CONFRONTI Le cattiverie intelligenti di _Cesare Cases Gianni Turchetta Per nostra fortuna l'editore Einaudi, o chi per esso, ha deciso di opporre nna strenua resistenza allo spirito di auto~dissipazione che sembra spingere Cesare Cases a consegnare la mole parca ma .non esigua dei suoi scritti critici e teorici all'oblio, abbandonandoli al destino non incerto, poiché di morte sicura si tratterebbe, che attende tutto ciò che resta sui periodici. Invece, nel giro di pochi anni, abbi~o potuto mettere al sicuro nei nostri scaffali i saggi politico-filosofici de Il testimone secondario e Su Lukàcs (1985), poi quelli critico-letterari di Patrie lettere (1987), e fino a qua~che tempo fa sembrava ci si dovesse aspettare da un momento all'altro anche la ristampa dei saggi sulla letteratura tedesca. Ora invece è la volta de Il boom di Roscellino, che_ raccoglie, previa rigorosa selezione, scritti satirici e polemici usciti fra il 1958 e il 1989 (pp.270, L. 36.000). Cases, pur pubblicando libri, non ha mai scritto libri veri e propri (a parte l'inedita tesi di laurea su Ernst Hinger), ma solo recensioni, introduzioni, interventi su singoli problemi. Non è il caso però di farsi ingannare da questa dispersione fisica, e nemmeno dagli' stessi titoli auto-riduttivi che l'autore si sparge in testa a bella posta: Cases è un maestro, e da tenersi ben stretto, specie in anni come questi, di vertiginoso disorientamento ideologico e di forsennato avvicendamento di mode culturali senza radici. Lungi dall'essere frammentaria la sua attività è rigorosamente coerente nel profondo, e anzi, con un apparente paradosso (figura non a caso a lui particolarmente cara), proprio "lacostante aspirazione alla totalità l'ha spinto a intervenire in ambiti diversi, combattendo con le armi del "demone antispecialistico" l 'angustia settoriale che sempre più nel profondo affligge la nostra cultura. Anche in questo però non date retta alla perfida e falsa modestia di Cases: nel suo "antispecialismo" c'è. tanta di quella · dottrina da stendere tutti i malcapitati che avessero a polemizzare con lui. La sua "totalità" non ha davvero niente a che vedere con la "tuttologia" dei molti filosofi della domenica oggi in circolazione, che infatti Cases sbeffeggia con una ferocia tutta da godere, dal nostro Alberoni a Henry-Lévi, al politologo, anch'egli in odore di "Nouvelle philosophie", Jcan-François Revel, il cui · volume La tentazione totalitaria viene (a ragione) definito "una scorreggia letteraria moltiplicata in un milione di copie". Ma per capire quale sia lo spessore teoretico della cattiveria del nostro, niente di meglio che leggere, all'inizio del Boo~ di Rosee/lino, il pamphlet Marxismo e neo-positivismo (1958), finalmente ristampato. È un saggio per molti aspétti d'altri tempi, per il linguaggio e per la quasi totale sparizione dal nostro orizzonte di certe problematiche tipiche della sinistra marxista, oggi estinta ..Credo che per questo risulti per esempio poco meno che incomprensibile a chi non abbia fatto a tempo a vivere almeno i movimenti studenteschi del decennio '68- '77 (e il loro dottrinarismo). Eppure non poche delle questioni trattate sono tutt'altro che morte, a cominciare dal problema dei rapporti tra la filosofia e la filosofia della scienza: la prima sempre più vicina ali 'abdica-' zione, e ormai pronta a farsi surrogare da forme di santonismo più o meno istituzionalizzate, e la seconda sempre troppo propensa a farsi passare per filosofia senza aggettivi. Problemi filosofici, / Folo di lngc Schlodcn. come si vede, ma di dirette implicazioni politiche. Caso mai si potrebbe osservare che Cases è davvero molto fortunato, perché si è potuto permettere di sfottere, come se niente fosse, non dico i Guiducci e l' Agazzi, ma addirittura Preti (qui "Barone rampante") e Della Volpe. Oh gran bontà dei filosofi antiqui! A lui quelli parevan già debolucci, ma pensi, caro Cases, a noi derelitti, che al massimo possiamo prendercela con qualche scrittorello presuntuoso e con le sue scorreggine, oppure con Enzo Biagi, e Maurizio Costanzo, e, quando ci va proprio bene, con le varie nozze e rovine di Calasso. Già, a proposito, chi avesse qualche dubbio sull'acutezza dei giudizi di Cases, vada a rivedere la tempestività (di cui giustamente si compiace) con cui segnalò, all'inizio degli anni Settanta, l'incombere dei santoni di una mitologia per le masse, ma ammantata di spocchiose legittimazioni culturali. Proprio il recente successo dei libri di Calasso, che a me paiono quasi illeggibili e che invece masse di lettori semi-analfabeti si sciroppano manco fossero mentine, conferma quanto la figura mistificata di un Saggio portatore di visioni estatiche superiori sia davvero una funzione indispensabile del meccanismo dei media, dove "il terrorismo del mito si unisce a quello dell'industria 19
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