Una considerazione favorevole: positiva, della brama di guadagno non solo preesiste al capitalismo ma si collega strettamente al tentativo di opporre alle "passioni" (rovinose e incostanti) I' "interesse" (stabile e prevedibile), ovvero un misto di egoismo e razionalità che dovrebbe tenere insieme la società e renderla governabile. Il capitalismo, almenoprimadeisuoi successivi trionfi, non è solo una forza progressiva, che ha emancipato parte dell'umanità etc., ma appare caratterizzato da una spiccata preoccupazione di tipo etico: un tentativo di risposta "responsabile" a questioni che hanno a che fare con la stessa natura umana, con la possibilità di un "legame sociale". Com'è fatto realmente l'uomo, al di là degli utopismi e dei precetti morali? Come si può addomesticarne o neutralizzarne la parte distruttiva? Interrogativi che accompagnano la nostra civiltà dagli albori, se anche i Greci si chiedevano come le temibili Erinni si potessero trasformare nelle benevole Eumenidi. L'idea specifica dell'interesse come possibile freno alle passioni, appenaadombratain S. Agostino, trova una prima vera elaborazione in Machiavelli e in Bacone, per diventare.poi assolutamente centrale in tutto il '600 (Spinoza, Hobbes, Hume, La Rochefoucauld, ecc.). Ed è singolare come nella avvincente ricostruzione intellettuale di Hirschman troviamo, accanto alle voci apertamente apologetiche delcapitalismo, una specie di continuo controcanto sui limiti e i pericoli connessi a quella nuova formazione (e molto prima di Marx): ad es. di fronte a un Montesquieu che elogia il commercio in quanto capace di ingentilire i barbari, c'è un Ferguson (e il cosiddetto clan degli illuministi scozzesi) fortemente preoccupato degli effetti negativi della divisione del lavoro e della smania di far denaro. Ma perché queste pagine acquistano particolare val ore alla fine di un decennio in cui l'ideologia del successo e' della smania di guadagno si è affermata in modo incontrastato? Personalmente la lettura del libro di Hirschman mi ha sollecitato a fare due diverse considerazioni. Innanzitutto trovo salutare che, in 'tempi di ripresa anche sacrosanta della cultura li-. berai-democratica, ci siano intellettuali come Hirschman (e altri) di formazione certamente laica e non marxista, alieni da visioni 18 CONFRONTI palingenetiche e tensioni utopiche, i quali mostrano però una attenta e trepida sensibilità alle manifestazioni di infelicità e sofferenza legate al nostro modo di vivere. Ad esempio uno storico delle idee come Barrington Moore jr., di cultura liberal, ci ricorda che base della poli tica è la "percezione della sofferenza, delle sue cause e dei suoi rimedi" (e non consiste solo di tecniche e procedure); e così Hirschman puntualizza come il capitalismo, lungi dal regolare le passioni umane, è per sua natura attraversato da passioni violente quali "collera, paura e rancori". Al confronto i nostri verbosissimi intellettuali laici, spiriti liberi e spregiudicati, mi sembrano come estenuati dalla loro stessa verve iperpolemica e dal loro incontenibile talento retorico: sono quasi tutti controcorrente, ma si indignano quasi sempre per le cose sbagliate. Una seconda considerazione riguarda l'interrogativo· centrale suggerito da questo saggio: potrà salvarci )'"interesse" (o avidità o cupidigia o desiderio di lucro) dalle passioni. fatali? Secondo Hirschman quest'idea fu "definitamente abbapdonata quando la realtà dello sviluppo capitalistico si presentò in piena luce". Ma ne siamo sicuri? Nel film Wall Street, che ben sintetizza un intero periodo, Michael Douglas, nelle parti di un finanziere senza scrupoli, così illustra la sua aggressiva filosofia: "L'avidità è giusta, funziona ..-.cattura l'essenza dello spirito evolutivo ... l'avidità salverà quella società disfunzionante che ha nome America". L'avidità dunque come passione vera (l'interesse non mente!) e come passione positiva. La generosa illusione di Montesquieu è divenuta una illusione molto meno innocente emeno giustificata, ma continua a celebrare i suoi fasti. In questo senso può essere di estrema utilità ripercorrere puntigliosamente la storia della formazione dell'idea del lucro come alternativa (o correttivo) al perseguimento del potere, ò come freno al capriccio del principe. Non è solo che, come nota Hirschman, Keynes e Schumpeter si mostrano assai meno sottili del cardinale de Retz, che ben sapeva ·come le passioni si introducono sempre nella sfera degli interessi. Il fatto è che il desiderio di guadagno, lungi dall'essere una attitudine moderata e ragionevole, sembra contenere qualcosa di smisurato, che ha probabilmente radici in un elemento oscuro (il rapporto con la morte) e che porta alla negazione degli altri. E poi, chiediamoci: quali sarebbero oggi le pericolose e ingovernabili passioni che il presunto "interesse" dovrebbe imbrigliare? Certo non viviamo in tempi di grandi trasporti emotivi e slanci del cuore. Eppure sotto la fragile crosta, ormai polverizzata, dei "valori", si agitano pur sempre tumultuose e terribili passioni. Se pensiamo ai "sette peccati capitali" (titolo di un prezioso libretto inglese a più voci tradotto negli anni Sessanta da Longanesi) suggerirei la seguente classifica in ordine di diffusione: alprimoposto invidia, avarizia e gola, poi acci- . dia, e infine un po' staccata ira, lussuria e orgoglio. Ora, ciò che si chiama "interesse" sembra proprio sostanziare di sé le "passioni" più diffuse e pervasive; e non si vede dunque come potrebbe miracolosamente debellarle. I sorprendentisaggi di CesareGarboli Alfonso Berardinelli Mi porto dietro da alcuni anni unà convinzione che teoricamente potrà sembrare discutibile, se non peregrina, ma che in pratica, anche recentemente, sembra piuttosto confermata dai fatti. La mia convinzione consiste in questo: che troppo spesso si vanno a cercare in generi letterari più tradizionalmente accreditati, come il romanzo e la poesia, quelle qualità di rivelazione, di invenzione, di eccellenza stilistica e di denuncia che invece si trovano in misura maggiore nella saggistica. Oggi si è arrivati a un punto che a volte la pubblicazione di qualche raccolta di poesie e di qualche romanzo non è che l'attestato formale per essere considerati scrittori: anche se il meglio lo si darà nei propri saggi. Chi leggerebbe le poesie di Valéry,, se non ci fossero i suoi quaderni di appunti e i suoi saggi? Forse Albert Camus non sarebbe considerato uno scrittore importante senza Lo straniero e La peste: ma senza dubbio i suoi saggi sono opere almeno altrettanto significative e, nel loro genere, più ricche. La stessa cosa si potrebbe dire di scrittori come Octavio Paz, Enzensberger e Pasolini: spesso i loro saggi sono letterariamente più pregevoli, oltre che più originali, delle loro poesie, anche se forse non si sarebbero visti assegnare la denominazione convenzionale di .scrittori se avessero scritto solo saggistica. E sono davvero pochi i romanzi e i libri di poesia italiana recenti all'altezza per esempio dei saggi di Cesare Cases, della Storia notturna di Carlo Ginzburg o degli scritti "inclassificabili" Dalla parte del torto di Piergiorgio Bellocchio. Il discorso potrebbe portare lontano, come si vede, retrospettivamentee teoric3.1J1ente(molta narrativa e perfinopoesiamodemà è in notevole misura saggistica mascherata: si pensi a Proust, Musi!, Eliot, Brecht). Devo fermarmi. Ma è difficile che questo sfondo di considerazioni non venga in mente quando si legge Cesare Garboli: che, nella nota introduttiva diFalbalas, definisce "appassionati e casuali" gli scritti raccolti nel libro. E in effetti la passione (una passione che è una riserva inesauribile di curiosità per come è. andata la vita altrui, e la propria) e il caso (le innumerevoli occasioni che accendono amore intellettuale e curiosità investigativa in chi, cercando se stesso con pudore, come fanno i critici, si innamora di un altro, e vuole vedere tutte le foto della sua vita ...), passione e caso sono i due poli del saggista che costruisce la sua strana opera come un diario. Per chi abbia interesse al linguaggio della critica e sia respinto da quella critica che non si accorge neppure di usare un linguaggio, i saggi di Garboli sono dei veri luoghi di perdizione da cui non
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