Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

LA GUARDIA Fabrizio Bagatti (La prima parte di questo racconto è stata pubblicata nello scorso numero di "Lineà d'ombra".) Due ore. Avevamo due ore davanti: pioggia, camminare, fucile, buio. Il piazzale era scomparso dietro i tre piani della Caserma Comando. Un lampione segnava la curva dell'Ufficio Leva e l'inizio del camminamento a fianco del muro di cinta. Pino andava davanti a me, spostato un po' a destra. La luce del lampione aveva illuminato la penna lucida del suo cappello e i due ganci del cinturone, sulla schiena, dove stavano appese le giberne. Guardai in a_lto,verso il filo spinato sul muro. Non vidi nulla. Solo il muro e il filo spinato. Perché non c'è altro da vedere. Siamo qui e vediamo solo il muro e filo spinato e camminamento e rottami di ferro. Il fango sotto le scarpe. Spero di non scivolare. Cristo che nottata! Tieni gli occhi aperti tieni duro che ore saranno? Non guardare l'orologio. Stai attento. Mezzo lago neon faccia di merda. Merda per tutti noi. Altri trecento metri e c'è la tettoia del magazzino mortai. Vorrei una sigaretta. Fa freddo. Posso sempre bere una bustina di grappa. Flavio. Piove, Flavio, piove. Pensa aqualco·s 'altro. Ricordati di avvertire Max per Mir_ko e per domani sera. Non servirà a nulla ma dobbiamo farlo. Mirko se ne sta andando. Ho le mani bagnate. Meglio non pensarci. Queste troiate. "Richiamo Ì'attenzione di lor signori sull'ordine di battaglione CS/1407 /P A che sottolinea l 'importanza di non indossare giacche a vento o impermeabili durante i servizi armati, in modo da non intralciare i movimenti in caso di tiro rapido". Tiro rapido del cazzo mio caro capitano. Non so neanche se il fucile riesce a sparare con tutta l'acqua che s'è beccato stasera. E poi non abbiamo neanche il colpo in canna. Il colpo in canna ce lo dobbiamo tenere in tasca per sicurezza. Altro ordine di battaglione. Non ricordo più il numero. CS PA sicuro. E poi? Dai Cristo sforzati. CS/812/P A o CS/ 218/PA? Forse meglio ottocentododici. È un buon ritmo: ottocento dodici, ottocento dodici. Pino si fermerà sotto la tettoia. Ci sa fare. Non sono tranquillo. Ti rendi conto che non sei tranquillo? Bisogna essere dei fessi per cercare di scavalcare questo muro. lo non lo farei mai. Il filo spinato sì che intralcia. Se fossi uno di questi stronzi che mettono bombe alle caserme e ai tralicci della luce non starei a giocherellare col filo spinato e il tiro rapido a due contro uno che te la becchi nel culo. Starei" ad aspettare la sera e salirei sulla montagna qui, a mezza costa saranno un trecento metri di quota. Quota trecento. Zaino e mortaio leggero dentro con cinque granate a contatto. Con la notte piazzerei il mortaio e con cinque belle granate belle a contatto roba sicura ripulirei tutta la caserma. Un paio sui magazzini munizioni e altre tre tanto per schiattare qualche camion o qualche pompa di benzina. E poi via nella notte con calma e sicum come l'olio. Neanche si capirebbe quello che è successo. Non ci vorrebbe nulla e nemmeno un informatore da dentro. Basta studiare la zona dall'alto e si capisce subito dove sono i magazzini giusti. Ecco. Ecco la tettoia. Non sono tranquillo. Il tiro rapido non esiste. Ci vuole un sacco prima di decidersi a sparare. Le mani pesano come piombo e tutto sembra girato alla moviola. Ma forse. La pioggia cambia tutto. Vorrei essere più tranquillo. Pino si sente male. C'è solo fango e pioggia e vediamo il muro e il filo spinato. Perché non c'è altro da vedere. Rottami. Ho i capelli bagnati. La tettoia. Pino si era fermato nella macchia d'ombra sotto la tettoia. Era un buon posto per aspettare. A poca distanza c'era un lampione che illuminava il muro di cinta e tutto il tratto del camminamento era brillante di luce nella pioggia. Ma da sotto la tettoia si poteva guardare abbastanza lontano per scoprire chi si avvicinava senza essere visti. E senza pioggia per un po'. Accesi due sigarette e ne passai una a Pino. Stava scuotendo via l'acqua dal cappello con gesti stanchi, meccanici. Fumare durante la guardia erarischiosomatenevamole sigarette fra l'indice e il pollice, la brace rivoltacontroilpalmodellamano. Da lontano non sì sarebbe visto nulla. GuardaiPinonegliocchi.Luccicavano nella penombra. Aveva la faccia pallidae scosselatestaa far segno di no. "Non va-pensai-lo so che non va. Ma perchéhai voluto telefonare proprio prima della guardia? Perché?". Non potevamoparlare.Esserebeccati a chiacchierare da Mezzo lago era peggio che farsi scoprirecon la sigaretta accesa. Era solo il primo turno per noi.Ancoratroppoprestoper sperare che quella carogna se ne fosse andato a casa.Troppoprestoper imboscarsi nel magazzino falegnami, Non c'era altroda fareche girare e bagnarsi il meno possibile. Senza scazzare.La sigarettaci voleva proprio. Cercai di non pensare all'orologio. Eravamoappenapartiti: non poteva essere passata più di mezz'ora e lo sapevobene. Pino guardava nel vuoto davanti a sé; teneva la sigaretta con delicatezza e, dopoogniboccata,soffiava via il fumo e si passava la lingua sulle labbra.Ognitanto,dalontano oltre il muro di cinta, arrivava il suono di un clacsondìqualchemacchinasulla provinciale. Erano suoni troppo lontani adesso:il rumoredella pioggia sulla tettoia sembrava quello di un torrentedimontagnaF. inimmo le sigarette; Pino si'passò le mani frai capelli,scosse il cappello,pettinò ancora una volta la penna con un gesto stancoe ci rimettemmoin marcia. Stavolta ero andatoavantiio e Pino mi stava dietro a una decina di metri di distanza.Dopoun tempo che mi se~brò inf~ito svoltammo dalla curva dell'OfficinaAutomezzie ritornammo nel piazzale. Era andata. Vidi dalontanolalucegiallastradella porta centrale e la sagoma di Valentini inpiedisottol'androneche ci aspettava. "Quello che ci vuole adesso - pensai- è un buoncaffèbollente, la coperta e dormire sodo fino all'una e mezzo.Nonsi samai". Aspettai Pino e gli battei la mano sulla spalla. - Dai, che è passata. - Per ora. - AndiamQ. - Sì. Aveva gli occhirossi e camminava in fretta ora, per arrivare al cambio e al coperto.Sentivol'acqua anche nel collo, lungo la schiena, e il senso di fastidiodel maglionedi lana bagnato sotto la mimetica. Valentini ci sorrise. - Be', nonfatepoipiù schifo degli altri. Siete in anticipo di cinque minuti. Com'è andata? - Come sempre.Nons'è vista neanche un'ombra. _ Lo dici come se tidispiacesse,Prof. - Non mi dispiacemacontuttala pioggia che ci siamo beccati era proprio la voltabuona per tirareuna fucilata a qualcuno. - So cosapensimaquestefortune non capitano mai. Il Mezzo è furbo: dopo mezz'orachesietepartiti è passato di qui e se n'è andato a casa. - Che ti ha detto? - Un cazzo. È uscitocon l'aria da stronzo, è salito sulla sua macchina da stronzoe sel'è filatadalla sua stronzissima moglie. - Almenotu un colpodi fortuna l'hai avuto. - Si direbbe.Dai,scaricate andate a dormire un po'. Il Rosso ti ha portato la coperta.L'halasciatada Flavio . .:.....P..erfetto. Valentini rinchiusenell'armeriai nostri fucili dopo che li avevamo scaricati. Il corpodìguardiafacevagiàschifo. Per terra c •erano segni del fango lasciati dagliscarpondi eglialtri e nelle due piccole camerate si sentiva il puzzodellalanabagnata,del sudore e dei materassi umidi. Il riscaldamento eraalmassimoe l'aria era soffocante. La latrina era buia, acre e sporca.Qualcunoavevausatopezzi di carta igienica per asciugare alla meglio gli anfibie avevasparsola mota dappertutto. 95

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