Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

STORIE/BAGATTI Entrai nel centralino. Flavio era sdraiato sulla brandina ac<.:antoalla stufetta elettrica. Stava sfogliando l'ultimo numero di "Penthouse". -Da cani? - Da cani, l'hai detto. - La coperta è lì dietro. Prenditi una tazza di caffè. È ancora caldo: l'ho fatto dieci minuti fa. - Ci voleva proprio Pio cane. - Ha telefonato il capitano: voleva sapere come andavano le cose. Gli ho detto che il Mezzo se n'era andato e mi è sembrato più calmo. - In fondo è un buon diavolo. - Sì ma è anche un fesso. Questa grana se l'è cercata da solo. Poteva farne a meno. - Miserie e grandezze dei complessi d'inferiorità. Flavio rise. Accesi una sigaretta e tirai giù una bella sorsata di caffè. L'aroma aspro della grappa mi bruciò la gola. Mi sentivo stanco, molto stanco. E vuoto. - C'è qualcosa di buono su Penthouse? -Era meglio quello del mese scorso, ma c'è una biondona che mi piacerebbe avere qui ora. Guarda. - Beato te: ora come ora io non saprei che farmene. Ho le gambe di piombo. - È l'umidità Prof, non farci caso. Ti ci vuole un po' di sonno. - Hai sentito Max? - No, credo che sia uscito ma non ne sono sicuro. - Fammi un favore: domattina chiamalo prima che arrivi il capitano e digli di mettersi in moto. Dobbiamo tirare fuori Mirko dallo spaccio per domani sera. - Sempre quella storia? - Sempre quella. Stasera mi ha raccontato tutto di nuovo come se non sapessi nulla. Mi sa che se continua così va fuori di testa. - È già scoppiato, Prof. Deve solo accorgersene. -Non ci tengo che se ne accorga. Meglio di no. Devi dire a Max di inventare una buona idea. - Max è un genio per queste cose. Glielo dirò. Stai tranquillo. - Mica facile: anche Pino non mi convince. - Perché? Che ha fatto? - Non lo so, in pratica nulla, ma non mi persuade. Ha telefonato a casa e poi l'ho visto depresso per tutto il turno. Credo che piangesse. - Questa storia puzza, hai ragione. Ma non ti ha detto nulla? - Pino non parla molto, lo sai. Ma ha una faccia che non mi piace per niente. - Cristo, a cinquantasette all'alba sarebbe il colmo. - Dammi retta, meno giorni mancano e più forte puoi scoppiare. Cinquantasette è ancora una vita. - Stagli vicino. Non lo far scazzare. Non stasera. - Ci proverò Flavio. Vorrei essere già a domani: ne ho pieni i coglioni di questa nottata. - Dai Prof, non te la prendere. Ormai il peggio è passato. Vai a dormire un po' e se ci sono novità ti avverto. - 'Notte Flavio e grazie per il caffè._ - Figurati, è stata una fesseria. 'Notte Prof. Uscii dal centralino e andai nella camerata. La luce era spenta ma dalla finestrella arrivava la luce del lampione sulla porta centrale e potevo vedere le ombre delle sbarre che si confondevano con le sagome scure dei letti a castello. Pino era già in branda e sembrava addormentato. .Stesi la coperta sul materasso, mi tolsi il cinturone e lo misi insieme al basco su una sedia. Mi sdraiai sulla branda sotto quella di Pino: faceva un gran caldo e la mimetica bagnata mi facev.a sentire sporco e appiccicoso. La grappa mi aveva scaldato lo stomaco e il sonno stava arrivando piano piano. · Una mano mi scuoteva la spalla. Cercai di aprire gli occhi. Avevo la bocca arida e un sapore amaro in gola. Poi la voce di Valentini, appena un sussurro. 96 - Svegliati Prof, è l'una e venti. Dieci minuti. Dai. - Sì. Arrivo. Mi misi seduto sulla branda cercando di svegliarmi. L'aria della camerata era piena dell'odore marcio dei materassi umidi. Pino era in piedi vicino alla finestra e si sistemava la mimetica sotto al cinturone. Presi la coperta e la stesi su uno dei termosifoni. "Purché non venga in mente a nessuno di fregarmela". Valentini ci aspettava davanti all'armeria. Prendemmo di nuovo i fucili e i caricatori. Prima di uscire mi fermai alla latrina per pisciare e bere un sorso d'acqua dal rubinetto. Uno dei due cessi era intasato e mandava un odore rivoltante. Fuori Pino aveva già caricato il fucile e mi stava aspettando sotto la tettoia del cavalletto con il fucile in spalla. Continuava a piovere a dirotto e anche i sacchi di sabbia tutto intorno al cavalletto erano bagnati. Caricai il fucile, misi il colpo di sicurezza in tasca e mi avvicinai a Pino: -Andiamo? Fece segno di sì con la testa e ci avviammo di nuovo nel buio del piazzale. Attraversammo a passo veloce: non c'era da preoccuparsi di nulla adesso. Bastava arrivare alla tettoia del magazzino e poi tagliare per il viale della porta carraia fino all'officinafalegnami. Pino aveva rialzato il colletto e camminava con la testa incassata nelle spalle, cercando di riparare la faccia dalla pioggia. Era aumentato il vento e le fronde degli alberi, nel piazzale, erano scosse COJl violenza. Sotto la tettoia ci fermammo a fumare una sigaretta. Non si sentiva neanche un rumore: solo la pioggia che continuava a battere sulla lamiera ondulata. Pino aveva la faccia pallida e gli occhi gonfi. Forse dovevo dirgli qualcosa. Magari era solo assonnato e anch'io non dovevo avere un bell' aspetto. Non riuscivo a pensare che alla chiave dell'officina falegnami. Non mi sentivo tranquillo. Ormai non poteva succedere più nulla: il Mezzo se n'era andato ma continuavo ad avere la gola stretta. Pino mi guardò senza dire una parola, buttò via il mozzicone della sigaretta emi fece cenno di sì con la testa. "Questo silenzio -pensai-questo silenzio così forte e noi non lo rompiamo che con cura e con un breve cenno del capo". Feci di sì anch'io e sgattaiolammo verso l'officina. Le quattro ore di sonno nel caldo opprimente della camerata avevano fatto asciugare un· po' la mimetica ma ora, anche solo dopo aver attraversato il piazzale e mentre andavamo verso l'officina, sentivo di nuovo la tela bagnata sulle cosce e le gocce che scivolavano giù per il collo sotto il maglione. I vialetti erano pieni di pozzanghere e al buio non era possibile scansarle. Però avevo ancora i piedi asciutti: il grasso sugli anfibi reggeva ancora. Avevo fatto davvero un lavoretto preciso. Per quanto era possibile. "Che schifo - pensavo camminando a fianco di Pino - che schifo. Tutto fa schifo qui dentro e anche i nostri sforzi migliori dopo un po' sembrano solo porcherie. È così e non ci puoi fare nulla. Com'era? Forse 'qui nulla a nessuno è necessario' ... non mi ricordo bene. Ho ancora troppo sonno in testa". Davanti ali' officina ci fermammo un attimo per guardarci intorno. Poi Pino tirò fuori di tasca la catenella con le chiavi e aprì la porta. Dentro c'era un buon odore di legno stagionato, trementina e segatura. Nel mezzo della stanza stava il bancone da lavoro con due morse alle estremità e una cassetta per i chiodi e le viti. Intorno alle pareti avevano montato altri scaffali con le tavole da rifinire, le cantinelle verniciate e una piccola catasta di travicelli appena sgrossati. Sembrava legno buono: sentivo l'odore penetrante della resina del cipresso. Davanti al bancone avevano sistemato due.poltroncine di similpelle tutte sgangherate. Forse erano scarti di un vecchio ufficio o della Mensa Ufficiali. Pino aveva richiuso la porta a chiave e il rumore della pioggia si era affievolito. Da una finestrella fra gli scaffali entrava un po' di luce ma non c'erano rischi perché il vetro era smerigliato e nessuno avrebbe potuto guardare dentro. Mi misi a sedere e allungai le gambe sotto il bancone. Pino si era lasciato cadere sull'altra poltroncina, posò il fucile sul bancone e ci mise sopra il cappello. Non riuscivo a distinguere la

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