STORIE/MUTIS Il racconto del sogno mi aveva lasciato una vaga inquietudine. C'era in esso una presenza, un messaggio, che lasciava nell'anima un'aroma di terrore. il medico che, dopo un esame accurato, si è limitato a spiegarci che il malato era ormai allo stremo ed era azzardato fare delle previsioni sull'avanzare del male, la cui identità non poteva diagnosticare. Sono rimasto sino alle prime ore dell'alba, quando ho fatto ritorno alla fregata. Ho meditato a lungo nella mia cabina e ho comunicato al capitano la mia decisione di rimanere a Cartagena e attendere qui il suo ritorno dal Venezuela, che lui valuta avverrà entro due mesi. Domani parlerò con il mio amico, il generale Silva, perché mi aiuti a cercare un alloggio in città. Il caldo aumenta e dalle mura viene un odore di frutta in decomposizione e di umida carogna salmastra. 5 luglio. - Ieri è arrivata la posta dalla Francia. Ho ricevuto notizie dai miei figli e una carta di credito per gli agenti dei miei· banchieri a Bogotà. Così la mia permanenza in Colombia si fa più sopportabile e potrq rimanere qui tutto il tempo necessario, sino a quando si decida 11destino di Bolivar. · Questo pomeriggio ho fatto una passeggiata sulle mura in compagnia del capitano Arrazola. Abbiamo parlato a lungo. Devo riconoscere che non ero tanto ben disposto nei suoi confronti a causa di una certa reticenza di Bolivar e dei suoi aiutanti quando si fa menzione del suo nome. Mi è sembrato non soltanto un uomo di grande simpatia personale, ma anche un soldato esemplare. La cicatrice che gli attraversa il volto è dovuta a una sciabolata ricevuta durante la battaglia delle Queseras del Medio, dove ha difeso quasi da solo una batteria sino al calare della sera. Si lamenta che non gli siano stati riconosciuti i suoi servigi e nutre una·certa amarezza più che contro qualcuno in particolare, contro il disordine, la meschinità e l'incuria che regna nel paese. La sua frequentazione di uomini politici e gente del Congresso a Bogotà gli ha insegnato a nascondere con cautela le proprie opinioni. Ammira Bolivar ma è convinto che pecchi di idealismo. Lo paragona con l'ipocrita, l'oscuro ed efficace Santander, esperto in astuzie da leguleio e votato a reggere il gioco del gruppo di famiglie che cominciano a raccogliere con avidità i frutti dell' indipendenza. Confermo, ora, una certa impressione ché continua a darmi la gente di questa terra a misura che la conosco e frequento. Hanno tutti un brillante talento e molta grazia e scioltezza di comportamento, idee assai poco chiare sulla realtà nella quale vivono, e una nascosta e quasi vergognosa nostalgia dei fasti del viceregno dove, suppongono, avrebbero goduto, per la prosapia del loro nome e per la quantità dei loro beni, di una fortuna più brillante di quella che è toccata loro in sorte dopo l'indipendenza. È il vantaggio che Bolivar ha su tutti loro. La sua gioventù vissuta con splendido sperpero alla corte di Madrid e nei salotti della Parigi del Consolato e dell'Impero, la sua familiarità con persone che ancora conservavano le migliori maniere e le più caustiche idee dell'"Ancien Régime", gli barino dato un'altra prospettiva e una più giusta immagine del proprio destino e di quello di queste repubbliche. Arrazola mi ha raccontato alcuni dettagli sull'attentato del settembre dello scorso anno. Mi fa notare che il perdono dei veri colpevoli e istigatori del crimine è frutto, non tanto della bontà di Bolivar, quanto di una caratteristica molto particolare del suo carattere, segnato da uno scettico fatalismo e da una profonda conoscenza delle segrete motivazioni che muovono queste persone. Da ciò, penso, il distacco e la distanza che caratterizzano il suo modo di fare. Ricordo, ora, una frase che gli ho sentito dire nei giorni passati: "Ogni contatto con gli uomini lascia in noi un germe funesto di disordine che ci avvicina alla morte". Abbiamo parlato dei suoi amori. Del suo capriccio per Manuelita Saenz. Ma, in fondo, la stessa lontananza, lo stesso distacco. 10 luglio. -Oggi il Libertador mi ha raccontato un sogno che ha fatto in forma ricorrente in questi ultimi giorni e che lo inquieta oltremodo. Parlavamo dell'importanza che i romani attribuivano ai sogni e lui mi ha detto: - Le racconterò un sogno che, con piccole varianti, mi visita ormai da alcune settimane e il cui significato mi sfugge del tutto. Mi sono addormentato con la finestra aperta e il profumo degli aranci invadeva la stanza. Mi sono ritrovato a passeggiare per i giardini di Aranjuez. Mi sentivo leggermente stanco e con le membra come doloranti per una lunga camminata. La frescura del paesaggio ha cominciato a darmi sollievo e ho acquistato nuove energie. Ho sentito, all'improvviso, che avevo una lunga vita davanti a me. I giardini si estendevano sino all'orizzonte in dolci ondulazioni. In realtà avevano in comune con quelli di Aranjuez solo l'intenso profumo degli aranci e quella luce filtrata dall'azzurrognola nebbiolina castigliana. Sono giunto sino a una scalinata che conduceva a un corridoio con pergolato, che si perdeva in un ombroso labirinto attraversato velocemente da silenziosi insetti. Mi sono seduto sul primo gradino della scalinata e, nel tirar fuori un fazzoletto per asciugarmi il sudore dal viso, mi sono reso conto di essere vestito alla moda dell'inizio secolo, con aderenti pantaloni color avorio e una finanziera azzurro mare di taglio inglese con grandi risvolti e il colletto rialzato. Ho portato la mano al taschino dell'orologio per guardare l'ora e una fitta mi ha immediatamente immobilizzato. Un dolore acuto, che nasceva proprio nel punto dove si trovava l'orologio, mi saliva sino al petto rendendo difficile la respirazione. Ho scoperto che trattenendo il respiro il più possibile e ritirando cautamente le dita dal taschino, riuscivo ad ingannare la tortura e a tirare fuori l'orologio senza che quella aumentasse. Quando alla fine ho potuto guardare il quadrante, il dolore era scomparso. Ma l'orologio è risultato essere di una materia fragile simile alla carta e, nel toglierlo dal ·taschino, le lancette si erano piegate e non segnavano nessuna ora. Ho provato un 'improvvisa vergogna e, mentre cercavo di nascondere il raggrinzito oggetto dietro i rampicanti che salivano verso la pergola, mi sono accorto che qualcuno mi osservava dall'alto delle scalinate. Lassù, in effetti, c'era una donna dalle forme generose e dalla bellezza aggressiva, con il volto nascosto nell'ombra del pergolato. La camicia, aperta sino alla cintura, lasciava quasi scoperti i seni grandi e fermi, e la gonna, aderente al corpo per la leggera brezza, rivelava il doppio arco di cosce lunghe e tornite che si saldavano sul promontorio del sesso. La donna mi ha parlato dall'ombra: "È inutile che cerchi di nascondere quella traccia, mio caro. Il giorno che meno te lo aspetti nascono dal tuo stesso corpo ed è allora che la verità fa male". "Signora, le ho risposto intimidito, ho con me un biglietto di presentazione che mi ha dato mio zio, e inoltre, che io sappia, 85
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==