Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

SAGGI/ ACHEBI ranno nemmeno la conoscenza e la saggezza accumulate complessivamente dalla sua specie. Le domande ultime, con ogni probabilità, resteranno. Negli anni Cinquanta un microbiologo nigeriano, Sanya Ònabamiro, pubblicò un libro che aveva intitolato, con grande perspicacia, Perché i nostri figli muoiono, facendo eco a quella che deve essere stata una delle domande più intensamente sincere e strazianti poste dai nostri avi attraverso i millenni. Perché muoiono i nostri figli? In qualità di scienziato moderno, Onabamiro forniva delle risposte da ventesimo secolo: malattia, iponutrizione e ignoranza. Qgni persona ragionevole converrà che questa risposta "scientifica" è più soddisfacente di risposte che ci possono pervenire da altre fonti. Per esempio uno stregone potrebbe dirci che i nostri figli muoiono perché sono stregati; perché qualcun altro della famiglia ha offeso un dio o commesso, in qualche modo misterioso, una colpa. Alcuni anni fa ho assistito allo spettacolo penoso di un bambino smunto che era stato fatto sedere su una stuoia in mezzo ai disperati habitués di un luogo di preghiera, mentre la profetessa, con autorità maniacale, lo dichiarava posseduto dal demonio e ordinava ai suoi genitori di digiunare per sette giorni. Gli esempi riportati suggeriscono due cose: primo, la ricchezza, l'assoluta prodigalità dell'uomo nel creare finzioni eziologiche; secondo, che non tutte le finzioni sono ugualmente utili o desiderabili. Ma devo innanzitutto spiegare la mia audacia nel mettere apparentemente fianco a fianco sotto la stessa etichetta di finzioni i procedimenti misurati, metodici e tutto sommato meravigliosi della medicina moderna e le ''visioni" stravaganti di uno psicopatico religioso; in realtà non si dovrebbero neanche mai menzionare uno dopo l'altro nello stesso discorso. E tuttavia, essi hanno in comune, per quanto lontanamente, lo stesso bisogno dell'uomo di spiegare e alleviare la sua condizione insopportabile. Ed entrambi usano teorie per spiegare la malattia: la teoria batteriologica da una parte, e la teoria del possesso diabolico dall'altra. E le teorie non sono altro che finzioni che ci aiutano a trarre un senso dall' esperienza, e che sono soggette a essere rinnegate allorché le loro spiegazioni non soddisfano più. Non c'è dubbio, per esempio, che gli scienziati del ventunesimo secolo e dei secoli successivi guarderanno ad alcune delle più accreditate nozioni scientifiche dei nostri giorni con la stessa indulgenza divertita che noi ora mostriamo nei confronti delle scempiaggini delle generazioni passate. E tuttavia possiamo dire, e in realtà dobbiamo dire, che le aperture offerte da Onabamiro sul problema dell'elevata mortalità infantile, per quanto incomplete potranno sembrare alle generazioni future, ci sono oggi infinitamente più utili della diagnosi di un fanatico religioso pazzoide. Per concludere, ci sono finzioni che aiutano e finzioni che ostacolano. Chiamiamole pure, per semplicità, finzioni benefiche e malefiche. Che cos'hanno dunque le finzioni - buone o cattive - da risultare tanto attraenti? Perché mai l'uomo deve prendere congedo dalla realtà al fine di facilitare il suo passaggio attraverso il mondo reale? Che cosa c'è dietro questo evidente paradosso? Perché l'immaginazione è così potente da trascinarci via con tanta ostinazione dall'esistenza animale che i nostri sensi corporei vorrebbero imporci? 70 Permettetemi di formulare queste domande un po' diversa-. mente, in modo da non partire per la tangente e perderci definitivamente fra le nuvole inebrianti dell'astrazione. Perché Il bevitore di vino di palma di Amos Tutuola ci offre una percezione migliore, pìù forte e memorabile del problema del- !' eccesso di tutti i sermoni e gli editoriali che abbiamo ascoltato e letto, o che ascolteremo e leggeremo, sull'argomento? Il motivo è eh~ mentre articoli di giornale e prediche possono raccontarci tutto sull'eccesso, Tutuola compie il miracolo di trasformarci in partecipanti attivi di uno straordinario dramma immaginario in cui l'eccesso in tutte le sue forme assume natura umana. Dopo non possiamo più comportarci solo come uditori della parola; siamo iniziati; abbiamo visto con i nostri occhi; abbiamo ritrovato noi stessi nel bevitore quasi nello stesso modo in cui il bevitore, nel corso di una quest purificatrice, si è ritrovato (seppur inconsapevolmente) in quel grottesco concentrato di sgradevolezza che è suo figlio, il bambino con mezzo corpo. L 'incontro, come tanti altri momenti del romanzo, si fa per noi indimen- . ticabile grazie alla capacità inventiva di cui Tutuola dà prova non solo nel rivelare la· varietà di volti umani che l'eccesso può assumere, ma anche nel condurre l'abile indagine sulle conseguenze morali e filosofiche di infrangere, con l'avidità, la legge della reciprocità che come una forza di gravità informa i moti apparentemente eccentrici del suo bizzarro universo narrativo. Questo incontro con se stessi, che io considero la fonte principale dell'efficacia e del successo delle finzioni benefiche, può essere definito anche come identificazione immaginaria. Le cose · allora non accadono più solo davanti a noi; per il potere e la forza dell'identificazione immaginaria, accadono a noi. Non vediamo solamente; in realtà soffriamo con l'eroe e veniamo bollati con lo stesso marchio di "punizione e povertà", per usare l'espressione di Tutuola. Così, senza dover affrontare personalmente i tormenti che il · bevitore deve patire in espiazione della sua pigrizia e della sua mancanza di autocontrollo, noi diventiamo, attraverso un atto della nostra immaginazione, beneficiari della sua avventura rigeneratrice. Il fatto che possiamo farlo è più uno dei più grossi privilegidella nostra umanitàriflessiva- la capacitàdi sperimentare direttamente la strada su cui ci siamo imbarcati e anche, indirettamente, "la via non presa", come direbbe Robert Frost. Data la nostra natura indagatrice che ha come fine la scoperta, e dati i nostri limi ti esistenziali, specialmente la vastità della nostra ignoranza, si può cominciare ad apprezzare la benedizione infinita che la nostra immaginazione sarebbe in grado di elargirci. È una verità lap"alissiana, oltre che un cliché, che l'esperienza è la miglior maestra; è perfino discutibile se possiamo effettivamente conoscere ciò che non abbiamo sperimentato personalmente. Ma la nostra immaginazione può ridurre lo scarto esistenziale fornendoci, in un'ampia gamma di situazioni umane, la riproduzione più fedele dell'esperienza che forse potremo mai ottenere, e a volte anche la più sicura, come chiunque abbia viaggiato sulle strade nigeriane vi può raccontare! Poiché non è affatto desiderabile essere investititi da un'auto per capire che le macchine sono pericolose. Possiamo imparare da quel cadavere malconcio sul ciglio della strada; non solo osservandolo, ma facendo finta che noi siamo quel corpo, che il cadavere di un altro uomo non è, come

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