Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

CONFRONTI Violenza e nonviolenza nell'opera di Capitini e Anders Nanni Salio La nuova collana "Aperture" di Linea d'ombra offre lo spunto per ragionare di violenza e nonviolenza con due autori, Aldo Capitini e Giinther Anders, non molto valorizzati in Italia, ma apprezzati, e questo è di non poco conforto, da uno dei migliori maestri della nostra cultura, Norberto Bobbio. Pubblicato poco prima dello scadere della sua vita, il testo capitirtiano, Le tecniche della nonviolenza, conserva intatta, dopo oltre vent'~ni, la chiarezza, la profondità e l'attualità del messaggio, tanto da farne ancora oggi una delle migliori letture per chi voglia accostarsi alla non violenza." Scritto dopo che l'autore era passato "attraverso due terzi del secolo" (1) contiene l'essenza del suo pensiero. Come ci ricorda egli stesso, Capitini fu un autodidatta sia nella sua forma- _zioneculturale sia nella scoperta della nonviolenza che lo portò a studiare i testi degli autori più importanti dell'epoca, da Richard Gregg a Joan ,V. Bondurant, da lui ampiamente citati, a Gandhi stesso. È questa ampia conoscenza di base, unita a una originale riflessione, che fa di questo testo un veroe propriomanualeperl'azione ~- - politicanonviolenta.Nelcorsodique- Aldo Capilini, Perugia anni '50. sti ultimi due decenni che ci separano dalla morte di Capitini si sono aggiunti altri nòtevoli studi di autori come Gene Sharp, Johan Galtung, Giuliano Pontara, (2) per citare i più noti, ma come spesso accade per i classici poco è possibile aggiungere a un'opera che è frutto di esperienza oltre che di sapienza. Ma che cos'è la nonviolenza e qual è oggi l'attualità di questo messaggio? Non ci si stancherà mai di ribadire che il significato dato alla nonviolenza da Capitlni, come da Gandhi, è quello di lotta attiva contro l'ingiustizia nel mi ero come nel macrolivello. Sin dalla prima pagina Capitini ricorda che "si è cominciato a scrivere nonviolenza in una sola parola" per attenuare "il significato negativo che c'era nello scrivere non staccato da violenza". E Gandhi stesso coniò un nuovo termine, satyagraha (forza della verità), per distinguere questo metodo di lotta dalla ahimsa (aviolenza) intesa come semplice resistenza passiva e astensione dalla violenza diretta. L'obiettivo generale della nonviolenza è infatti quello di lottare contestualmente contro la violenza strutturale e contro la violenza culturale senza ricorrere alla violenza diretta, per evitare di cadere nel circolo vizioso che riproduce le tre forme di violenza (3). I mezzi stessi impiegati nella lotta prefigurano "qui e ora" e non in un lontano futuro ("il mito del cargo", secondo Peter Berger (4)) la realizzazione di un pezzo di socie.lànonviolenta. Per precisare ulteriormente questo punto di vista, si può ricorrere alla categoria del conflitto, visto non come fonte inevitabile di violenza, ma come condizione comune dell'esistenza, nella micro come nella macrorealtà, e come "occasione di crescita" tra le due parti avverse, purché si sia disposti a cercare, con i mezzi della nonviolenza, la soluzione creativa e costruttiva che comprende entrambi i punti di vista contrapposti. Questa prospettiva, che ha portato a sviluppare le numerose tecniche di risoluzione nonviolenta del conflitto di cui parla Capitini nel suo libro e che Gene Sharp ha classificato in ben 198 (5), si fonda sull'assunzione del principio di "verità relativa", che oggi ci appare come principio fondanfe della conoscenza scientifica. Poiché nessuno può dimostrare (in una situazione complessa e globale) di possedere pienamente la verità, è necessario compiere delle scelte che consentano la reversibilità delle nostre azioni qualora ci si accorga, a posteriori, degli errori prodotti come conseguenza delle nostre scelte medesime. Questo è il 4 principio che gli analisti dei processi decisionali chiamano "decisione razionale in condizione di ignoranza". La condizione di razionalità è data dalla ''correggibilità degli errori". Visto in questa luce, diventa stupefacente la modernità de_!metodo di indagine e di lotta sociale che Gandhi chiamava "esperimenti con la verità" e che fu ripreso da Capitini nei suoi scritti. Un secondo aspetto colpisce nella strategia dell'azione nonviolenta: il ruolo della c~- municazione. Non si tratta solo di un'azione pensata su "un palcoscenico mondiale", come fece•in più occasioni Gandhi, ma anche del!' intuizione profonda che molti studiosi vi scorgono, da · Norbert Wiener a Gregory Bateson, i quali sostengono che l'azione.politica e l'analisi del conflitto basati sull'idea di nonviolenza sono da preferirsi ad altri schemi interpretativi, perché in linea di principio consentono di mantenere costantemente aperti i canali di comunicazione delle parti mediante una tatticacomunicativa altamente omeostatica, che promuove una comunicazione onesta e aperta a vari livelli, abbatte le rigidità, decentralizza il controllo (6). Capitini espone questa concezione di comunicazione "aperta" nelle sue dodici tesi sulla nonviolenza, riprese e leggermente ampliate in uno dei suoi ultimi scritti (7). I concetti e i termini che egli introduce ("apertura", "aggiunta", "omnicrazia", "compresenza") costituiscono un contributo particolarmente fecondo per inserire la nonviolenza dentro il contesto della cultura filosofica occidentale evitando di relegarla solo a "mito" orientale e a utopia per anime belle. In .particolare il tema 15

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