RACCONTI 11 PERDUTI'' Raymond Carver a cura di RiccardoDuranti Poseidon &Company eThe hairf uronopubblicati nel maggio 1963 su "Toyon", la rivista letteraria dello Humboldt State College di Arcata (California), lapiccola università dove Carver si stava laureando. Questi due racconti, scritti nel suo periodo di formazione, non sono mai stati inclusi nelle-raccolte successive, e l'autore stesso li èonsiderava "perduti". Ritrovati nel 1987 da William Stull, sono stati pubblicati nel numero 4 (autunno 1988) di "Studies in Short Fiction" (pp. 461-475). Ringraziamo Tessa Gallagher e William St-ull per averci permesso di tradurli e pubblicarli. POSEIDONE E AMICI Non vedeva niente ma d'improvviso una folata più forte gli spruzzò sul volto l'alito umido del mare, facendolo trasalire. Aveva sognato ancora. A forza di gomiti si trascinò sul bordo della roccia che sovrastava la spiaggia e alzò il viso verso il largo. Il vento lo investì in pieno, facendogli uscire lacrime dagli occhi. Laggiù gli altri ragazzi giocavano alla guerra ma le loro voci · giungevano remote e diluite e cercava di non prestarvi attenzione. Ben presto furono coperte dalle strida dei gabbiani che volavano dove il mare tempestava di frastuono gli scogli sotto il tempio. Il tempio di Poseidone. Si riadagiò ventre a terra e voltò appena il viso, in attesa. Il sole gli scivolò via dalla schiena e un brivido gli percorse le gam_bee le spalle. Stasera a letto, avvolto nelle coperte, avrebbe ricordato questi pochi minuti d'intensa sensazione del tempo che passava, del giorno che finiva. Era diverso dal trovarsi nella grotta della Naiade, su nei colli, mentre qualcuno gli reggeva la . mano sotto il flusso costante dell'acqua che scaturiva da una fenditura della roccia. Dicevano che quell'acqua scorresse in quel modo nessuno sa da quanto tempo. Era diverso anche dal camminare nella risacca con l'acqua fino alle ginocchia, che strano sentirsi trascinar via. Anche quella era una sensazione del tempo, ma non era come questa. Quella gliela avevano spiegata, gli avevano detto quando avventurarsi al guado e quando star lontano dalla spiaggia. Questa, invece, era una cosa tutta sua e ogni pomeriggio si sdraiava pancia sotto sulla roccia sopra il mare e aspettava quella transizione, il formicolante progresso del tempo sulla sua schiena. · Ad alta voce, assaporando la salsedine sulle labbra, recitò al vento alcune strofe, nuovi versi che aveva imparato la sera prima. Gli piacevano certe parole e le gustava arrotolandole continuamente sulla.lingua; Sotto sentì Aiace inveire contro un amico e invocare uno degli dèi. Era vero quello che gli uomini dicevano sugli dèi? Ricordava ogni canzone udita, ogni storia tradizionale recitata la sera attorno al fuoco e ricordava pure le storie vere raccontate da chi le aveva vissute. Eppure, aveva sentito gente che parlava degli dèi con disprezzo, perfino con scetticismo, perciò era difficile sapere ormai in cosa credere. Un giorno se ne sarebbe andato da qui e avrebbe cercato di scoprirlo da sòlo. Sarebbe andato oltre i monti, fino a Eretria, dove arrivavano le navi dei mercanti. Magari sarebbe salito su una di quelle e avrebbe seguito là sua rotta, verso i luoghi di cui aveva sentito tanto parlare. Dalla spiaggia ora giungevano più forti le grida e, a tratti, sullo sfondo del cozzare dei bastoni contro gli scudi, anche i singhiozzi di uno de~ ragazzi. Si alzò in ginocchio per ascoltare meglio e barcollò alla cieca, in preda a una vertigine di immagini e di ricordi, mentre il vento della sera portava fino a lui le voci irate. Sentiva Achille che strillava più forte di tutti mentre le due bande correvano su e giù lungo la spiaggia. Poi sentì chiamare anche il suo nome e si rimise subito giù per non farsi vedere. Sua sorella lo chiamò ancora, stavolta più vicina. Poi dei passi alle sue spalle e si tirò su a sedere, ormai scoperto. "Eccoti, finalmente!" esclamò la sorella. "Son dovuta venire fin quassù per trovarti! Perché non sei tornato a casa? Non fai mai quello che ti si dice." Lei gli era vicina, adesso. "Dammi 1~ mano!" Sentì le mani della ragazza afferrare le sue per tirarlo in piedi. "No!" gridò, tutto tremante. Si liberò con uno strattone e con il bastone che a volte chiamava Lancia, s'avviò a tentoni lungo il sentiero. "Be', vedrai tu, brutto e presuntuoso d'un moccioso che non sei altro!" gli gridò dietro lei. "Per te s'avvicina la resa dei cont_i,l'ha detto pure la mamma." IL PELO Per un po' cercò di lavorarselo con la lingua, ma poi si tirò a sedere sul letto e cominciò a stuzzicarlo con le dita. Staccò un angolo della bustina di minerva e se la passò in mezzo ai denti. · Niente. Lo sentiva, era sempre là. Fuori si stava facendo una bella · giornata e gli uccelli cantavano. Si ripassò la lingua sui denti, sia davanti che dietro, fermandosi quando arrivava al pelo. Esplorava tutt'intorno con la punta della lingua, poi la premeva sul punto dove si era infilato, in mezzo a un paio di incisivi, lo seguiva fino in fondo per un paio di centimetri e se lo appiattiva contro la parte superiore del palato. Cercò di toccarlo con le dita. "Uuuk _:_Cristo santo!" "Che succede?" gli chiese 4t moglie, levandosi anche lei a sedere. "Abbiamo dormito troppo? Che ora è?" "Mi si è infilato qualcosa in mezzo ai denti. Non riesco a levarlo. Non so ... mi sembra un pelo." Andò in bagno e guardò un attimo lo specchio, poi si lavò le mani e la faccia con l'acqua· fredda. Accese la luce sopra lo specchio. "Non riesco a vederlo, ma so che c'è. Se solo riuscissi a pigliarlo, magari lo tiro fuori." La moglie lo raggiunse in bagno; sbadigliava e si grattava la testa. "L'hai preso, tesoro?" · Lui strinse i denti e si premette le labbra contro le gengive fino a rompersi la pelle con le unghie. "Aspetta un attimo, Dave," disse lei. "Fammi un po' vedere." Si piazzò sotto la lampadina, con la bocca aperta e si mise a rovesciare la testa da una parte all'altra, passando la manica del 87
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==