Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

STORIE/MUTI$ - È come se la morte venisse ad annunciarmi il suo proposito. Un primo colpo di falce per provare ilfilo della lama. - Mio generale... Eccellenza... si prepari a ricevere una notizia terribile. . E le lacrime, sul punto di sgorgarli dagli occhi, lo hanno obbligato a voltarsi e a uscire. Fuori è tornato a parlare con qualcuno. Si udivano corse e rumori di gente che si raggruppava attorno al nuovo arrivato. Bolivar si è irrigidito, guardando verso la porta. Ibarra è entrato nuovamente, seguito da un ufficiale in uniforme di servizio, con il volto attraversato da una sottile cicatrice di colore scuro. Il suo sguardo inquieto ha percorso tutta la stanza sino a fermarsi sul letto da dove era oss~rvato fissamente. Si è presentato mettendosi sull'attenti. - Capitano Vincente Arrazola, Eccellenza. - Si segga, Arrazola-lo ha invitato Bolivar senza togliergli gli occhi di dosso. Arrazola è rimasto in piedi, rigido. - Che notizie ci porta da Bogotà? Come vanno le cose laggiù? - Molto agitate, Eccellenza, e le porto notizie che temo la feriranno in modo tale che mi sento colpevole d'esserne io il messaggero. Oli occhi immensamente aperti di Bolivar si sono fissati nel vuoto. - Ormai ci sono poche cose che possono ferirmi, Arrazola. Si tranquillizzi e mi dica di cosa si tratta. Il capitano ha tentennato un istante, ha cercato di parlare, ci ha ripensato e tirando fuori una lettera dalla cartella con lo stemma della Colombia che portava sotto il braccio, l'ha consegnata al Libertador. Questi ha strappato la busta e ha cominciato a leggere alcune brevi righe che sembravano scritte in gran fretta. In quel momento è entrato in punta di piedi il generale Montilla, che si è avvicinato con gli occhi arrossati e il volto pallido. Un gemito da animale ferito, è salito dalla branda da campo cogliendo di sorpresa tutti. Bolivar è balzato dal letto come un felino e prendendo per il bavero l'ufficiale gli ha gridato con voce terribile: - Miserabili! Chi sono i miserabili che hanno fatto questo? Chi? Me lo dica, glielo ordino, Arrazola! -e scuoteva l'ufficiale con una forza incredibile-Chi ha potuto commettere un crimine così stupido!? Ibarra e Montilla sono accorsi a separarlo da Arrazola, che lo· guardava spaventato e addolorato. Con una manata è riuscito a liberarsi dalle braccia che Iò trattenevano e si è avviato barcollando verso la sedia sulla quale è crollato dandoci le spalle. Passato il primo momento in cui non sapevamo che cosa fare, Montilla ci ha invitato coil un gesto a uscire dalla stanza e a lasciare solo il Libertador. Nell'abbandonare la camera mi è sembrato di vedere come le sue spalle venivano scosse da un pianto segreto e desolato. Quando sono uscito nel patio tutti i presenti manifestavano una profonda angoscia. Mi sono avvicinato al generale Laurencio Siiva, con il quale ho fatto amicizia e gli ho chiesto che cosa stesse accadendo. Mi ha informato che avevano assassinato in un' imboscata il Gran Maresciallo di Ayacucho, don Antonio José de Sucre. - È l'amico più fedele del Libertador, che lo amava come un padre. Per il suo disinteresse riguardo alle .cariche e per la sua modestia, aveva qualcosa del santo e del bambino che ce lo ha fatto sempre rispettare e per cui era adorato dalla truppa - mi ha spiegato mentre si passava una mano sul· volto con un gesto disperato. Sono rimasto tutta la notte al Pie de la Popa. Ho vagato per i corridoi e per i patii sino a quando, era ormai notte inoltrata, ho incontrato il generale Montilla, che in compagnia di Silva e del capitano Arrazola mi stava cercando per invitarmi a cena con loro. - Non ci lasci ora, colonnello - mi ha prègato Montilla - , ci aiuti a star vicino al Libertador, al quale questa notizia farà peggio di tutti gli altri dolori della sua vita ~essi insieme. Ho accettato volentieri e ci siamo seduti alla tavola che avevano preparato in una sala da pranzo affacciata sul castello di San Felipe. La conversazione si è dilungata senza che nessuno si azzardasse a disturbare il malato. Verso le undici, Ibarra è entrato nella camera con un lume e una tazza di tè. È rimasto dentro per un po' e quando è uscito ci ha detto che il Libertador desiderava gli facessimo un po' di compagnia. Lo abbiamo trovato disteso sulla branda, completamente avvolto in un lenzuolo inzuppato dal sudore della febbre, che gli era aumentata in modo allarmante. Il suo volto aveva di nuovo quell'alterata espressione di maschera funeraria ellenica, gli occhi aperti e infossati scomparivano nelle orbire e, alla luce della candela, si vedevano al loro posto soltanto due grandi buchi che guardavano in un vuoto che si supponeva amaro e senza consolazione, a giudicare dall'espressione delle sottili labbra socchiuse. Mi sono avvicinato e ho manifestato il mio dolore per la morte del Gran Maresciallo. Senza rispondermi, ha trattenuto per un istante la mia mano nella sua. Ci siamo seduti attorno alla branda senza sapere che cosa dire né èome strappare il malato dal dolore che lo consumava. Con voce profonda e cavernosa, che ha riempito la stanza di ombre, ha chiesto rivolgendosi bruscamente a Silva: - Quanti anni àveva Sucre? Lei si ricorda? - Trentacinque, Eccellenza. Li ha compiuti in febbraio. - E sua moglie, vive in Colombia? -No, Eccellenza. Lo aspettava a Quito. Andava a ricongiungersi con lei. Sono rimasti di nuovo in silenzio per un lungo istante. Ibarra ha portato dell'altro tè e ne ha fatto prendere al malato qualche cucchiaio, come gli era stato prescritto per far scendere la temperatura. Bolivar si è sollevato sul letto e gli abbiamo sistemato alcuni cuscini per sostenerlo e perché stesse più comodo. Iniziavamo poi una di quelle conversazioni tipiche di chi cerca di allontanarsi da un determinato argomento, quando all 'improvviso ha cominciato a parlare un poco per se stesso e a volte rivolgendosi chiaramente a me: -È come se la morte con questo colpo venisse ad annunciarmi il suo proposito. Un primo colpo di falce per provare il filo della lama. Avrebbe dovuto conoscerlo, Napierski. Il calore del suo sguardo un po' disorientato, il s~o avanzare con le spalle un po' cadenti e il corpo dinoccolato, dando sempre l'impressione di attraversare un salone cercando di non farsi notare. E quel suo gesto di sfregare con il dito medio l'impugnatura della sua sciabola. La sua voce acuta e le esse sibilate e sfuggenti che imitava tanto bene Manuelita facendolo arrossire. I suoi silenzi da timido. Le sue risposte a volte brusche, taglienti ma sempre chiare 83

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