Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

SAGGI/ ACHEBE UN NOME PER VlffORIA, REGINA D'INGHILTERRA Nacqui a Ogidi, nella Nigeria occidentale, da genitori cristiani osservanti. Nel mio villaggio la distinzione fra cristiani e noncristiani era molto più netta quarant'anni fa di quanto non Io sia oggi. Ricordo che durante la mia adolescenza tendevamo a guardare gli altri dall'alto in basso. Nella nostra lingua venivamo chiamati "la gente della chiesa" o "l'associazione di Dio". Gli altri noi li chiamavamo, con la presunzione che si addice ai seguaci della vera religione, gli infedeli o perfino "la gente del nulla". Ripensandoci oggi non sono così sicuro che non fossero loro quelli che avrebbero dovuto guardarci dall'alto in basso per la nostra apostasia. E forse lo hanno anche fatto. Ma i doni del Dio cristiano non erano da prendere alla leggera: istruzione, lavori retribuiti e molti altri vantaggi che nessuno, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, poteva sottovalutare. E si dovrebbe anche aggiungere, per correttezza, che c'era qualcosa di più del1'opportunismo nudo e crudo nel passaggio di molti alla nuova religione. Perché per certi versi e in certe circostanze essa era decisamente a favore di comportamenti rispettosi della natura umana. Diceva, per esempio, che i gemelli non erano tabù, e che non dovevano più essere abbandonati nella foresta a morire. Pensate a cosa ciò poteva significare per quella donna infelice il cui cuore, straziato a ogni parto, intravvedeva ora una nuova, . seppur precaria, speranza cui aggrapparsi. C'era ancora un notevole fervore evangelico nei miei primi anni di vita. Una volta al mese, in luogo delle funzioni pomeridiane in chiesa, andavamo nel villaggio con il vangelo. Cantavamo lungo tutto il percorso fino al luogo prescelto per la riunione della comunità. Allora il pastore o il catechista o uno degli anziani, dopo aver atteso che si riunisse un numero sufficiente di infedeli, teneva loro un discorso sulla futilità malvagia delle loro consuetudini. Mi pare che non siamo mai riusciti a convertire nessuno. AI contrario, ho un ricordo preciso del predicatore che era solito mettersi in guai seri con un abitante del villaggio che, a quanto sembra, era famoso per intervenire a ogni occasione con una nuova domanda imbarazzante. Come potete immaginare, non si trattava di una persona qualsiasi, ma di un cristiano ricaduto nel peccato, tecnicamente chiamato backslider. Al pari di Satana, un incantesimo celeste l'aveva dotato di eccessiva lungimiranza. · Mio padre aveva abbracciato la nuova fede da giovane ed era velocemente salito di grado fino a diventare predicatore laico e insegnante di religione. Lo zio materno che l'aveva allevato (dato che i suoi genitori erano morti precocemente) era un uomo illustre nel villaggio. Aveva ottenuto tutti i titoli, eccetto l'ultimò, cui un uomo ricco e onorato potesse aspirare, e la festa che offrì alla cittadinanza nel giorno della sua iniziazione divenne proverbiale per la munificenza che rasentava la prodigalità. La comunità, riconoscente e plaudente, da quel momento in poi lo chiamò Udo Osinyi - Udo che cucina più di quello che la gente riesce a mangiare. Da ciò potreste dedurre che i miei avi amavano l'ostentazione. E avreste ragione. Ma probabilmente avrebbero sostenuto, nel caso l'accusa fosse rivolta dalla loro controparte odierna, che ai 66 loro tempi la ricchezza si poteva solo acquisire onestamente, col sudore della fronte. Probabilmente non avrebbero mai fornito quella che secondo. me era la ragione vera, e che essi tenevano gelosamente nascosta, secondo cui, data la loro visione del mondo fortemente repubblicana ed egualitaria, la comunità faceva bene a incoraggiare un uomo ad acquisire più ricchezza dei suoi vicini per poi fargliela sperperare: in questo modo la minaccia del potere materiale veniva convertita in un'innocua distinzione onorifica, mentre le riéchezze da lui·accumulate rifluivano nella comunità. Sembra che i primi missionari che giunsero al mio villaggio andarono da Udo Osinyi a porgere i loro omaggi e a cercare sostegno per la loro opera. Per un po' di .tempo permise loro di far base nella sua proprietà. Forse pensava che fosse una specie di circo la cui strana presenza dava lustro alla casa. Ma dopo alcunì giorni fece far loro fagotto di nuovo. Non fu, come potreste pensare, a causa della folle teologia che avevano cominciato a proporre, ma per motivi, ben più seri, di estetica musicale. Disse il vecchio: "I vostri canti sono troppo tristi per venire dalla casa di un uomo. I miei vicini possono pensare che si tratti del mio canto funebre." Così andarono ognuno per la propria strada, senza rancore. Sembra che il vecchio non abbia sollevato alcuna grave obiezione allorché mio padre si unì ai missionari. Forse riteneva, al pari di Ezeulu [protagonista tragico di Freccia di Dio ( 1964), è il sommo sacerdote del dio Ulu che manda Oduche, uno dei suoi figli, a imparare "la magia dell'uomo bianco", N.d.T.] di aver bisogno di un rappresentante nel loro settore. O forse pensò che si trattasse di un nuovo diversivo che un giovane poteva permettersi senza incorrere in troppi guai. Deve averci ripensato quando mio padre cominciò a coltivare l'idea di convertirlo. Ma non ci fu mai uno scontro aperto; nemmeno una lite, a quanto pare. Furono molto vicini fino alla fine. Non ci giurerei, ma penso che il vecchio fosse la tolleranza in persona; l'unico principio su cui insisteva era che, qualsiasi cosa un uomo decidesse di fare, doveva farla con stile. Mi dicono che fu felice quando mio padre, che era già insegnante, fece un matrimonio cui parteciparono i missionari bianchi (ora non più macchiette ridicole) tutti in ghingheri, sia uomini che donne, portando regali. Deve essere stato colpito anche dalla festa nuziale, che non avrebbe potuto eguagliare la sua impresa leggendaria, ma che fu, a detta di tutti, alquanto sontuosa. Prima di morire, mio padre mi aveva raccontato un sogno fatto da poco in cui suo zio, morto da lungo tempo, arrivava a casa nostra come un pellegrino da una terra lontana che entra per una breve sosta e un po' di riposo, e si mostrava pieno di ammirazione per la casa di zinco che mio padre aveva costruito.C'era qualcosa fra quei due che trovo profondo, commovente e sconcertante. E di quelle due generazioni - disertori e fedeli in egual misura - c'era qualcosa che non son riuscito a capire fino in fondo. E per questo che la storia metliana della trilogia di Okonkwo, così come l'avevo progettata in origine, non fu mai scritta. Mi ero reso conto all'improvviso che nella mia galleria di eroi ancestrali c'è uno spazio da cui un personaggio sconosciuto sembra essersi allontanato. Fui battezzato Albert Chinualumogu. Mi disfeci di quell'omaggioall 'Inghilterra vittorianaquandoandaiall'università,anche se ci sono in giro delle conoscenze di vecchia data che mi

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