Linea d'ombra - anno VIII - n. 52 - settembre 1990

SETTEMBRE1990 - NUMERO52 LIRE8.000 I mensile di storie, immagini, discussfoni e spettacolo

Discorso eretico alla fatalità GICNTI Il mio cuore t11hriwri11i c1urm E A Il sale della terra Già pubblicati: Storia di una fattoria africana • Box-car Bertha • Firdaus • Misteri del chiostro napoletano • Piccoli contrattempi del vivere • Latte d'autunno• Viaggio nel buio• Lady Oracolo• Onnazaka • Il lungo viaggio di Poppie Nongena • Mi chiamo Rigoberta Menchù • Aloma • Cittadina di seconda classe• Donne d'Algeri nei loro appartamenti • Storie di bimbe, di donne, di streghe • Autoritratto di gruppo • Inganni e incanti di Sophie Silber • Cara spudorata morte • In dicembre tornavano le brezze • L'età pericolosa• La svergognata• Il nuovo regno• Memorie di una figlia del popolo• Manicomio primavera• L'inventario di Henriette Voge! • La sibilla• La mia vita• Volava un uccello

ENIEI.. . . . .

Leggere Einaudi << Supercoralli » SebastianoVassalli Lachimera In un villaggiopadaho del Seicento, cancellato dalla storia, la tragica vita di Antonia, strega di Zardino. L'attualità di un'epoca dimenticata, in un romanzo dagli innumerevoli intrecci. pp. 308, L. 26 000 DentonWelch Viaggioinaugurale Dall'Inghilterra verso la Cina piu segreta: I'avven~uròsoviaggiodi un adolescente negli anni Trenta. Traduzione di Maria Luisa Giartosio de Courten. pp. 316, L. 28 000 ... EdmundWhite Ungiovaneamericano · Il racconto straordinario di una d;fficile educazione sentimentale nell'America conformista degli · anni '50. Traduzione di Sandro Melani. pp. 217, L. 26 000 lanMcEwan Lettera Berlino Un terribile omicidio, all'origine di una storia di spionaggio e di passione. Traduzione di Susanna Basso. pp. 259, L. 28 000 FriedrichDiirrenmatt LaValledelC~os Angeli e demoni, teologi sensuali ed assassini, falsari, gangster e stupratori, miliardari e obese divoratrici di cioccolatini .... Traduzione di Giovanna Agabio. pp. l 16, L. 22 000 CamiloJoséCela L'alveare La fame, la paura, l'invidia, nellaMadrid sopravvissuta allaguerra civile. Traduzione di Sergio Ponzanelli. pp. xrn-243, L. 28 ooo «Nuovi Coralli» JuanRulfo Lapianurainfia.mme Un Messico che mette a nudo le sue radici piu profonde. A cura di Francisca Perujo. pp. 177; L. 18 000 AlvaroMuti~ LaNevedell'Ammiraglio «Mutis è uno dei piu grandi scrittori della nostra epoca» (Gabriel Garda Marquez). A.cura di Ernesto Franco. Traduzione di Fulvia Bardelli e Ernesto Franco. pp. v-161, L. 18 ooo « Gli struzzi» NandodallaChiesa Storie dibossministritribunaligiornali intellettualicittadini · Un viaggio nell'Italia del sopruso. pp. x-264, L. 20 ooo NataliaGinzburg SerenaCruz olaveragiustizia «Scrivo questo libro per testimoniare solidarietà allé persone a cui sono stati strappati i bambini che esse avevano fino a quel giorno amato e accudito». pp. vn:96, L. rn ooo « Saggi» JeanCocteau · Ilrichiamoall'ordine La «giovane» musica, Pic~sso, Barrès: e soprattutto Cocteau che patia, ininterro.ttamente, di sé. Un affascinante manifesto. A cura di Paola Dècina Lombardi. pp. xn-216 con 16 illustrazioni fuori testo, L. 36 ooo · NikeWagner Spiritoesesso Ladonnae l'erotismo nellaViennafindesiècle La «femme fatale», la «femme fragile», la donna bambina, fa donna emancipata: fantasie e angosce maschili nel dibattito filosofico e letterario della Vienna fin de siècle. Traduzione di Mirella Torre. pp.x-251 con 36 illustrazioni fuori testo, L. 40 ooo « Saggi brevi» PaulValéry . Tredialoghi Partiture delica#ssime, articolate, racconti piu che testi di pensiero: il ·moderno ha i suoi miti e sa narrare le sue favole-. - Traduzione di Vittorio Sereni. Con uno scritto di Giuseppe Conte. pp. xrn-137, L. 18 ooo

Direttore: Goffredo Fofi Direzione editoria/e: Lia Sacerdote Collaboratori: Adelina Aletù, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Alfonso Berardinelli, Giorgo Bert, Paolo Bcrtinetti, Gianfranco Bettin, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto Bobbio, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa. Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Grazia Cherchi, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cotùnelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetù, Peppo Del Conte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Bruno Falcetto, Maria Ferretù, Marcello Flores, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Fabio Gambaro, Roberto Gatù, Filippo Gentiloni, Piergiorgio Giacchè, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra, Giovanni Jervis, Filippo La Porta, Gad Lemer, Stefano Levi della Torre, Marcello Lorrai, Maria Madema, Luigi Manconi, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, PaoloMereghetti, Santina Mobiglia, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Cesare Pianciola, Gianandrea Piccioli, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, Oreste Pivetta, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Marco Revelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Maria Schiavo, Franco Serra, Marino Sinibaldi, Joaquin Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Emanuele Vinassa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi, Egi Volterrani. Progetto grafico:' Andrea Rauch/Graphiti - Ricerche iconografiche: Barbara Galla Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Regina Hayon Cohen Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione' di questo numero: Anna Baggiani, Franco Cavallone, Natalia Del Coni.e,Giorgio Ferrari, Carla Giannetta, Giovanni Giovannetti, Daniele Melani, Grazia Neri, Santa Se<ly. Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio4 -20124 Milano · Te!. 02/6691132-6690931. Fax: 6691299 · Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Via Famagosta 75 - Milano Te!. 021/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) - Tel. 02/4473146 LINEA D'OMBRA Mensile di storie, immagini, discussioni Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo III/70% Numero 52- Lire 8.000 -Abbonamenti Annuale: ITALIA: L. 75.000 da versare a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. <J0.000 I manoscriiti non vengono restituiti Si risponde a discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati ingrado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. · Questa rivista è stampata su carta riciclata. 4 9 11 15 19 20 24 27 Giovanni Jervis Vittorio Dini Marino Sinibaldi Paolo Giovannei/i Gianni Turchetta Domenico Scarpa AlvaroMutis Katja Lange-Muller Il razzismo è un virus? anno VIII settembre 1990 numero 52 Una generazione di opporturusti Empirici ed eretici, da Bobbio a Pasolini Il kitsch secondo Hermarm BrÒch Le cattiverie intelligenti di Cesare Cases ·calvino in URSS Le avventure di Maqroll, el Gaviero incontro con Fabio Rodriguez Amaya Prima del muro, dopo il muro ' due incontri co_nFabrizia Ramondino e Victoria De Grazia sul libro di Mariuccia Salvati sulle classi medie negli armi '30 (a p. 17) Diego Mormorio sulla fotografia di Helmut Newton (a p. 26), Giulio Angioni su due fiJm su\la Sard·egna (a p. 30), gli Autori di questo numero (a p. 94). 33 77 78 59 61 63 7.1 74 36 45 66 68 41 51 79 81 88 85 Jirì Orten Bianca Tarozii Giorgio Luzzi Daniclius Musinskas Bronius Radzervicius Tomas Kondratas Alberto L'Abate Lee Marshall Vladimir M ikes Arthur Koestler Riccardo lllbani Luigi Rosadoni Ignazio Sifone Evgenij Popov Eugenio Barba YusefChahine Salah Abu Seif A. M. Di Marco, B.Dionisi Il barattolo di strutto e altre poesie La rivoluzione non è un invito a cena Poema delle piccole notti pari Racconti lituani La severa saggezza d'Europa E si levano· le gru Il collezionista preceduti da Per una br~~e storia della letteratura iituana di Pietro U. Dini Storia tragi-comica di un processo a Comiso Laggiù in Cina · · ' ' Il diario di Jirì Orten L'Intellighenzia La dimensione comurutaria. Don Luigi Rosadoni tra fede e politica L~ttere a don-Renzo Rossi Socialismo e morale (1938) a cura di Clement Greenberg Riso, anche amaro a cura di Pia Pera Quello che si dirà dopo Cosa vuol èlire intellettuale? incontro con Luisa Ore/li La gente non è stupida incontro con Luisa Ore/li Il cinema egiziano degli armi Ottanta e Marco Pistoia sulla retrospettiva del cinema cèco negli armi di Dubcek (a p. 92). Là copertina di questo numero è di Andrea Rauch/Graphiti

IL CONTESTO Il razzismo è un virus? Un falso problema che ci dà dei problemi Giovanni Jervis . / Nei mesi passati i giornali e le reti televisive italiane si sono molto occupati dei fenomeni di intolleranza verso gli immigrati, e di nuovi episodi di antisemitismo. Purtroppo non è stato difficile osservare che queste manifestazioni sono state presentate quasi sempre in un' ottica stereotipata e moralistica. L'allarme per il razzismo, occorre dirlo subito, ha qualche solida giusti_ficazione.Se ora abbiamo in Italia nuovi problemi di intolleranza etnica, questo è soprattutto- come è ben noto- in rapporto a un fenomeno storicamente nuovo per noi, l'immigrazione. È un problema che ci ha, in qualche modo, sorpresi, anche perché si è sommato in modo perverso al persistere-e per molti aspetti ali' aggravarsi - della questione meridionale. Ma è utile notare che l'arrivo di lavoratori extracomunitari crea da noi problemi particolarmente acuti di convivenza anche per altri specifici motivi: in primo luogo perché questa immigrazione sembra avvenire con molto maggiore facilità nella nostra penisola che in altri paesi europei, tanto che oggi non se ne conoscono neppure vagamente i veri termini numerici; e inoltre perché l' Italia, a differenza - per esempio - della Francia o della Germania, ha purtroppo una pessima infrastruttura di servizi civili (ospedali, alloggi a ba9so prezzo, strutture di assistenza sociale, servizi amministrativi) : questa infrastruttura, non essendo adeguata alle esigenze della sua popolazione autoctona, meno che mai lo risulta per i suoi nuovi ospiti. Ma l'allarme è internazionale, e se è vero che in parte dipende dai nuovi movimenti di popoli, inparte ne prescinde. Mo!ti, sia da noi che in altri paesi, hanno la sensazione che la stessa ragione illuminista, la quale è da più di due secoli .Ja misura del mondo e la regola somma del vivere civile, stia perdendo il proprio ancoraggio nel pensiero politico, e quindi dimostri smagliature e segni diffusi di cedimento. Qui si sente, o si teme, non senza motivo, che la frana dell'idea socialista, e forse perfino il tramonto della lotta politica, stiano per aprire il varco a forme regressive e irrazionali di conflittualità, a localismi, a tribalismi, al razzismo spicciolo e su vasta scala. · 11razzismo è veramente una specie di malattia, come tale identificabile e isolabile? Vale la pena di soffermarsi su qualche considerazione che va contrò gli stereotipi correnti. È giustificato argomentare che il razzismo - diversamente da come viene presentato - non è un virus, né reale né metaforico, e neppure è una epidemia psicopolitica di qualche tipo, né una sorta di essenziale veleno sociale che, cacciato nelle fogne dalla storia, periodicamente ne riemerge, a distruggere i buoni rapporti di convivenza. Le idee razziste - cioè i pregiudizi secondo cui i rappresentanti di talune culture sono biologicamente peggiori, per esempio perché più stupidi, o più cattivi - non sono affatto, in realtà, qualcosa di misterioso. Queste idee e atteggiamenti sono legati a pregiudizi sociali molto comuni, e in sostanza sono stereotipi etnici, per lo più di tipo rigido, generalizzante e semplificato, che emergono e sono comprensibili ali' interno di dinamiche psicologiche complesse- ma identificabil~- le quali a toro volta sono espressione di concreti disagi storici, politici, e anche economici. Gli aspetti psicologici non vanno trascurati, anche se hanno poco senso in astratto. Psicologicamente, il razzismo non è sempre nettamente separabile da altre forme di pregiudizio sociale ; esso si alimenta di una infinità di stereotipi apparentemente innocui e molto banali, di cui sono esempio tipico enunciati correnti come "gli italiani sono emotivi e faciloni", o "i tedeschi sono metodici ma pedanti". Vi sono però due fattori che tendono ad accentuare il carattere aggressivo di molti pregiudizi sociali. Il primo fattore è dato dalla tendenza psicologica universale a identificare la distinzione dentro-fuori con la distinzione buonò-cattivo. Questa tendenza è inscindibile dai processi ordinari di costruzione e di difesa dell' identità. In pratica, l'identità di ogni individuo si basa sull' identificazione con un gruppo sociale di appartenenza, di cui egli condivide i valori, e questo avviene necessariamente con una fiduciosa esaltazione della bontà dei valori interni del gruppo: ma sembra che questa esaltazione possa difficilmente aver luogo senza una parallela svalutazione aggressiva dei valori esterni al gruppo, vissuti come controdefiniti e quindi complementarmente opposti. Tale dinamica è messa in atto tanto più fortemente quanto più l'individuo singolo abbia per i più vari motivi una caduta di autostima, o il suo gruppo nell'insieme si senta frustrato, o minacciato nella sua autoriconoscibilità culturale. Il secondo fattore consiste nel meccanism.opsicodinamico della proiezione: la proiezione si manifesta nella tendenza ad attribuire ad altri (in pratica, agli individui esterni al gruppo) quelle caratteristiche negative - in particoiare l'aggressività - la cui esistenza viene negata all'interno. In taluni casi il meccanismo della proiezione produce problematiche psicosociali persecutorie, cioè di tipo paranoide; in altri casi proòuce le dinamiche di espulsione note come "del capro espiatorio" . Un solo razzismo, o molti ? · Beninteso, non è sempre facile comprendere i motivi e le radici di fenomeni di gruppo e di massa che hanno evidenti aspetti irrazionali, e che ci inquietano anche per- questo motivo. La psicologia ci può aiutare. Ma i fenomeni di razzismo, per quanto ambigui, e per quanto psicologicamente contorti, si stagliano sempre su uno sfondo storico. Per esempio, è banale riconoscere caratteristiche storiche e psicologiche ben specifiche nel razzismo più noto ed esecrato: quello tradizionale dei cristiani, da sempre politicamente egemoni inEuropa, contro le minoranze ebraiche. Sappiamo come siaf)o entrati in gioco fattori ideologici, e politici, e religiosi; ma è probabilmente vero che gli ebrei europei sono stati portatori per secoli di un tipo di valori pedagogici, di un'etica e di forme di saggezza familiare del tutto funzionali alla loro sopravvivenza e per certi lati - per quanto questo giudizio pòssa essere generico .:__"_superiori", o meglio "più efficaci" nei cònfronti dei valori cristiani, e in particolare cattolici; così, per vari secoli il loro

livello educativo e culturale medio è stato certamente più alto di quello delle popolazioni non ebraiche. È in rapporto a questi fattori che essi con l'andare del tempo hanno avuto successo sul piano del commercio e poi delle professioni intellettuali. Su questa base, negli adii e nelle insofferenze dell'antisemitismo · storico europeo hanno agito, almeno fino ai primi decenni di questo secolo, fattori di competizione sociale, che si sono sovrapposti a diffidenze e incompatibilità ideologiche, e ali' insorgere di dinamiche persecutorie ed espiatorie. Ma altri razzismi sono del tutto diversi: si pensi per esempio al razzismo tradizionale degli statunitensi di origine europea verso gli africani di pelle nera. Fra l'altro, questi ultimi sono stati (e sono) accusati di essere bonacéioni ma sostanzialmente indisciplinabil', poco intelligenti nella media, e quindi intrinsecamente incapaci di emergere socialmente: cosa che nessuno ha ma1 detto degli ebrei. Moltiplicandosi gli esempi, risulta ancora più evidente l'eterogeneità delle situazioni e delle dinamiche. Il razzismo verso gli Indiani in Kenia è fenomeno ben diverso dal pregiudizio razziale verso i Boscimani in Sud Africa; e del resto i neri anglofoni dell'East Africa, con il loro buon accento oxfordiano, non nascondono che a loro parere i loro fratelli di sangue della costa africana dell'Ovest sono congenitamente incapaci di parlare inglese con un accento e una grammatica decenti; così, svariando attraverso i continenti, il disprezzo razzista dei boliviani di origine europea verso gli indios andini (di cui amano dire che sono gli animali più simili agli esseri umani) o la sufficienza con cui molti giapponesi considerano i coreani, o gli askenaziti di Israele i sefarditi, e l'odio viscerale di moltissimi ebrei sefarditi israeliani verso gli arabi (da cui peraltro sono per lo più fisicamente indistinguibili, e di cui spesso parlano perfettamente la lingua), rappresentano fenomeni caratteristici e molto diversi fra loro. In ognuno di questi casi, e in infiniti altri, non si tratta soltanto di questioni puramente psicologiche e di tolleranza (questi0ni peraltro che hanno aspetti e strutture molto variabili), ma anche di rapporti e conflitti di culture, e inoltre, quasi sempre, di esiti diretti e indiretti di forme di ·competizione per l'accesso e il controllo delle risorse. · Presentare il razzismo come un'epidemia psichica o come un virus sociale significa dunque non voler spiegare cosa succede nel concreto: e cioè non voler sapere. Così, non stupisce che, feticizzato e reso astratto, il concetto di razzismo si sia pian piano dilatato fino al punto da perdere ogni significato. Il razzismo per esempio viene confuso con lo sciovinismo e con la xenofobia, per cui qualsiasi ostilità agli stranieri oggi sembra razzista, anche quando non lo è; oppure è confuso con talune specifiche rivalità storiche e con particolari incompatibilità culturali. Si pensi per esempio alla situazione per cui gli induisti dell' India si odiano vicendevolmente con i musulmani di qual paese, in base a una distanza culturale e religiosa che comprende fra l'altro i modi opposti con cui essi si riferiscono alle mucche.o ai maiali. È questo un fenomeno che in Occidente facciamo fatica a capire e che tendiamo anche, sottilmente, a disprezzare, ma che in sé non è affatto un fenomeno razzista. (Si può osservare che rischiamo di essere più razzisti noi, quando pensiamo che quelle contese trovano fondamento in un preteso "primitivismo" del modo intrinseco di ragionare di quei popoli.) Così anche, la violenza calcistica, se da un Iato presenta aspetti straordinariamente rozzi di competizione tribale e territoriale, non per questo è violenza razzista. Specificità dei fenomeni. Inflazione e perdita di senso del termine razzismo La perdita di senso della parola razzismo è tale che oggi si sente parlare (e si scrive su accreditati giornali) di "razzismo ILCONTESTO verso gli handicappati", di "razzismo verso i fumatori", e perfino "verso. i vecchi" e di altre insulsaggini del genere. Beninteso, determinate forme di intolleranza esistono, ma andrebbero analizzate volta per volta, e non serve a nulla appiattirle sotto una etichetta comune. Può anche darsi che stiamo diventando tutti più intolleranti in generale, verso gli arabi come verso i minorati o i vecchi, o magari verso i bambini, o verso i pedoni che traversano la strada in città: ma 1 'immagine di questa intolleranza rischia di essere uno stereotipo che tutti ripetono senza alcuna prova e che alla fine non dice più nulla. Ciò che non si vuol capire, è che in tal modo si cancella, insieme alla comprensioi:ie-delle difficoltà di convivenza fra le persone, e fra i popoli e le culture, la realtà stessa delle comunità e dei rapporti umani, delle persone vive in cui nascono i problemi, realtà che è impastata di bisogni e di storia, di vicende economiche e di tradizioni, di vita quotidiana, di speranze, e anche di moltissime amarezze. Precisamente a queste cose ben concrete e ben reali, ci piaccia o no, sono legati i pregiudizi, e fra gli altri pregiudizi quelli verso le minoranze etniche, e quindi anche le forme di razzismo in senso· proprio. È forse per questo tipo di ottica che il tentativo stesso di andare a fare un minimo di inchieste, cioè a capire perché taluni individui siano diventati razzisti, viene guardato talora con sospetto. Il razzismo, si dice, va prevenuto con un' adeguata educazione alla tolleranza; i razzisti non meritano comprensione, vanno isolati e respinti, e poi, naturalmente, vanno convinti che sbagliano. Ma questo programma non comprende alcun ascolto. Nessuno ha osservato la contraddittorietà di una simile posizione rjspetto ai suoi stessi assunti etici. 1 In realtà, non è difficile passare un po' di tempo - per esempio- a parlare con i giovani proletari e studenti fiorentini, Disegno di Daniele Meloni. ,-•--, 5

IL CONTESTO per capire come mai molti di loro hanno legato il tifo per la loro squadra all'insofferenza per gli stranieri dalla pelle nera che stendono la loro merce sui marciapiedi, oppure peri nordafricani di pelle bianca, generalizzando il fatto che molti di questi ultimi spacciano droghe, o per le piccole comunità di cinesi che si sono stabilite in taluni paesini e cittadine toscane; ed è interessante notare che i discorsi non sono affatto sempre gli stessi, e che per esempio gli immigrati dall'estremo oriente vengono rimproverati di essere iperorganizzati, troppo zelanti, troppo risparmiatori, compatti, segr<'ti.disciplinati, cerimoniosi e forse, chi lo sa, falsi, e di lavorare troppo e far girare le macchine dei loro piccoli laboratori anche di notte, e così via; e gli africani vengono volentieri accusati di avere caratteristiche psicologiche del tutto opposte. Così, a qualche studioso è stato talora difficile far capire che bisogna pur sempre anche andare a parlare con gli italoamericani di New York per sapere perché detestano i negri, e passare un poco di tempo con altri popolani dei grandi quartieri di quella città per cercare di capire perché gli irreprensibili, gentilissimi e.colti fruttivendoli coreani, pri'1Jaaccettati, ora hanno quasi ogni giorno i loro negozi devastati. Non mancano però versioni più colte, o più pretenziose, di un modo generico, e - appunto - pregiudiziale di avvicinarsi al problèma del pregiudizio razziale. Recentemente il redattore di una rivista di cultura, un giovane di solida formazione filosofica e di svariati interessi psicologici, mi ha chiesto di risponqere ad alcune domande sul problema dell'Altro. L'altro in che senso? Gli ho chiesto. L'Altro in tutti i sensi, mi ha risposto, tranquillo; e in particolare l'altro come Diverso. Per esempio? Qui egli è parso improvvisamente preoccupato. Egli voleva presentare un problema logico e linguistico, più che storico, e infatti era attentissimo a evitare che il linguaggio che usava lasciasse trasparire smagliature, che fossero tali da far emergere un mOdo, "sbagliato" di intendere l'Altro. Così, con grande cautela mi ha fattp alcuni esempi. Per esempio, diceva, 1' Altro è il pazzo, il negro (omeglio: lui veramente diceva "il nero", perché dire negro gli pareva pregiudiziale; diceva anche "cosiddetto fo1le", e una volta disse "non vedenti" per dire "ciechi", e ·suppongo che avrebbe detto "operatore ecologico" per dire netturbino); e ancora, l'Altro è ovviamente l'ebreo, ma anche la donna, e il minorato (pardon: handicappato ossia disabile) e il vecchio, e il bambino, e così via, ihsomma alla fine più o meno quasi tutti. Gli chiesi se. era sicuro che tutte le forme di incomprensione, discriminazione e.pregiudizio verso le più svariate categorie di persone fossero sempre dovute allo stesso me~canismo psicologico. Ne era sicurissimo. Ci.tòalcuni filosofi, e mi fece capire che in fondo questo era un problema ontologico; si dimostrò pochissimo interessato a discutere, per esempio, in che modo la paura del pazzo e della pazzia è legata a ben precise dinamiche psicologiche, che non si ritrovano in altre forme di pregiudizio; inoltre ignorava - per esempio - gli studi notissimi di Goffman, la vecchia sociologia radicale americana e il problema della stigmatizzazione, il concetto di devianza residua, e le ipotesi interazioniste e costrutti viste moderne: ma non gliene importava affatto. In realtà, insisteva, il problema vero era sempre lo stesso, solo con apparenze diverse, era il tema essenz,iale del!' Altro, ed era questo che andava svisce~ato e ~apito. Gli feci presente che la psicologia dinamica, e la ps1c~logi~s?Ciale,investigavano da anni con pazienza molti fenomem s?C1ahconcreti, di intolleranza e di pregiudizio, e che da queste ricerche non sembrava affatto risultare che tanti fenomeni psicologicamente e storicamente diversi fossero dovuti sempre allo stesso meccanismo, ma al contrario che entrassero in gioco molti meccanismi differenti, e molto complessi, variabili 6 da caso a caso, discussi, spesso poco chiari, e che comunque l'esistenza evenwale di un meccanismo comune universale andava caso mai dimostrato, e non già dato per scontato in partenza. Ma era un dialogo fra sordi: e ci lasciammo con una buona dose di malumore reciproco. Unasituazioneplanetarianuova: Iosfondostoricoe culturale attuale,fracris.idei gr.andisistemi, inquinamentoesovrappopolazione È molto verosimile l'ipotesi che gran parte degli attuali fenomeni di intolleranza e di razzismo verso gli immigrati - per esempio inItalia-siano da mettersi in rapporto alla tendenza dei gruppi più ricchi a diventare sempre più ricchi, e dei gruppi più poveri a veder aumentare anno per anno la loro· istanza dal · benessere, e quindi a cercare un sostentamento e un futuro spostandosi nelle nazioni ricche. Il problema sta assumendo.su scala planetaria, in anni recentissimi, aspetti qualitativi del tutto nuovi rispetto al passato. All'avvicinarsi della fine del millennio l'umanità si trova, come è noto, di fronte a un nodo di problemi dalla cui' soluzione dipende la sua stessa possibilità di sopravv1venza. Se l'aspetto più drammatico della trappola in cui sembra essersi cacciata la nostra specie è certamente dato dall' inquinamento, un aspetto connesso è dato dall'associarsi della sovrappop'olazione con la miseria in gran parte del globo. Ancora pochissimi anni fa il mondo sembrava costretto a scegliere fra il donare alla generalità dei suoi abitanti un buon livello di benessere e di consumi, ma al prezzo di un eventuale sviluppo industriale universalizzato che avrebbe distrutto l 'atmosfera e ucciso tutti quanti per inquinamento in pochissimi decenni, e -come alternativa- il mantenere nove decimi del pianeta ai limiti della sopravvivenza, col risultato di rinviare per un po' di anni il giorno dell'inquinamento globale ma di produrre u·na massa di poveri che cresce - per la diminuzione della mortalità infantile- con un incremento geometrico. Oggi sta succedendo ~oprattutto quest'ultimo fenomeno. Più precisamente sono successe due cose. In primo luogo, buona parte del mondo eufemisticamente designato come ~'in via di sviluppo". ha incontrato molte più difficoltà del previsto a decollare verso l'autonomia e un minimo di benessere, e in moltissimi casi non è decollato affatto, o addirittura si staCdisgregando. In secondo luogo è tramontata l'illusione che potessero nascere con relativa facilità modelli non capitalistici di sviluppo, per esempio di tipo socialista o secondo il "modo di produzione asiatico", oppure di tipo localistico e comunitario: .tu\to porta invece a sospettare- ed è un' ammissione ben triste - che l'organizzazione sociale umana tolleri, dalla rivoluzione industriale in poi, un solo sistema sociale · che funzioni e dia da mangiare alla gente, cioé quello industriale, liberale e capitalista, con tutti i suoi inconvenienti. (Beninteso, può darsi, ed è anzi sperabile, che emergano nei prossimi anni nuovi modi di sviluppo e di vita, non industriali e non capitalistici, che in qualche modo funzionino, sfamino tutti senza debiti, e magari non inquinino: ma per ora non ci sono, e neppure si vedono comparire ali' orizzonte.) L' industrializzazione universale non procede ovunque così veloce come qualdie anno or sono si poteva temere. Ma a quale prezzo ! Il globo si sta spaccando in due. Da un lato vi sono i paesi dell'Europa, gli Stati Uniti e il Canada, il Giappone e il Sud Est asiatico, e forse perfino l'India - se ce la farà, cosa ormai possibile - e con esse forse pochissime altre nazioni, tutte caratterizzate da bilanci in attivo, dà una solida autonomia produttiva e tecnologica, da un buon tasso di sviluppo, da università adeguate e moderne. (Non si tratta soltanto, si badi, delle nazioni di tradizione europea: il successo di taluni paesi emergenti è /

sensazionale, per cui per esempio chi oggi va a spasso per i quartieri di Singapore scopre di trovarsi in una grande metropoli piena di verde, ricca, moderna, pulitissima ed efficiente, che somiglia assai più a Stoccolma o a Francoforte che a Roma o a Napoli.) Da un altro lato vi sono invece una serie di paesi che onnai vivono di aiuti umanitari e di debiti che non possono restituire, e la cui economia e il cui sviluppo educativo ristagnano a livelli molto bassi o - più spesso - franano in una sorta di · regressione globale : vi è in primo luogo la tragedia immane - che è culturale non meno che economica, dell'Africa, e in particolare vi è lo sfacelo dell'Africa Nera; vi è il problema dei paesi musulmani e della loro incontrollata sovrappopolazione (ma con l'eccezione dell'Indonesia), e il degrado dei paesi latinoamericani, alcuni dei quali - i maggiori - hanno già un piede oltre l'orlo della bancarotta; e in più è ben possibile che vedremo a breve termine il collasso dei più grandi Paesi del socialismo reale, URSS e Cina . In questo scenario il problema della convivenza interetnica coincide con una nuova fase della competizione per l'accesso alle risorse: le comunità del vecchio mondo, da sempre maggioritarie e in possesso del potere amministrativo e politico nella loro area geografica, devono fare i conti con la presenza, in casa propria, di nuove popolazioni decise ad avere a tutti i costi la loro fetta di benessere. La conflittualità che ne deriverà acquisterà facilmente caratteri di violenza, sia spicciola che organizzata: si faranno ,strada risentimenti, invidie, odii è pregiudizi, e fra questi ultimi emergeranno certamente molte tematiche razziste. Il razzismo, in questa prospettiva, non è tanto una causa, come spesso viene impropriamente presentato, quanto piuttosto una conseguenza. È vero che questa può non essere l' unica dinamica in gioco: m~ probabilmente è già oggi quella prevalente. In misura meno importante, è peraltro possibile che il razzismo possa essere in talune zone anche lo sbocco di altri specifici problemi storici: per esempio d\ nuovi localismi e nazionalismi in situazioni globali di ·Disegno di Fobi6n Gonzoles Negrin. · I' }' IL CONTESTO crisi politica ed economica, come tende ad avvenire oggi all 'iniemo dell'impero sovietico in disgregazione; oppure che esso esprima ancor oggi, in taluni altri casi, una dinamica di "capro espiatorio", nei confronti di taluni gruppi minoritari caricati da secoli di colpe pretestuose o simboliche, come tante volte capita agli ebrei. Ma anche in questi ultimi casi esso emerge pur sempre da uno sfondo di pregiudizi che è più vasto, e anche da uno sfondo di disagi che hanno cause culturali ed economiche generali non sempre difficili da identificare. Si può aggiungere che altre volte ancora emergono manifestazioni di razzismo a carattere fortemente strumentale, come quando piccoli gruppi di giovani su posizioni di ribellione sociale scelgono del tutto provocatoriamente di dirsi antisemiti, magari senza sapere assol_utamentenulla degli ebrei e della loro cultura. Essi hanno infatti capito che oggi essere razzisti e antisemit' ' il modo ideale per darsi un'identità massimamente stigmatizzata. La frase, detta da un giovanissimo "punk": "Tu mi. consideri orrendo perché odio gli ebrei" andrebbe letta "voglio che tu mi consideri orrendo e perciò ho scelto di odiare gli ebrei". Un atteggiamento del genere è il calco in negativo della condanna · generica e moralistica del razzismo: infatti ne assume lo stereotipo, rovesciandolo. Si può anche sostenere che ne.è il prodotto: più il razzismo è visto dall'opinione publ;llicaprevalente come un oscuro mostro psicologico e comportamentale da esorcizzare, più questo feticcio verrà preso, in positivo, a bandiera da chi cerca di darsi un atteggiamento elitistico aggressivamente anti-borghese e "anti-sistema". Ma anche qui, e ancora una volta, occorre ricordare che la presenza di gruppi giovanili opposizionali con ideol.ogie autoritarie è parte integrante di un quadro sociale fortemente competitivo (anche nel senso della competizione fra gruppi per l'accesso alle risorse economiche), e che ha visto il rapidissimo tramonto degli ideali politici tradizionali.· La crisi del modello esplicativo tradizionale della convivenza intercultùrale e dello scontro etnico; il caso degli Stati Uniti . Andiamo dunque verso problemi crescenti di convivenze di culture. Ma cosa significa convivenza di culture, e quali sono i problemi specifici che ne nascono? Ancora pochi anni. fa ·si credeva che la questione fosse relativamente semplice. Secondo il modello più convenzionale si pensava fosse una questione di assimilazione, e si riteneva che questa assimilazione fosse lineare e inevitabile: gli immigrati, si diceva, si integrano pian piano nella cultura ospitante, e se da un lato gli autoctoni sono chiamati a una politica di protezione della minoranza immigrata, da un altro lato quest' ultima tende ad acculturarsi e quindfacquista man mano senza scosse i valori della civiltà in cui ora risiede, peraltro vivificandola con il contributo di energie e intelligenze nuove, e magari anche arricchendola di valori umani un po., dimenticati come quelli di fratellanza e di semplicità nei riguardi della natura. Questa visione, sostanzialmente ottimistica, si è man mano evoluta senza mutare sostanzialmente, ma correggendo taluni suoi aspetti più paternalistici ed etnocentrici, e introducendo, soprattutto negli Stati Uni ti e à partire dagli anni Quaranta e Cinquanta, · i principi - più democratici - del relativismo culturale. Secondo questi principi ugualitaristici non esistono culture avvantaggiate (per esempio perché "più civili") e culture svantaggiate o inferiori, dato che:ogni assetto sociale ha un proprio equilibrio e, ovviamente, uguale dignità; esiste però la possibilità di un incontro fra culture, non più concepibile quindi come assimilazione unidirezionale, ma come tolleranza, scambio reciproco e interassimilazione. Di qui la proposta, negli anni Sessanta, della società su base multietnica, vista però non più secondo la vecchia idea dell.'egemonia della ma1rice culturale anglosassone e puritana, 7

IL CONTESTO bensì secondo -il modello, più egualitario, di un universo di cittadini che si confrontano e maturano a partire da matrici diverse, in un clima di progressocivile in cui tutti accedono con pari diritti alla scolarizzazionee al benessere. Una ideologia di questogenereè nata inAmericaed è ora moltodiffusa inEuropa. Ma questo modello è drammaticamente fallito negli Stati Uniti nel corso degli anni Settanta e poi (più chiaramente)degli anni Ottanta, e niente fa pensare che debba aver successo in Europa. L'ipotesi che tutte le varie culture, industriali o meno, sianoportatrici di uguale dignità e di pari valori, si è rivelata un' ipocrisia : ciò che è vero, e che ciascuno in cuor suo ha sempre saputo,è che la piena integrazionedi una minoranzaetnica in un paese occidentale varia di fatto da minoranza a minoranza e in ogni caso è possibile - quando è possibile - solo sulla base di unt5ua assimilazione di taluni aspetti fondamentali.dellacultura tipicadellasocietàcapitalistaavanzata.Ci si è dunqueaccorti che questaintegrazioneèmenofaciledelprevisto,menolineare,e che a volte non avviene affatto nel modo sperato, per esempio in quantopossononascere nuovevaste aree geografichemetropolitane egemonizzate da una data cultura immigrata, come capita conquellalatino-americananel Sude nell'Ovest degliStatiUniti. Ma si è anche constatato che un buon inserimentodi una cultura precapitalistain unmondocapitalista può avveniresoltantosulla base della sua capacità di risponderea requisiti ben specifici, che sono soprattuttodi due ordini. In primo luogo, è richiesto alla cultura immigrata'di dimostrarsi capacedi abbandonare la suapiù tradizionaleetica solidaristica su base familiare e "dj clan", per subordinare la condotta individualedei suoi membri a una serie di principi "pubblici" e universali (cioé non familisticiné feudali, e non basati sull'idea di privilegio),secondoquell'idea del diritto che è modernamente codificatadalle leggi scrittedello stato democraticoborghese. In secondo luogo, è necessario che la cultura immigrata possa utilizzaretutti i vantaggi del sistemascolasticodel paeseospitante, in modo oa avere - fra l'altro - pieno accesso alle forme dell'istruzione superiore. Il successo ormai pienq della integrazione della minoranza etnica italiana (e in particolaremeridionale)negli StatiUniti è la prova del fatto che questa operazione di assimilazioneculturale è talorapossibileanche quando le condizioniculturalidi partenza non sianoaffatto favorevoli.Nello spazio.didue o tregenerazioni una culturapiuttosto compatta e fondamentalmenteprecapitalistica (quellatradizionale del nostromeridione), e inizialmentein forte difficoltà di fronte al compito di doversi assimilare nel vivere sociale e nelle regole della moderna società industriale, è riuscita a integrarsi al punto tale da vedere ormai probabile, e forseprossima, la sconfitta- semprenegli StatiUniti, beninteso - delle residue forme di etica familistica e tribale (e in pratica mafiose)con cui larghissimistratidi essa per'qualchedecenniosi erano fortemente identificati. Ma le cose non stanno affatto andando altrettanto bene con l'immigrazione latino-amerfcana,e soprattutto stanno andando malissimo,e anzi sempre peggio,con la popolazionenera americana di lontana origine africana. Per contro, in anni recenti si è verificatonegli StatiUniti un fenomenoinattesoe nettissimo,che hacontribuitoinmododeterminantea riproporre in termininuovi il problema dei conflitti culturali e dell'integrazione delle minoranze..Si è verificato, cioè, lo straordinario, travolgente successo di ascesasociale, e soprattuttortsuccesso schiacciantenel campo del rendimentoscolasticofino ai più alti livelli accademicie della ricercapura, dei recenti giovani immigratidal!' EstremoOriente, in particolarevietnamiti e cinesi. Ora, bisogna considerare che l'indicatore più preciso del successogenerale e della capacità di integrazione di una cultura a è consideratoproprio il successodei suoi membripiù giovani ali' internodel sistemascolastico,a partire dalla scuolaprimaria fino all'istruzione post-universitaria. In questa ottica, il successo scolasticodei giovani nuovi immigrati dall'estremo Oriente (che per lo più all'inizio non conoscono neppure bene la lingua inglese)è nettamente superiorea quello dellapopolazione statupitense autoctona di origine europea; bisogna aggiungere che il profitto scolastico di quest'ultima è poi nettamente superiore a quellodellapopolazionedi originelatino-americana,e che ali' ultimo posto sta la popolazionenera di lontanaorigine africana, la quale seguita ad avere un livello medio di scolarizzazione e di successocurricolare straordinariamentebasso.· Ilpiù importantefattoredi errorenella comprensionedi questi datiè datodalla sottovalutazionedell'influenza di unosvantaggio economicoed educativo (in pratica, di uno svantaggiodi classe) nella famigliadei giovani il cui risultato scolare non è soddisfacente: si può cioè sostenere che l'insuccesso scolasticodipenda da fattori sociali aspecifici, legati al censo, o addirittura da situazioni di povertà e di grave emarginazione sociale, e da peggioriopportunitàscolastiche,piuttosto che da fattoriculturali o psicologici specifici, cioè legati alle forme della cultura di origine. Tuttavia questo fattore di errore può essere corretto nei calcoli statistici: per esempio si possono paragonare i curricoli scolasticidi giovani di diversi gruppi etnici appartenentia famiglie che siano tutte della stessa fascia di redditi: molto povere, medie,e così via; oppure si possono usare criteri di uniformitàdi quartieree di zona. Anchecosì però, cioé una volta corretti i dati eliminandoo minimizzando l'influenza del censo e della situazione sociale, i quattro gruppi etnici considerati si dispongono nello stesso ordine, con gli orientali al primo posto , i bianchi di origineeuropea al secondo, i latino-americanial terzoe i neri all' ultimo. (Per questi e altri dati, e per una bibliografia, si veda ad es. AndrewHacker in "NewYorkReview ofBooks", 12Ottobre. 1989). È opportuno però precisare che sui dettagli di questa situazione e sulla sua valutazione vi sono al momento forti polemiche,. Un secondo fattore di errore può dipendere qui da una delle più tipichedinamiche del pregiudizio, cioè dal processodi stigmatizzazione.È questo un fenomeno che è stato studiato ormai moltoa fondo,prima dai sociologi "radicali" inglesi e americani ali' inizio degli anni Sessanta, e -poi in anni più recenti dagli psicologi interazionisti e sistemici. Si può cioè supporre, in quest'ottica, che la discriminazionea caricodi unaminoranzasia la causa del comportamento poi denunciato come "inferiore" o "cattivo", e non viceversa. Il fenomeno può anche avere aspetti sottili ma non per questo meno potenti. Esso fa sì, per esempio, che se il singolo membro di un gruppo etnico (per esempio un bambino africano di pelle nera) viene etichettato, pregiudizialmente, come potenzialmentemeno brillante o più indisciplinato da parte degli insegnanti e dei compagni fin dal suo ingressonel sistema scolasticò, allora nasceranno fatalmente impercettibili meccanismidiscriminatorie di prescrizione di ruolo, per cui egli finirà comunque per confermare, col suo comportamento nella scuola, le previsioni a lui sfavorevoli. Il problema, peraltro è di sapere quanto incidano fattori di questo tipo, e se essi siano sufficienti a spiegare i fenomeni osservati,per ciò che attiene, per esempio,alle forti differenzédi successoscolastico fra i diversi gruppi etnici. Le polemiche non mancano, ma cresce nell' insieme il numero delle persone che comincianoa chiedersi se meccanismidel genere non siano stati sopravvalutati. È stato, peraltro, proprio tenendo conto del peso di fattori discrimioativi sociali e psicologici come quelli accennati, che

nelle scuole americane medie e superiori sono stati introdotti già molti anniorsonometodicorrettivi,dicui il più importante è stato il sistema delle "quote": questo sistema permetteva ai giovani di · minoranze socialmente svantaggiate (in sostanza a quelli di lontana origine africana) di far parte di una "quota" che dava loro il diritto di accesso a livelli superiori dell'istruzione, anche quando i loro risultati scolastici, eventualmente insufficienti, ve li avrebbero esclusi. I risultati di questi e di altri sforzi compensativi non sono generalmente considerati come buoni, e hanno suscitato con l'andare del tempo malumori e dubbi svariati, a volte equanimi, altre volte più settari o interessati. In generale, e qualunque ne sia la causa, la situazione sociale media della più gran parte della popolazione nera americana (in particolare per quanto riguarda indicatori quali la scolarità, la criminalità, le percentuali di gravidanze fra le minorenni, il livello di sai ute, la diffusione della droga e dcli' AIDS) è andata peggiorando drammaticamente negli ' ultimi anni fino a divenire una vera tragedia. Le v·alutazioni degli esperti ovviamente divergono fortemente nel tentativo di spiegare il fenomeno, soprattutto per quanto concerne la stima degli effetti degli 9rientamenti reazionari · dell'amministrazione Reagan in materia di assistenza sanitaria e sociale. Peraltro, vi è una certa ragionevole tendenza, anche negli ambienti progressisti americani, a ritenere che l'analisi tradizionale dei problemi di integrazione abbia peccato finora sia cli gei:ieralizzazione sia di ottimismo. Così come l'insuccesso scolastico medio di. massa di taluni gruppi etnici è sì condizionato anche da fattori sociali aspecifici e di censo, ma non esclusivalmente, così anche, in modo analogo, i comportamenti meno adeguati o comunque svantaggiosi dei singoli appartenenti a taluni gruppi minoritari sono sì condizionati, e magari anche in ILCONTESTO notevole misura, da discriminazioni più o meno sottili o pesanti: ma, anche qui, non esclusivamente; e forse addirittura, in molti casi, in modo onnai non dominante . Il successo o l'insuccessopotrebberoesserecioèdovuti anche a fattori culturali .epsicologici, e di "personalità di base", del tutto specifici, e interni a quella cultura minoritaria: e quindi non soltanto agli svantaggi sociali e psicosociali derivanti dalla interazione fra la cultura· minoritaria e quella egemone. Si dà quindi oggi molta importanza al tipo di struttura famigliare e di etiéa educativa. Da questo punto di vista, si pone una speciale attenzione al fatto che i bambini di famigliè orientali immigrate negli Stati Uniti, anche se di bassa condizione economica e non sempre bene accetti nel loro nuovo ambiente sociale e scolastico, vengono comunque educati in un cli~a psicologico domestico caratterizzato da un grande ma non coercitivo rispetto verso i valori familiari e gerarchici formali, da una attenzione affettuosa e continuata da parte degli adulti della famiglia (in pratica spesso degli anziani, dato che i genitori lavorano), e da una fortissima accentuazione dei valori e degli obbiettivi di autodisciplina, di affidabilità, di cooperazione, di ascesa sociale e di affermazione intellettuale. Parallelamente, vi sono studi sui valori cultprali e sulla psicologia sociale di altri gruppi etnici. Molte indagini nuove sarebbero comunque necessarie. Fattori ideologici e politici, e anche - ma in misura minore - difficoltà tecniche di rilevamento, si oppongono oggi, in Europa come negli S~ti Uniti, allo studio delle differenti culture e dei loro valori, e all'analisi delle specifiche difficoltà di interazione fra soggetti appartenenti a tradizioni differenti. Viene però fatto di osservare che, in particolare in Italia, esiste una diffusa sottovalutazione della complessità del problema. · Speriamo nell'aldilà Una generazione di ·opportunisti Vittorio Dini È giunto finalmente il momento di aprire una discussione, l'elaborazione critica sull'ultimo decennio: non un bilancio né tantomeno la descrizione, la rievocazione o l'anatema moralistico, ma un dibattito teorico sulle categorie adeguate ai bisogni dell'analisi e del giudizio. E non si tratta soltanto di un giudizio politico, ma dell'analisi dei 'sentimenti', dei comportamenti, delle connotazioni individuali dell'agire collettivo. · Né abbiamo bisogno di un giudizio in termini di sconfitta - e sue ragioni-, come vorrebbe laRossanda. Giudizio fuorviante, in questi termini, perché presuppone che l'obiettivo era giusto, magli strumenti sbagliati -ciò che invece è appunto in questione - o l'avversario più forte e crudele - il che è scontato, e forse lo era già in partenza. E poi, francamente, troppe volte, di fronte a eventi, immagini dolenti, tragiche, di fronte a volti e persone del 'nostro campo' cinici e arroganti, protervi talora più di quelli del potere che contrastavamo, troppe volte- e avverto di non essere il solo a provarlo - mi sono detto: "Fortuna che non abbiamo vinto!" E allora traiamone tutte le conseguenze, affondando il bisturi nelle piaghe di una mentalità, di un'ideologia che si è alimentata, aldilà della consapevolezza, nell'eredità gravosa del terzinternazionalismo con il suo pesante fardello di ingombranti maiuscole - il Partito, lo Stato, il Comunismo, la Classe Operaia ecc .. Ciò di cui abbiamo bisogno è dunque la corretta individuazione dei principali di questi sentimenti per gli anni Ottanta, quelli che li hanno caratterizzati; in primo luogo, i sentimenti del disincanto: I'.opportunismo, il cinismo, la paura. Proprio questa è la direzione del volume collettivo Sentimenti dell' aldiqua. Opportunismo paura cinismo nell'età del disincanto. (Theoria, Roma-Napoli 1990,pp. 221,L. 24.000 ,concluso da un intervento critico di Rossana Rossahda, cui sopra facevo riferimento; il volume è il frutto di una ricerca avviata da tempo, di cui i lettori de "il manifesto" avevano già avuto qualche sostanziosa anticipazione ("la talpa", giovedì 3 marzo 1988). Prendiamo le mosse dall'opportunismo, il protagonista quasi assoluto dei comportamenti, individuali ma anche. c?l)etti~i, dell'ultimo decennio. Di esso troviamo la seguente defmlZlonem Battaglia (a cura di), Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino, voi. IX: "Comportamento politico o s~ciale che ricerca il tornaconto immediato e la convenienza del momento senza implicare la fedeltà a un ideale o a una linea precisa di o

IL CONTESTO Pomeriggio al Burghy (fo_lodi Edoordo Fornaciori). condotta".E molti segnalarocomeprimo autore a usare il termine Giuseppe Mazzini (1872), di cui lo stesso Battaglia riporta il brano seguente: "L'opportunismo accenna inevitabilmente a limiti di tempo e di condizioni che un principio non cura". Dunque, un significato non limitato esclusivamente all'uso politico, certamente prevalente, al punto che a esso è dedicata una voce di Gianfranco Pasquino, nel Dizionario di politica, a cura di Bobbio-Matteucci-Pasquino, UTET, Torino, 1983. Basta pensare al significato 'dogmatico' adoperato esclusivamente nel marxismo, e segnatamente nell'opera di Leni,(l, dove sta.a indicare l'abbandono, il tradimento della corretta linea di interpretazione dei principi teorici del marxismo. , L'estensione del concetto comprende invece; in generale, l'ambito individuale e sociale, con una forte, decisiva, connotazione morale. Negli autori del libro in questioné tale connotazione è pressoché completamente taciuta, o meglio sapientemente neutralizzata. Vediamo le definizioni che Virno e De Carolis, nei saggi che aprono il volume e ne offrono la griglia generale, forniscono dell'oppor!Unismo. De Carolis parla del "flessibile adattamento della propria identità al continuo mutare delle circo- . stanze", rilevando, insieme alla sua diffusior:ie, il dato sorprendente della sua diffusione proprio "in quegli strati e in quei gruppi sociali che nei decenni scorsi erano stati i portavoce di istanze radicali di trasformazione etica e politica". Si tratta di una 'tonalità.emotiva', di una 'modalità di esperienza nuova e importante', di una nuova e necessaria 'arte ·del vivere' nella nostra epoca del disincanto, allorché il mondo diventa ambiente e si realizza una "tendenziale dissoluzione dell'eticità tradizionale". Ma per la verità non tutto è 'nuovo': a questo tipo di 'arte del vivere', di cui l".p-te di arrangiarsi' è una variabile soltanto più meschina, nella prima età moderna sono state dedicate analisi e veri e propri manuali. Alla simulazione e dissimulazione veniva addestrato ed educato ogni soggetto; certo, quei soggetti allora èonsiderati tali, dal principe al politico, dall' 'uomo di corte: all' 'uomo di mondo', al saggio. Alla capacità di cogliere I' occasione, proprio nel nome di un mondo moderno che ne offre tante ma a chi le sa scegliere tempestivamente, alla necessità di essere opportunisti, è esplicitamente rivolto più di una aforisma del gesuita spagnolo Baltasar Graciàn, nell''Oracolo manuale. Nel§ 77 Sapersi adattare a tutti, addirittura si invita il saggio a comportarsi come Proteo: "essere dotto con il dotto e santo con il santo". Ma è nel § 288 Saper cogliere l'occasione che troviamo la più estesa illustrazione: "Ragionare e governare dipendono sempre dal caso, ed è giùsto che sia così; bisogna volere quando si può, perché il momento e l'occasione non aspettano nessuno. Non bisogna procedere nella vita secondo regole generali, tranne 10 nel caso in cui si debba seguire la virtù; né si possono imporre leggi assolute alla volontà, perché può accadere di dover bere domani l'acqua che oggi si disprezza. Ci sono alcuni così para- .dossalmente inopportuni che pretenderebbero di vedere le circostanze adattarsi alle loro manie per condurli al sucèesso, e non capiscono che la realtà è proprio l'opposto. Ma il saggio sa bene che il nord della bussola della prudenza consiste nello scioglier le vele al vento dell'occasione." Il punto di vista teorico, la collocazibne di Vimo e compagni, trova in alcune posizioni 'di successo' il suo bersaglio polemico. Innanzi tutto, contro il pensiero debole e il suo fragile ottimismo, che converte immediatamente la lettura dei fenomeni in giudizio storico e teorico. In relazione a Vattimo, lo stesso Vimo, in "il manifesto", 11 maggio 1989, chiarisce consonanze e dissonanze. Yimo concorda con l'analisi del postmoderno come perdita di direzione univoca del la storia, indirizzatasi in una comunicazione generalizzata, nella proliferazione e disseminazione delle 'visioni del mondo'; l'effetto è stato una perdita di centro e di fondamento.Io 'spaesamento'. Ma Vattimo-equi inizia il disaccordo - legge proprio in esso la possibilità di emancipazione: il vero conterrebbe in sé anche il principio del giusto. Virno si chiede se · davvero lamolteplicità, in quanto tale, allenta il dominio; o se non è invece vero proprio l'opposto, che cioè il dominio si articola nelle labili e mobili identità. Il postmoderno, sviluppo specifico del modo di produzione dominante, stadio in cui'l"'agire comunicativo" è divenuto il tratto saliente del processo lavorativo materiale, non-è per Vimo riducibile alla coppia uno/molti. Un altro bersaglio polemico è l'illusorio, semplicistico, miraggio di un'etica comunicativa che consentirebbe una 'trasparente' e 'positiva' comunicazione tra soggetti (ma quali? se è proprio questo il punto critico in discussione: la crisi di ogni soggettività 'forte'). Infine, c'è un atteggiamento comune contro ogni teoria critica, fondata inevitabilmen,te - sembra di capire- su.un'etica fondativa di tipo tradizionale, cioè su parametri che non corrispondono più in alcun modo alla realtà; contro ogni utopia, che fondi su un 'altrove' la propria prospettiva, relegandosi ali' impotenza interpretativa rispetto al presente. . · Oltre la descrizione e'la diagnosi, c'è invece il tentativo di scoprire un 'nocciolo neutro', la condizione della nuova realtà, ma assunta come principio inèvitabile di ogni possibile trasformazione del presente. Gli autori infatti mettono le mani avanti: il presente non gli sta bene, auspicano profonde, rivoluzionarie trasformazioni. Il loro obiettivo è piuttosto cercare - o anche soltanto intravvedere- se esiste una qualche possibilità di trasformazione tenendosi sempre e solo aldiqua, senza nemmeno prospettarsi qualche condizione di giudizio e di prospettiva che vada aldilà delle condizioni date. Ma torniamo indietro, all'analisi del presente·, alla caratterizzazione della situazione attuale.L'elemento essenziale appare la fuoriuscita dalla società del lavoro, che caratterizza l'attuale tendenza oggettiva di sviluppo della società, con la centralità del 'generai intellect' sul lavoro produttivo.L'analisi di Marx, Fr(lmmento sulle macchine, nei Grundrisse, sarebbe in gran parte confermata e. verificata. Ne risulta una realtà in cui il tempo di · lavoro essenziale è quello della macchina informatica; il terziario è il luogo della produzione dell'informazione e insieme spazio di estrinsecazione dell'opportunismo. L'ordine di_grandezza della trasformazione, più che epocale, è paragonabile a quellàavvenuta con il passaggio dall'oralità alla scrittura (Piperno, p. 116).

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