una vita". "Il pubblico era freddo (banda di animali!). Per fortuna c'ero io che ho goduto, sola, per tutto l'anfiteatro. Una musica così semplice, così serena, così soave, così danzante ... Ricorda, dice a Posternak, come reagivo quando metteva sul fonografo un disco qualunque dopo Bach? Ebbene, ci sono delle melodie di Monteverdi che apprezzerei anche dopo il famoso Andante." Fu probabilmente il 3 giugno che ascoltò l'Incoronazione di Poppea. L' 11giugno era ancora a Firenze e il suo biglietto valeva solo fino al 16. Aveva intenzione di fermarsi a Lucca e a Livorno, forse anche a Pisa, Genova e Milano, ma non _soquanto poté realizzare di questo programma. Il 16 lasciava l'Italia e rientrava in Francia attraverso la Svizzera. Durante tutto questo viaggio in Italia si era servita dello stesso passaporto che aveva usato l'anno precedente e che portava i timbri del Comitato centrale delle milizie antifasciste di Catalogna. Se qualcuno vi avesse prestato attenzione, questa testimonianza di rapporti con un organismo che faceva guerra al fascismo le avrebbe potuto procurare delle noie. Ma sembra che nessuno se ne sia accorto. Credo che fu durante questo viaggio - a rigore potrebbe essere stato quando tornò in Italia, l'anno seguenie - che accadde un fatto che mi raccontò. Si trovava non so in quale città italiana e parlava, un giorno, con un povero diavolo che sembrava affamato e completamente demoralizzato; le difficoltà della vita sembrava l'avessero reso piuttosto cinico. Poiché aveva certamente capito che era nemica del fascismo, la avvertì che i fascisti pagavano profumatamente chiunque denunciasse un antifascista. Ben lungi dal sentirsi spinta alla prudenza, gli disse che aveva combattuto in Spagna nelle file . antifasciste. Quando le chiesi perché lo aveva fatto, mi rispose pressappoco: "Pensavo che, dimostrandogli fiducia, si potevano ridestare in lui sentimenti di onore, fierezza e dignità." Dovette accadere infatti qualcosa del genere, oppure non era così privo di principi come dava a vedere, perché non la denunciò. Ricordo anche che mi disse sorridendo, dopo il suo primo viaggio in Italia: "Sono andata laggiù per veder;ese incontravo Tommaso Cavalieri, ma non l'ho incontrato." (Tommaso Cavalieri è il giovane a cui sono dedicate alcune poesie di Michelangelo.) A Posternak aveva scritto: "Da quando sono a Firenze, mi guardo attorno per vedere se incontro Tommaso Cavalieri, ma non l'ho ancora visto. Ma forse è meglio così, perché se lo trovassi b1sognerebbe adoperare la violenza per strapparmi via di qui." Scherzava, evidentemente, ma non so se c'era solo dello scherzo. Voleva certa- · mente esprimere l'ammirazione che provava per gli esseri umani belli e buoni. L'amicizia con una simile creatura forse le appariva come il tipo stessodell 'amicizia ispiratrice. Per molti spiriti santi o sapienti lo spettacolo della bellezza umana è stato sorgente di ispirazione. LE SPIETATE RAGIONI DI SIMONE WEIL Paolo Giovannetti SAGGI/GIOV ANNETII "Niente al mondo può impedirci di essere lucidi". La conoscenza in Italia (ma anche in Francia) del pensiero di SimoneWeil ha seguito un singolare percorso a ritroso. Prima sono stati raccolti in volume gli scritti cosiddetti religiosi, ritagliati e montati secondo criteri talvolta discutibili, e solo in seguito si è sistematicamente risaliti anche alle opere composte nella prima metà degli anni Trenta, che certo ci permettono di capire meglio gli esiti ultimi di una teoria, e di un itinerario di vita, difficilmente riconducibili a categorie e schemi troppo rigidi. Un movimento a gambero, questo, che ha prodotto esiti interpretativi piuttosto curiosi (non ultimo l'avere di frequente appiattito Simone Weil in una prospettiva essenzialmente religiosa), e che forse può creare sconcerto nel lettore italiano il quale si trovi oggi di fronte a Sulla Germaniatotalitaria (Adelphi, L. 18.000, pp. 316). Ad esempio,' chi abbia già conosciuto le Riflessionisullecause dellalibertàe dell'oppressionesociale (scritto nel 1934) si sentirà. in qualche modo a disagio nell'affrontare il primo dei saggi · contenuti in Sulla Germania totalitaria (risalente al 1932). Qui l'autrice elogia quasi senza riserve l'analisi della contemporanea situazione tedesca fatta da Trockij, sintetizzabile nella parola d'ordine "fascismo o rivoluzione". La distanza fra i due scritti non si può immaginare più grande: dalla fiducia nelle virtualità rivoluzionarie della classe operaia, al più totale pessimismo circa qualsiasi trasformazione che voglia operare un radicale rovesciamento nei ,rapporti di classe ~ fra questi opposti antinomici - , non sembra esserci alcun margine di conciliazione. Certo, il "trockismo" di Simone Weil non è privo di venature critiche, che anzi si rivelano sintomatiche già nel 1932, se è vero che l 'autricè rimprovera da subito a Trockij un "attaccamento" al partito comunista "che non si può fare a meno di giudicare superstizioso". Ma si dovrà anche aggiungere che negli scritti, soprattutto privati, di questi anni Simone Weil usa spesso l'espressione "il partito" -così, da sola, in figura d'antonomasiaper indicare le organizzazioni della Terza internazionale. E anche la sua militanza sindacale · nella Cgtu riflette il tentativo di dialogare con il movimento comunista e di collaborare alle sue battaglie. Ora, almeno per tre quarti, Sulla Germania totalitaria deve essere interpretato come una , progressiva erosione di quelle speranze e di quel programma di lotte, ma anche come una non meno pessimistica analisi dei rapporti di produzione e di dominio che accomunano regimi totalitari e democrazie. E bisogna riconoscere a Giancarlo Gaeta, curatore dell'edizione italiana, il merito ~ tanto maggiore quanto più rischioso era l'intento-di aver saputo selezionare i saggi che meglio sceneggiano questo 49
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