CHE COSA SIA E A QUAL FINE SI STUDI LA LEffERATURA TEDESCA CesareCases Cesare Cases ha concluso la sua carriera di professore universitario il 16 maggio scorso a Torino, tenendo la lezione che segue difronJe a unpubblico vas.toe attento. Gli siamo grati per averci concesso di pubblicarla. Queste manifestazioni sono sempre un po' equivoche perché pretendono di essere un'"ultima lezione" ( e io ho scnipolosamente ingannato i miei studenti presentandogliela in questo modo), mentre in realtà assomigliano al canto 46 dell'Ariosto. Giunto in porto dopo lunga anche se poco perigliosa navigazione, il docente universitario vede una quantità di vecchi conoscenti che lo festeggiano allineati sulla riva e li riconosce uno a uno, esclamando come 1'Ariosto: "Oh di che belle e sagge donne veggio,/ oh di .che cavallieri il lito adorno./ Oh di che amici, a chi in eterno deggio/ per la letizia ch'han del mio ritorno!" Non starò a elencare le dame e i cavallieri che riconosco tra gli astanti, ma qualcuno devo pure menzionarlo, e ricordare anzitutto che molti che oggi qui riveggo hanno assistito anche alla partenza della nave, cioè alla mia prolusione accademica a Pavia il 12 marzo 1968 . . Prolusione memorabile per più di una ragione. Fu quasi certamente l'ultima prolusione accademica tenuta in una facoltà umanistica per molti anni. La rivolta studentesca imperversava dappertutto e di lì a pochi giorni doveva estendersi anche a Pavia. Ma in quel momento Pavia era ancora un'oasi di tranquillità e mi ricordo che un giovane collega, il grecista Diego Lanza, mi raccontò come a Milano non volessero credere che lui doveva recarsi a Pavia allo scopo di assistere a una cerimonia che sembrava appartenere a un passato irrecuperabile. La mia navicella, che presto doveva affrontare la tempesta, cominciò a muoversi in una situazione di eccezionale bonaccia, addirittura sotto il segno del ritorno al patrio suolo. Milanese, tornavo dalle mie parti dopo molti anni di assenza è pochi giorni prima di me aveva tenuto la sua prolusione l'italianista Dante !sella, che era stato presentato dall'ottima preside, la latinista Enrica Malcovati, con particolare fervore perché, come ella sottolineò, aveva entrambi i genitori lombardi. Di me non poteva dire altrettanto, avendo io una madre piemontese, e poi essendo germanista ero troppo compromesso con il Barbarossa per salire sul carroccio della lega lombarda. Ma ebbi ugualmente l'abbraccio della Preside che mi legò alcollo una medaglia dell'università di Pavia. La prolusione fu poi del tutto degna della sua eccezionalità. Parlai dei rapporti tra Lichtenberg e Volta nell'aula voltiana, una bellissima aula neoclassica in cui il grande scienziato aveva tenuto le sue lezioni. Mi ero preparato bene sull'argomento e per quanto talvolta il piede forcuto mi uscisse da sotto la toga accademica, in· complesso sembravo degno di portarla. Sarebbe stata però uha vittoria contro la natura, che forse non mi predestinava alla carriera accademica e che secondo Orazio ritorna anche quando si tenta di espellerla con il forcone. Nelle severe aule pavesi avrei dovuto consacrarmi interamente alla scienza. Così non fu. Portato più verso l'insegnamento che verso la ricerca, quei pochi studenti della Facoltà di Lettere che seguivano i corsi di tedesco mi int.imidivano più che stimolarmi e con 34 Folo di Giovanni Giovonnelli. il movimento ·studentesco, per cui provavo simpatia, avevo rapporti quasi esclusivamente politici. Per questa e per altre ragioni accettai volentieri la proposta, che risaµva al compianto Sergio Lupi prima della sua morte precoce ed era caldeggiata dal preside Quazza e da altri amici, di passare a Torino alla Facoltà di Magistero, allora frequentata da moltissimi studenti di lingue (rarefattisi negli ultimi anni per una di quelle misteriose ragioni che regolano le variazioni di afflusso alle nostre università) e imperniata sulla didattica, grazie all'apertura verso le esigenze dei discenti voluta dal preside e incarnata dalle allora assistenti e ora colleghe Ursula Isselstein e Anna Chiarloni, separate poi dalle vicende accademiche (in quanto la Chiarloni passò alla Facoltà di Lettere) ma riunite qui sulla proda dell'aula 39 a celebrare quelli che Mallarmè chiama i tristi addii dei fazzoletti insieme ad altre valorose collaboratrici che mi hanno assistito e spesso totalmente surrogato in questi vent'anni sia nell'insegnamento linguistico che in quello letterario: Renata Buzzo Margari, Consolina Vigliero, Grete Buchgeher Coda. Né si limitano a sventolare fazzoletti, poiché, grazie soprattutto all'attività di curatrici delle due prime, mi hanno fatto trovare all'approdo un volume a me dedicato che contiene un'antologia della lirica tedesca del Novecento con interpretazioni di eminenti colleghi molti dei quali sono qui presenti: un analogo dunque del vol11mesul romanzo del Novecento curato da Bai on i, Bevilacqua, Magris e me per i settant'anni di Ladislao Mittner. Di questo volume, e delle molte fatiche durate per prepararlo, mi è grato ringraziarle qui pubblicamente, così come dell'idea di avermi voluto festeggiare con un libro destinato non a pochi intendenti, maa molti discenti, grazie anche · all'appendice di Ursula lsselstein e.be è un primo tentativo di
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