K«:•J~ ■ liC•J:11 ■ ···· Nel Kitsch, invece, accade esattamente il contrario. L'etico e l'estetico si scambiano le parti: e l'artista lavora guidato non da valori etici, ma dalla volontà di produrre il bello, o, per meglio· dire, il bell'effetto. Il Kitsch reifica la sfera dell'estetico, desublimando l'obiettivo estremo dell'arte, cioè la sua ambizione alla totalità; e reciprocamente sublima (Broch dice anche "patetizza") il "finito a infinito" (p. 161), promuove a valori assoluti le tecniche e gli stili, as ·unti come automatici equivalenti del bello. Ne nasce.unmondo parallelo, un antisistema composto di antivalori, che si contrappone frontalmente ali' arte: iI luogo di uli male irredimibile c ,; l'opera autentica deve costantemente sfuggire. Non solo: .il vero Kitsch è male anc~e nel senso che falsifica la realtà, esprime un'immagine fantasmatica del mondo, poiché "impone alla realtà una convenzione completamènte irreale imprigionandola in un falso schema" (p. 197). Broch ha in effetti un 'idea realistica della letteratura, e della narrativa in particolare; egli a<;pira(e i s_uoiromanzi fintroppoeclettici sono lì adimostrarlo) a un realismo o naturalismo "allargati", i cui modelli possono essere contemporaneamente, poniamo, Goethe e Zola, Tolstoj e Joyce, Musi! e Dps Passos. E infatti per lui l'atto etico più autentico che dà forma alr' opera d'arte è la ".rappresentazione del mondo così come esso è" (p.. 71), la fedeltà dello scrittore alle logiche dell'esistente e ai sistemi di valore extra-artistici che lo innervano ("il romanzo deve essere !ipecchio di tutte le altre immagini del mondo"; p. 97). Con la precisazione, beninteso, che Alain Delon e Monica Villi nel film di Anlonioni l'ec/isse ( 1962). tale realismo sui generis si materializza soprattutto in quelle entità che Broch chiama i "vocaboli della realtà" (i singoli lacerti dell'empiria: azioni, personaggi, situazioni riconoscibilmente oggettivi):essi devono comunque ricevere una curvaturaespressiva dalla "sintassi" con cui l'autore li esprime. Non a caso, Broch fa spesso riferimento al sogno per cercare di definire il rapporto fra sintassi formante e realtà formata, fra atto modellizzante e materia prima della rappresentazione. Vero è che, comunque, egli non -intendemai dare ricette reificanti, non vuole affatto esprimere una poetica (che per lui, sospetto, sarebbe sempre un atto un po' Kitsch): ciò che maggiormente conta è la capacità dell'artista di raffigurare i sistemi di valore esterni "così come sono, vale a dire nel loro sviluppo vivente, nella loro lotta e non nella loro chi usura e nel loro isolamento" (p.74). Cosicché anche certe opere d'arte in apparenza più eteronome (Broch pensa a due scrittori 'politici' come Hauptmann e Brecht) non cadono nel disvalore del Kitsch, per la probità con cui sanno presentare i conflitti sociali senza ridurli a un sistema concluso, definito una volta per tutte. Del resto, l'idea di romanzo che ci viene proposta può anche essere letta come una difesa della politicità immanente a qualsiasi operato artistico: e infatti i grandi maestri del Kitsch, secondo Broch, sono Nerone e Hitler. · Insomma, in questo "platonico estremista" - come Broch stesso amava definirsi -, che non teme di usare la terminologia religiosa più oltranzistica (per lui il Kitsch altro non è che l'Anticristo), rischiamo paradossalmente di scoprire un Lukacs meno dogmatico, il teorico di una narrativa che, pur nella crisi di tutti i valori, non dimette un'ambizione alla totalità e al rispecchiamento del mondo. Certo, ·la demonizzazione del Kitsch comporta conseguenze che per noi possono essere leggermente imbarazzanti: come l'attacco frontale a ogni narrazione di consumo, al giallo, al rosa, e magari anche al cinema. Su questa strada si è meno disposti a seguire il pensiero di Broch; anche se; beninteso, la sua estetica può essere trasferita nell'ambito delle paraletterature varie, per discernervi il bene dal male. Ma l'eticità così perentoriamente affermata si presta molto poco, ripeto, a.delimitazioni di poetica. Anche perché i messaggi etici - e chi non lo sa?.- si verificano agendo; e in arte agire significa non solo produrre l'opera, ma pure giudicarla. Un capitoletto del Kitsch è appunto dedicato alla critica, che, più ancora dell'atto formativo, richiede secondo Broch una moralità pressoché assoluta: anche il critico deve fare un buon, non un bel, lavoro; e anzi se "l'artista può essere un 'farabutto', il critico deve essere un uomo onesto" (p. 46). Il fatto è che, implicita nel volume, c'è anche l'idea di una ricezione Kitsch. Esplicitamente: "Non c'è nulla di più disgustoso di un pubblico di 'intenditori', di un pubblico estetizzante ed 'estetico' " p. 42). E il problema è sempre Io stesso, vale a dire la proterva prevaricazione del bello sul bene, la strumentalizzazione dell'oper~ d'arte a fini di contemplazione dilettantistica e edulcorante. Motivi per attualizzare Broch, com~ si vede, ce ne sono fin troppi. Un dubbio però resta: nella nostra epoca (ma Broch è morto un secolo o solo quarant'anni fa?), così radicalmente estetizzata, asservita al bello e al buon gusto coatti- o, ma è lo stesso, al brutto e al cattivo gusto coatti -, parlare di Kitsch sembr,aa volte proprio impossibile. Possiamo com~nque provarci, magari apparendo un po' arcaici e - appunto-moralisti. Se non altro perché deve essere piacevolissimo poter dire, di qualche scrittorucolo gonfiato dalla critica, e di qualche critico che fa bolle di sapone, quello che Broch dice dell'artista Kitsch (p. 69): "Chi produce del Kitsch non è uno che produce arte deteriore[ ...] è un malvagio, un essere eticamente abietto, un malfattore che . tende radicalmente al male. Per esprimere lo stesso concetto in termini meno patetici: costui è un porco".
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==