SAGGI/CASES "Finalmente cesseremo di aspettare in eterno! finalmente apparirà la consolazione! verdeggia il mauolino della speranza,! finalmente si cessa dtpiangere ..." lui adolescente nel settimo libro di Poesiae verità, menzionando tra l'altro Johann Christian Gtinther che fa al nostro caso perché, morto a soli 28 anni nel 1723, quindi sicuramente prima della nascita di Goethe, affonda le sue radici nel barocco ed è atto ad accontentare sia i barocchisti che i modernisti. Ora Gtinther non poteva propriamente dirsi povero. Figlio di un medico, avrebbe dovuto seguirne la carriera, ma, invasato dal demone della poesia, proprio di carriera nulla volle sapere e, perseguitato dalla durezza patema, finì in miseria. Goethe, che molto lo stima e scrive di lui che "può essere chiamato un poeta nel pieno senso della parola" poiché "possedeva tutto ciò che ci vuole a generare nella vita, mediante la poesia, una seconda vita, e ciò proprio nella vita normale, reale", non poteva, vecchio e saggio come era diventato, non rimproverare a Gtinther la "mancanza di carattere": "egli non sapeva dominarsi, e così la sua vita gli scivolò via come la sua poesia". D'accordo, Goethe fu la grande eccezione, egli seppe dominarsi, né la vita né la poesia gli · sfuggirono tra le mani e recentemente ho appreso da Luigi Forte, che recensiva la nuova monumentale edizione delle sue liriche a cura di Roberto Feitonani, che ne ha scritte quasi tremila. Ma intorno a questo "rocher de bronze" - come un re prussiano definiva se stesso - troviamo una torma di poeti in cui i Gtinther sono più frequenti dei Goethe; Cessato l'assillo della povertà, la malattia, la nevrosi, la follia, l'esaltazione, la mania suicida travagliarono i poeti tedeschi, in quell'epoca di transizione, più di quelli di altri paesi. Ne soffrirono E.T.A. Hoffmann, Holderlin, Kleist, molti romantici, oggi salutati come i precursori dei tempi moderni. E non a torto Thomas Mann ebbe a dire che i tedeschi non erano adatti a diventare borghesi, poiché la grande ripresa della letteratura_tedesca sul piano internazionale si ebbe insieme al crollo delle certezze borghesi, all'inizio di questo secolo. Se non poveri, gli intellettuali tedeschi erano semprerimasti scarsamente socializzati, anomali, ebrei, donne, disadattati, "diversi", outsiders, come li chiama un noto libro di Hans Mayer. Perciò negli anni torinesi, in cui tenevo soprattutto corsi per biennalisti, alternavo il periodo che va dall'Illuminismo al Romanticismo (con un'infrazione cronologica a favore di Grimmelshausen) a quello novecentesco. Sono questi infatti i periodi per cui un minimo di conoscenza della letteratura tedesca appare imprescindibile. Sono periodi in cui l'anima tedesca sembra oscillare tra l'apocalissi e l'utopia. Non che tali stati d'animo non si riscontrino anche in altri tempi e in altri luoghi, ma in Germania sono tanto di casa che talvolta viene la tentazione di espungere quel "rocher de bronze" che impedisce di considerarli unici. Forse l'impedimento non è mai stato affrontato così di petto come in un breve e famoso saggio antigoethiano deli'espressionista Cari Einstein, ma anche in Italia abbiamo avuto valenti germanisti, e non· teste calde, come Sergio Lupi e Ferruccio Masini, che hanno girato alla larga da Goethe, e mi sembra che i giovani che da noi, come Manfred Frank in Germania, si adoperano per la nascita di una ·nuova mitologia, lo accettino solo se passa per quella porta stretta. Nel rapporto con la letteratura e in generale con la cultura tedesca si insinua allora come elemento determinante la valutazione del nostro tempo. Ricordo che già molti anni fa l'amico Fortini, doven.dospiegare stanspede inuno la collocazione degli intellettuali italiani agli stranieri, li divideva per semplicità in quelli di osservanza tedesca (e.per via di Croce, erano allora la maggioranza) e anglosassone: i primi erano hegeliani o marxisti o benjaminiani, indulgevano all'ottimismo o al pessimismo storico e comunque al radicalismo politico; i secondi erano inclini all 'empirismo e, in politica, al riformismo. Mi sembra che con tutte le trasformazioni sopravvenute nel frattempo la dicotomia sia ancora abbastanza cogente, come si vede e contrario da coloro che tentano di sottrarvisi passando in qualche modo da un campo all'altro. Prenderò come esempi un germanista e un anglista. Ci sono naturalmente studiosi che planano così sovranamente al di sopra delle loro discipline che nessuno si attenterebbe a coglierli in flagrante nel momento in cui ne violano gli invisibili confini, ammesso che lo facciano. Penso tra noi germanisti a Mittner, a Zagari, a Baioni. Ma ci sono quelli più sprovveduti e disarmati di cui è più facile individuare le debolezze, come Renato Saviane e il sottoscritto. Quando abitavamo insieme alla casa dello studente di Kiel nel lontano 1963 non si faticava a prevedere dall'energia con cui Saviane ogni mattina si applicava alla ginnastica la sua tendenza all'apostasia anglosassone, mentre io aspettando a letto l'avvento dell'utopia o della catastrofe mi comportavo da germanista ortodosso. Da allora Saviane scrisse molti eccellenti saggi raccolti soprattutto nel volume Goethezeit del 1987dove attraverso le puntuali indagini non manca mai di far capoJino l' insofferenza per il radicalismo antistatale dell'intellighenzia tedesca dal Settecento a oggi. "Con Herder - egli scrive- nasce (almeno su suolo tedesco) l'anarchismo, il rifiuto aprioristico del potere che, attraverso la tradizione ottocentesca, giungerà sino a Tucholsky, a Marcuse e, perché no, sino ai Mescaleros e agli indiani metropolitani. Il suo rifiuto avviene in nome della natura contro' il palazzo ..." Herder avversa lo Stato come meccanismo che mortifica l'individuo, e la stessa idea si trova nella parabola di Wackenroder del santo nudo, assordato dalla macchina infernale del tempo che non gli permette di "operare e creare"; parabola da cui Saviane prende le mosse ma che era già stata studiata da Zagari e si trova spesso al centro dell'interesse dei germanisti italiani. A Saviane la macchina dello Stato e quella del tempo sembrano piuttosto pretesti per sottrarsi a un incontro fattivo e ginnastico con il reale, e mentre egli si schiera senza riserve dalla parte della grande eccezione, Goethe, vede incarnata la maledizione tedesca in Holderlin. "Se Schiller-egli scrive- si affida a un idealismo non banale, Holderlin si getta (preso, come dice Wolfgang Wittkowski, 'nel cerchio infernale di disperazione e super-armonizzazione') nelle braccia di un'utopia che dovrebbe concludere la storia, nella visione della festa che non trova giustificazione se non nel ritmo lirico e che, nel loro fascino astratto, mi pare risultino almeno leggermente pericolose." Non so se nei dieci anni intercorsi dalla stesura di questo saggio Saviane abbia continuato a sperare nel ·buon cittadino, attribuendo tutti i mali, come un certo recente Enzensberger, agli intellettuali che appunto oscillano come Holderlin tra la disperazione e la super-armonizzazione, oppure abbia convenuto che il poeta tedesco anticipasse un'antinomia più che mai attuale. Poiché il cerchio infernale di cui parlano Wittkowski e Saviane si risolve sì nel "ritmo lirico", ma senza rinunciare alla voce della disperazione che ha addirittura spezzato la ragione di Holderlin. 37
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==