Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

SAGGI/ ACHEBE La venerazione dei miei genitori per i libri era quasi fanatica, quando mio padre morì dovemmo fare unfalò della carta accumulata. Io non sopporto di vedere carte in giro. Alla mia morte, i miei figli non dovranno fare unfalò. chiamano ancora con quel nome. La più antica di tutte, mia madre, senza dubbio vi rimase fedele fino alla fine. Così, se qualcuno vi chiede che cosa avesse in comune Sua Maestà Britannica la Regina Vittoria con Chinua Achebe, la risposta è: Hanno entrambi perduto il loro Albert! Per quanto riguarda l'altro nome, che secondo l'usanza della mia gente è una completa enunciazione filosofica, l'ho semplicemente tagliato a metà, rendendolo più pratico senza, spero, perdere il senso generale del concetto che intende esprimere. Ho sempre avuto passione per le storie, e sono sempre stato affascinato dal linguaggio. Prima l'ibo, parlato con straordinaria eloquenza dagli anziani del villaggio, e poi l'inglese, che cominciai a imparare quando avevo più o meno otto anni. Non ne sono sicuro, ma probabilmente ho pronunciato più parole in ibo che in inglese, anche se ne ho decisamente scritte di più in inglese che in ibo. Per cui posso considerarmi perfettamente bilingue. Alcune persone mi hanno fatto capire che potrei sentirmi più a mio agio se scrivessi in ibo. A volte cercano di cogliere nel segno chiedendomi in che lingua sogno. Quando rispondo che sogno in tutt'e due le lingue, sembra che non mi credano. Più di recente ho sentito una versione ancora più efficace e metafisica della stessa domanda: che lingua usi durante un orgasmo? La questione sarebbe risolta, se lo sapessi. Vivevamo a un crocevia di culture. E ci viviamo ancora oggi; ma quando ero bambino se ne poteva vedere e sentire più chiaramente l'atmosfera e il carattere speciale. Non mi riferisco a tutte quelle stupidaggini che si sentono sul vuoto spirituale e le sollecitazioni mentali di cui soffrirebbero gli africani, né alle forze malvage e alle passioni irrazionali che si aggirano nel cuore di tenebra dell'Africa. Siamo consapevoli della mistica razzista che si cela dietro molte di quelle affermazioni e dovremmo semplicemente osservare che coloro che preferiscono vedere l'Africa in quei termini scandalosi non hanno dimostrato di possedere una netta superiorità quanto a equilibrio mentale, o una maggiore capacità di far fronte alla vita. Ma i crocevia hanno comunque una certa forza pericolosa; pericolosa perché un uomo può lasciarci la pelle combattendo contro spiriti dalle cento teste, ma può anche essere fortunato è tornare dalla sua gente con in più il dono della visione profetica. Su un braccio dell'incrocio cantavamo inni e leggevamo la Bibbia giorno e notte. Sull'altro il fratello di mio padre e la sua famiglia, accecati dal paganesimo, offrivano cibo agli idoli. O così si supponeva che fosse. Ma io sapevo, senza conoscerne il perché, che era un modo troppo semplicistico di spiegare ciò che stava effettivamente· accadendo. Quegli idoli e quel cibo avevano su di me uno strano fascino, anche se ero un piccolo cristiano perfetto e spesso alle funzioni domenicali, nel momento grandioso e solenne del "Te Deum Laudamus", sognavo che un mantello d'oro scendeva su di me, mentre il coro degli angeli soffocava il nostro canto mortale e la voce di Dio in persona tuonava: Questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto. Tuttavia, nonostante quelle illusioni di predestinazione divina, non ero immune dal trascinare la mia sorellina nella casa dei vicini all'insaputa dei nostri genitori, e partecipare a festosi pranzi pagani. Non ho mai trovato che il loro riso e la loro carne sapessero d'idolatria. Avevo circa dieci anni allora. Se qualcuno preferisce credere che fossi lacerato da conflitti spirituali o tormentato dalla mia ambivalenza, faccia pure. lo non ricordo nessuna sofferenza particolare. Ciò che invece ricordo è la fascinazione per il rituale e per la vita sull'altro lato dell'incrocio. E credo che due cose giocassero a mio favore: quella curiosità, e la breve distanza interposta fra me e quell'altro lato dall'accidentalità della mia nascita. La distanza non è separazione; ha invece l'effetto di riunire, come il passo indietro che deve fare un osservatore attento per contemplare un quadro nel suo insieme. Mentre imparavo a leggere ebbi la fortuna di trovare in giro per casa dei vecchi testi. Essendo il quinto in una famiglia di sei figli e avendo dei genitori così appassionati all'istruzione dei loro bambini, ereditai un sacco di abbecedari e libri di lettura usati. Ricordo un Sogno di una notte di mezza estate in uno stato di decomposizione avanzata. Credo che si trattasse di una riduzione in prosa, semplificata e illustrata. Non ricordo di aver fatto pazzie per quel libro, fatta eccezione per il titolo. Non riuscivo a liberarmi della sua insolita bellezza. Un sogno di una notte di mezza estate. Era una frase magica, un incantesimo che evocava scene e passaggi di una terra esotica, felice e irraggiungibile. Ricordo anche l'lje Onye Kraist di mia madre, che doveva essere una riduzione -ibo del Pilgrim' s Progress. Non poteva essere il testo completo; era troppo sottile. Ma aveva delle figure terrificanti. In particolare, ho ancora un'impressione molto vivida della valle dell'ombra della morte. Pensavo rµolto alla morte in quei giorni. C'era un altro libriccino che mi faceva paura e al tempo stesso mi affascinava. Riportava disegni delle diverse parti che costituiscono il corpo umano. Ma più di ogni altra cosa m 'interessava ciò che mia sorella maggiore mi raccontava del cuore umano. Poiché in ibo c'è una leggera confusione fra cuore e anima, ne dedussi che quella strana cosa che assomigliava tanto alla padella di ferro di mia madre quand'era girata sottosopra, fosse la stessa cosa che volava via quando un uomo moriva e che si appollaiava in cima alla bara sulla strada per il cimitero. Trovai utile gran parte dei libri che c'erano in casa, ma non tutti. C'era un testo di aritmetica di cui m'impossessai di nascosto e che vendetti per mezzo penny, la somma che mi serviva per comperare il gustoso elele che una donna tentatrice vendeva al mercatino fuori dalla scuola. Fui scoperto e mia madre, che fino ad allora non aveva mai avuto motivo di dubitare della mia onestà ~ pigro sì, ma ladro mai - ricevette un gran brutto colpo. Naturalmente riacquistò il libro. Provai una tale vergogna quando lo riportò a casa che credo di non averlo più neanche sfogliato, il che forse spiega come mai la matematica non mi abbia mai interessato più di tanto. La venerazione dei miei genitori per i libri era quasi fanatica, perciò la mia azione deve essere apparsa come una forma di simonia giovanile. Mio padre era anche peggio di mia madre. Non distruggeva mai niente che fosse di carta. Quando morì dovemmo fare un falò delle riserve accumulate nella sua lunga vita. lo, in questo senso, sono il suo esatto opposto. Non sopporto di vedere carte in giro. Ogni qualvolta me ne capita sott'occhio un bel mucchio, sono preso da un leggero attacco di piromania. Alla mia morte, i miei figli non dovranno fare un falò. Il tipo di preferenze che sviluppai sulla base della letteratura caotica in casa di mio padre e si può facilmente immaginare. Mi 67

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