Linea d'ombra - anno VIII - n. 52 - settembre 1990

Una rara immagine di Jiri Orten. davanti che tremo se ci penso. Vado a letto, sono così stanco e nel mio camminare verso il geio mi affisserò a uno dei prossimi,, impenetrabili e intracciati giorni." 20.5.1940 (p. 229). Un giorno dopo "I divieti" annota: "28 ottobre. La città è quieta. Ho fatto una sola cosa: mi sono comprato la nuova kniha, questa volta Rossa. Anche se non potrò scriverci prima cli due mesi (magari, lo potessi!), l'ho comprata apposta oggi, di proposito oggi. È molto bella e la sua carta ha un buon profumo. La lascerò nascosta fino a quando sarà finita la Zigrinata ... Ieri sera mi sono portato da Vera, fra qualche libro di miei amici, anche l'Azzurra. Saranno passati già tre anni da quando vi ho scritto per la prima volta e un anno da quando l'ho finita. La amo sempre molto." (p. 305). Orten porta da Vera l'Azzurra quando si avvicina alle ultime righe della Zigrinata: nelle ultime tre note, troviamo le due morti: la morte dell'amore, l'abbandono di Vera, e la morte della Zigrinata. "Addio, Zigrinata." (p. 329). L'ultima, la Rossa, è pronta. Siamo agli ultimi nove mesi di vita del proscritto, dal 9 dicembre 1940 al 29 agosto 1941. La polizia, lo cerca perché scrive versi, nel giornale ariano scoprono SAGGI/MIKES che Karel Jilek è uno pseudonimo di Orten, "un sporco attacco contro Karel Jilek; con dati particolareggiatissimi su tutta la nostra famiglia. Questo popolo, marginale, fradicio, apatico, pieno di odio addormentato che si sveglia!" (p. 452). In questo periodo Orten scrive le Nove Elegie, che sono tra le più belle poesie boeme. "Vi scrivo, Kàrina, e non so se siete viva ..." Il 29 agosto, l'ultima nota: "Domani mattina sono in libertà, una libertà molto arida. Nel segno di domani - dovrei ormai smetterla con questi giochi infantili!". El 'ultima poesia: "Alberi degli anni, come state? ..." Gli alberi del presente cresciuto nel tronco. _ · Un testo compatto, teso fin dall'inizio verso il suo finale, compiuto alla vigilia del ventiduesimo compleanno. In tutta la sua brevissima vita Ortensi sforza di diventare il suo testo definitivo. Sogna che la "morte tace davanti ai versi". "Pietra di tomba che si sgretola e muore, a essere pronunziata.'' Desidera che la morte taccia davanti ai versi che sono una morte compatta, più compatta e perfetta della morte stessa, la morte piena di lacune e di discrepanze: Orten contrappone alla morte imperfetta il testo - a seconda dei giorni- perfezionato, il testo di tutto quello che ha amato, perso, di tutto ciò che lo ha lasciato, e che è già per sempre passato-presente. Sì: il poema di Màcha nel linguaggio del nonessere scagliato contro ciò "che si chiama il Niente"; la dura forma del poema Nessun dove di Halas scagliata contro l'informità del nulla. E Orten: "Ecco, non sei dove sei,/nella tua morte vacua anneghi in un modo diverso,/Senza foglie, sènza aghi/ questo ·bell'albero morto/viene nuotando verso il mio linguaggio." (4.5.1940). Orten vive la sua vita come se non fosse più, si trascina attraverso il suo testo indietro nella sua preistoria, nel momento in cui ricorda il suo futuro. "Da nessuna parte, questo è il paradiso", il paradiso della piene:z;zacreativa, il paradiso del testo che si chiude in sé davanti alla storia e dove "indicibilmente" siamo sdraiati con noi stessi: "essere morto, indicibile con se stesso giacere." (p. 321). La parola-corpo: l'Azzurro-Zigrinato-Rosso Orten - lo stupore davanti a questi manoscritti è indescrivibile - "da qualche luogo", "dall'altra parte" lui çi guarda sempre! Però questo Diario ha anche altro aspetto, strano, perfino pericoloso. La relazione vita scrit4t-vita non scritta e quella VeraOrten. Nell'ultima pagina è scritto: "dovrei ormai smetterla con questi giochi infantili". Orten capisce anche il pericolo del proprio testo, a cui non era stato possibile passare quella frontiera liberatrice dopo la quale avrebbe potuto dire: non voglio essere letto, voglio essere scritto. Nella sua poesia ci sono indizi che egli avrebbe fatto prima o poi questo passo virile. Il tempo non ha permesso al ragazzo ventiduenne di farlo: avrebbe finito in ogni caso i suoi giorni nel gas di un lager. Nella sua situazione il poeta non poteva oltrepassare le pagine del suo Diario. Orten sapeva che esigeva da Vera l'impossibile, che la ragazza si trovava nella situazione di uno "da cui vogliamo più di quello che ha" (p. 135), che lui, isolato, "trascina tutti attorno a sé nel- ! 'isolamento" (p. 325), sapeva che Vera lo "tradirà",che "Vera sta traslocando definitivamente nel mondo che io chiamo teatrale, dove non devo, non posso e non voglio seguirla" (p. 300), e l 39

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