelle mani e la gettai di nuovo nel mucchio. Sull'etichetta, a lettere rotonde, uguali e quasi infantili, lessi: "Zagaré, 1946, Primavera". Sollevai la sc~toletta e l'agitai. A un tratto mi parve che qualcosa risuonasse ali' interno, ma dopo averla agitata ancora per un po', non udii più nulla. Una semplice latta vuota. Mi sorpresi nello specchio con quella scatoletta all'orecchio. Avevo l'aria d'un imbecille. Ebbi un sospiro, mi procurai un coltellino, aprii la latta e balzai all'indietro. La stanza fu invasa da una cortina di luce argentata. Le altre cose svanirono. Vidi davanti a me la linea azzurra del cielo e il sole che tramontava. Un luogo straniero, del tutto sconosciuto, illuminato da raggi rossi e color del bronzo. Similmente si riflette la fiamma della stufa sulle stoviglie d'argento: Alcune nuvole di porcellana giallastra, appena visibili all'orizzonte, il disco cremisi del sole nel fondo del cielo. Il cielo, in alto verde com 'etba appena spuntata, un po' più in basso color della pera che marcisce, in un gioco di barbagli come i lampi di luce sul bicchiere di cristallo pieno di tè.L'aria pura e tersa, ma avviluppata da una stanchezza appena percettibile. Appena appena. Ecco che il tramonto c'era davvero. Non durò molto, solo qualche minuto finché il sole scomparve. Richiusi la latta e la
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