Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

a dover definire delle regole del gioco in campo economico per dei soggetti che in gran parte non esistono ancora. Jon Elster (in quello che rimane il miglior articolo sui dilemmi della liberalizzazione esteuropea) ha sottolineato le analogie esistenti con i problemi delle riforme economiche e politiche in America Latina. Anche in quel caso è stata dapprima tentata invano la via delle riforme economiche prima di quelle politiche. Ma, come è noto, la strada delle riforme politiche prima di quelle economiche ha già incontrato grossi ostacoli. In Polonia la scommessa sembra avere avuto sinora successo. Negli altri paesi dell'Europa centro-orientale si è ancora fermi alla fase della progettazione. A conclusione del suo articolo, Elster ha osservato: "Il comunismo ha perso; il capitalismo ha vinto. Non sorprende affatto che il comunismo abbia perso; non aveva mai dato l'impressione di essere un cavallo vincente. La democrazia dell'economia di mercato non· è però un· sistema, ma una molteplicità di sistemi. Comprende il Brasile non m.eno della Svezia; può essere selvaggio oltre che civilizzato. Né è l'unica alternativa al comunismo. Ovvero, per dirla diversamente, la pianificazione centralizzata e il sistema leninista del partito unico non sono le sole alternative ai mercati concorrenziali e a una democrazia pluralista. Il punto è che nel riflettere sul futuro dei paesi comunisti ed ex comunisti, dovremmo tenere presenti tutte le possibilità: se vogliamo influenzare quello sviluppo, è essenziale ricordarsi che la transizione a una società basata sui trepilastri della democrazia costituzionale, dei mercati edi uno stato del benessere non è né automatica né irreversibile" (7). Note (1) W. Gombrowicz, Wspomnienia polskie (Memorie polacche), lnstytut Literacki, Paris 1977, pp. 94-95. (2) Le statistiche elettorali sono generalmente considerate indigeste IL CONTESTO per i lettori, salvo i casi in cui servono a creare un non-evento (come hanno fatto i giornali italiani dinanzi alla crescita dell'astensionismo elettorale in Polonia). Ho già riportato alcuni dati sull'astensionismo elettorale in Europa nell'articolo La prima volta,· ad est, in "Linea d'ombra", n. 49, p. 11. (Il tasso di astensione più elevato nelle elezioni locali è una costante in questo dopoguerra europeo: nella Rft esso ha raggiunto anche il 50%.) (3) Ho indicato alcuni di questi studi nell'articolo Il compromesso polacco, in "Linea d'ombra", n. 43, p. 12. Per le indagini svolte presso · l'istituto di sociologia dell'università di Varsavia, cfr. le indicazioni contenute in Crisis and Transition. Polish Society in the 1980s, a cura di J. Koralewicz, I. Bialecki e M. Watson, Berg, Oxford 1987. (4) Cfr. ad esempio il recente articolo di P. Caselli e Gabriele Pastrello, Il piano-mercato, paradosso polacco, in "Politica ed economia", n. 5, maggio 19990, pp. 66-69. (5) Sulla questione del rapporto tra privatizzazione e nomenklatura, cfr. il mio articolo Il compromesso polacco, in "Linea d'ombra", n. 45, novembre 1989. Sulla privatizzazione in Gran Bretagna nel settore dei servizi, cfr. John Vickers e George Yarrow, Privatisation and Natural Monopolies, Public Policy Centre, London 1985. Sulle critiche al programma economico cecoslovacco (espresse dal viceprimoministro Valtr Komarek), cfr. l'articolo di John Lloyd in "Financial Times", 5 giugno 1990. Le osservazioni Komarek, presentate come "critiche da sinistra", presentano forti analogie con alcune critiche radièali alle riforme economiche polacche (che però non si presenterebbero come "critiche da sinistra"). (6) J. Rupnik, intervento al convegno Uscire dal totalitarismo: culture politiche e stato in Ungheria e Cecoslovacchia (Fondazione Agnelli, Torino 15-16 maggio 1990). (7) Jon Elster, When Communism dissolves, in "London Review of Books", 25 gennaio 1990, pp. 5-6. Semprepiù spesso, ormai, sono i quotidiani il luogo privilegiato del dibattito storiografico, della rilettura e rivisitazione .della storia contemporanea, soprattutto se si tratta degli ultimi cinquant'anni. Che questo comporti una semplificazione e un riduzionismo della complessità storica appare evidente, come anche che le polemiche e le contrapposizioni siano spesso superficiali e artificiali, connaturate all'esaltazione di un profilo di rapidissimo consumo e di ancor più rapido oblìo. La"dittaturaculturale" negli anni Cinquanta loro nemico di un tempo, il mar)l.ismo, aveva torto, la forza morale e la vigoria culturale per riproporre le stesse semplici verità, o banalità, che diffondevano quarant'anni ad- ·dietro.Confortatidalcrollodelmuro di Berlino e dalla crisi definitiva dei regimi comunisti, gli intellettuali conservatori si sono sentiti legittimati (anche coloro che quarant'anni fa erano poco più che bambini) a riesumare una retorica che oscilla tra il tautologico e l'indefinito. Così è stato anche, in parte, per il dibattito sulla presunta dittatura culturale esercitata nel dopoguerra dal marxismo e più in generale dalla sinistra. Beniamino Placido ha ottimamente sintetizzato il carattere leggendarioe mitico di quel1' assunto ("La Repubblica", 8 maggio 1990), variamente e de- .bolmente difeso da Nicola MatteuccieSandro Viola, ErnestoGalli della Loggia e Carlo Bo, Sebastiano Maffettone e Leone Piccioni. Il progressivo indietreggiare dall'accusa di dittatura a quella di egemonia e poi di censura, mostra solo quanto lo strumento del quotidiano spinga inesorabilmente al1' esagerazione e all'eccesso, ma l'accusa rimane comunque inspiegabile e immotivata, per il semplice e decisivo motivo, ricordato da Placido, che "la possibilità materialedi esercitare un'egemonia non c'era". Piùchepertinente, quindi, è Marcello Flores stato l'invito a ricordare il 18 aprile, a ripensare quali fossero i libri di testo in voga ali' epoca nelle scuole di ogni ordine e grado, a rileggere i quotidiani e i settimanali di quegli anni, a riascoltare e rivedere i programmi radiotelevisivi. Seunacolpa aveva la sinistra, nel caso, era quella di "annoiare", _noncerto di "intimidire". Come mai, ci si può domandare, questa polemica è sorta e si è dispiegata adesso, e non, per esempio, quando sono apparsi studi e memorie che costituivano un'occasionc ben più adatta per affronta- · re e approfondire questo argomento? La prima impressione, suffragata dal generale orientamento che ha caratterizzato negli ultimi mesi buona parte degli interventi degli intellettuali che fanno gli "opinionisti" nei grandi quotidiani, è che si tratti di una vendetta postuma, e anche, come spesso accade in questi casi, fuori bersaglio. Gli intellettuali di area cattolico-liberale, o conservatrice, per dirla più schematicamente, sembrano aver trovato nella verifica matc.rialeche il La parte più conservatrice della cultura laica, che in Italia, occorre ricordarlo, è sempre stata maggioritaria, sembra spinta da una coazione a ripetere e a ripetersi, a farsi fantasma del proprio passato, a essere parodia di quello che fu. Anche oggi, come nel dopoguerra, per non vedere i problemi reali e non dover fare i conti con le questioni di fondo di questa società di fine millenio, ci si rifugia nel riparato porticciolo di una polemica vuota e inconcludente, in cui le sensazioni e i suggerimenti della memoria valgono più della dura realtà dei fatti. Allora, a parziale scusante, si viveva in un clima che facevacredererealiifantasmiideologici da cui ci si sentiva mortalmente minacciati. Oggi, più modestamente, si vuol ricostruire con l'ausilio di una storia manipolata una identità culturale e politica da sempre sull'orlo del baratro dell' oblìo. 13

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