Linea d'ombra - anno VIII - n. 52 - settembre 1990

muscoli gonfi volesse afferrare se stessa nella speranza di abbracciare qualcosa di più che la materia palpitante. E arriva - anzitutto nei paesi del nord - il protestantesimo con la sua confessione senza confessore, di più, la stampa, quell "'invenzioJ\e del diavolo". Dal momento che ci resta solo la lettura da parte degli altri, cominciano a scrivere in parecchi. "A chi è destinato il testo che scriviamo?" domandano i dannati della scrittura faccia a faccia con quelli che non si pongono questa domanda; faccia a faccia con il borghese, che certo scrive anche lui il suo testo di vita, ma già così strappato dal mondo del significato e "incrostato" dal sopravvivere che la sua comunicazione non lo interessa, ed è perciò indifferente al fatto che il suo testo non sia destinato a nessuno. Chi si pone quella domanda quindi è doppiamente solo, sapendo di essere "letto" come un pazzo, un buffone pericoloso, un mangiapane a ufo che "dovrebbe fare qualcosa di utile". Non c'è differenza fra il borghese nel senso classico e il borghese-funzionario; semplicemente il secondo ha a sua disposizione una organizzazione più perfetta, ma ambedue nella loro miscredenza per quanto riguarda a lettura dei testi non destinati a nessuno, negano l'atto di scrivere. "Nessuno ci legge e non ha senso scrivere. Accetta finalmente tutto questo e lasciaci in pace", gridano tutt'e due. "La lettura non esiste", grida sadicamente il secondo, "Scrivi quello che ti detto io, Nerone, io, il dio senza dio. Ti sfigurerò l'atto di scrivere, di più, costringerò te a sfigurarlo!" Ogni Nerone cerca di renderci illeggibili a noi stessi, scrivendo con la nostra illeggibilità il suo testo "autentico" destinato al dio della storia. Ma perché allora scrivere ancora? Kafka alla fine della sua · vita ordina di far bruciare tutto quello che ha scritto. Non crede nel senso della scrittura? Naturalmente sì, ci crede! E se la sua vita non avesse toccato la fine, avrebbe dovuto continuare a esistere nello scrivere. Ma solo come se bastasse il fatto che qualcosa sia scritto. "Scrisse musiche inedite, inaudite," dice Montale del fratello di sua moglie, "oggi sepolte in un baule o andate" al màcero. Forse le reinventa "qualcuno inconsapevole, se ciò eh' è scritto è scritto." (Xenia 1,13) Quindi tutto dipende dallo scrivere e non dall'essere letto. E quello che è scritto - benché la materia che porta la scrittura finisca al macero - entra nel testo del mondo. Ciò che una volta è detto, pensato, amato-vive. "Niente è sparito, tocca," se vuoi, potrai sentire che perdura ogni incubo, "ogni felicità ..." (Orten, Nona elegia). Il testo che - inaudito e non visto - legge se stesso. Leggibile e indistruttibile, mantenuto nel tesoro delle informazioni indistruttibili? Il testo che rientra a Dio? Non conosco nessun altro che a Praga dopo Kafka abbia realizzato questo concetto più adeguatamente del poeta boemo di origine ebrea Jirì Orten. Proprio nei suoi Diari. Jirì Orten è nato il 30 agosto 1919. Arri va a Praga alla vigilia della guerra. La generazione di Holan e di Halas subito riconosce in lui un grande poeta. Finisce l'era del poetismo, l'ebbrezza "dell'arte di vivere e godere", il cui esponente principale fu Vitezslav Nezval: l'angoscia della fine è nell'aria. Poi viene l'occupazione della Cecoslovacchia. Il fratello di Orten scappa all'ultimo momento in Inghjlterra, gli amici di Orten partono, SAGGI/MIKES cercano di persuadere Jirì a scappare: lui rifiuta. Ama Vera, dice. Ma c'è anche qualcos'altro: dal ghetto non si può uscire senza conseguenze. Orten rifiuta di partire, benché sappia- due anni prima della separazione da Vera- che questa lo "tradirà". "V. si prepara a lasciarmi, per il momento solo inconsapevolmente," scrive il 30 novembre 1939. Il cerchio intorno a lui si stringe. "Stanotte non riuscivo a prender sonno e ripensavo e catalogavo nella mente tutti questi . divieti che in qualche modo ... mi riguardano. E poiché è domenica pomeriggio, e da due giorni sta nevicando ... trascriverò qui i divieti di cui riesco a ricordarmi e, dopo averli trascritti, lascerò ancora molto spazio in bianco per gli altri che d'ora in avanti si aggiungerannò alla lista ... Non posso uscire di casa dopo le otto di sera. Non posso prendere un alloggio indipendente. Non posso cambiar casa al di fuori dei quartieri di Praga I e V, e sempre in subaffitto. Non posso frequentare fiaschetterie, caffé, osterie, cinema, teatri e concerti, tranne uno o due caffé per me autorizzati. Non posso andare nei parchi e nei giardini pubblici. Non posso andare nei boschi della città. 'Non posso andare [quindi] a casa mia, a Kutnà Hora e in nessun altro luogo, se non con un permesso speciale della Gestapo. Non posso salire in tram sulla vettura motrice, soltanto nel1'ultimo rimorchio, e, se l'ingresso è al centro, solo nella parte posteriore della vettura. Non posso fare acquisti nei negozi in altri orari che dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 17. Non possorecitary in teatro, né svolgere qualsiasi altra attività in pubblico. Non posso essere membro di alcuna associazione. Non posso frequentare scuole di sorta. Non posso avere rapporti con i membri della 'comunità nazionale', che a loro volta non dovranno avere rapporti con me, non dovranno rivolgermi il saluto, né fermarsi con me, e dirmi altre parole che quelle strettamente indispensabili (quando vado a comprare qualcosa, ecc.)." Sotto gli auspici del poeta Halas, Orten dà alla stampa tre volumi di poesia-con pseudonimi diversi sotto i quali la stampa dei collaborazionisti via via riconosce Orten ("il penoso e angoscioso nascondino dietro i nomi", F. Halas). È espulso Cllll conservatorio, espulso da case in ~ubaffitto. Muore suo padre. E come se non fosse più vivo, un auteur posthume. Gli resta solo il linguaggio, "solo" la vita del linguaggio destinato anche lui al non-essere. Il suo presentimento del "tradimento'.' di Vera diventa realtà, si lasciano~ dolorosamente da parte sua - verso la fine del '40. Otto mesi dopo, esattamente alla vigilia del suo ventiduesimo compleanno, Orten scrive una nota nel suo diario e una poesia che si riferisce appunto a quel compleanno. La mattina seguente esce in strada con la ragazza presso i cui genitori è alloggiato. Prega la ragazza di aspettarlo e attraversa per andare a comprare le sigarette. Il chiosco è chiuso. Jirì ritorna sui suoi passi, è già al centro della via quando il.tabaccaio, che sta rientrando in quel momento, lo chiama. Jirì, che si è voltato di scatto e ha appena I 37

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