Linea d'ombra - anno VIII - n. 51 - lug.-ago. 1990

IL CONTESTO 2. Che cosa non è successo. Innanzitutto, non c'è stata la ripresa nazionalista nell' Europacentroorientale che era stata prevista da molti. Tutte le forze che si sono identificate con una posizione nazionalista dura sono state sconfitte elettoralmente, anche in Romania. Questo non sìgrùfica che il pericolo sia scomparso, perché i problerrù che sono alla base del fenomeno rimangono. Ma sarebbe auspicabile che il dato di fatto fosse riconosciuto, per non dire apprezzato. La ripresa nazionalista (ammèsso che sia una ripresa, e non semplicemente una esplicitazione dì forze giàpresenti) c'è stata semmai altrove: in Unione Sovietica, dove, guarda caso, non sì è ancora votato liberamente nella maggior parte delle repubbliche (il -nazionalismo baltico si è sinora dimostrato "morbido"). Come non c'è neanche stata, a livello esteuropeo, una sigrùficativa ripresa dell 'antiserrùtismoesteuropeo in termini paragonabili all'Urss. La stessa espressione "ripresa dell'antisemitismo" è ambigua, in quanto tende a creare l'equivoco secondo cui ai bei tempi di Bremev (e di Honecker, ecc.) l'antisemitismo non esistesse. Ovviamente esisteva, e non era solo latente. Ad esempio, nel caso della Ddr, i processi ai giovani per apologia dì nazismo avverùvano regolarmente, ma non verùvano pubblicizzati. Un altro evento che puntualmente non sì è verificato è stata la liberalizzazione sfrenata delle economie esteuropee, in base a una presunta ispirazione monetarista. Al contrario, tutte le liberalizzazioni stanno avvenendo con la massima lentezza. La Polonia del "big bang" è per il momento l'eccezione nel panorama esteuropeo. (Il caso della Ddr continua ad essere, come è sempre stata, una anomalia di diverso genere, per il processo di unificazione economica in corso tra le due Germanie; in Ungheria il governo di centro-destra sta proseguendo la politica economica del partito comunista, inCecoslovacchia non esiste ancora un effettivo governo.) L'introduzione rapida dei primi meccanismi di liberalizzazione economica in Polonia ha permesso un rapido controllo dell'inflazione e quindi del sistema distributivo, evitando il panico che la lentezza della riforma economica gorbaceviana sta producendo attualmente in Unione Sovietica. La presenza dell'economista americano Jeffrey Sachs in Polonia ha eccitato molti spiriti progressisti, contenti di aver trovato la loro bete noire, l' amerikano con la kappa. Indubbiamente prendersela con un consigliere americano (dimenticando ovviamente di riportare quanto dice sulla necessità di mantenere i servizi sociali in Polonia) è un modo comodo per rinverdire le passioni giovanili, spesso non consumate, continuando a privilegiare l'analisi e la discussione del piano Sachs e in generale dei piani rispetto alla ricerca di indicatori reali e di previsioni verificabili (4). 3. Che cosa sta succedendo? Stando ali' immagine proiettata sulla stampa occidentale, in Polonia si starebbe assistendo a una polarizzazione tra "sinistra laica" (Michnik e i suoi amici) e "destra nazionalista" (Walesa e i suoi amici). Questa valutazione mi sembra fattualmente inesatta, e simultaneamente troppo pessimista e troppo ottimista. Troppo pessimista perché questa polarizzazione è stata regolarmente preannunciata a partire dal lontano autunno del 1980, e non si è ancora concretizzata definitivamente. Troppo ottimista perché riflette una aspettativa secondo cui la polarizzazione avverrà secondo dei comodi canorù classici: laici contro clericali, intellettuali contro operai, ragione contro oscuràntismo. Peccato che la realtà non voglia adeguarsi a questo schema rassicurante. Prendiamo un caso concreto, come quello dello sciopero ferroviario alla vigilia delle elezioni di maggio. I cosiddetti Cobas polacchi (che sembravano ispirarsi agli oppositori radicali di Walesa, Solidamosc combattente) si sono rivolti prima a Solidarnosc; non avendo avuto l'appoggio sperato, si sono tranquillamente rivolti al capo dell'ex sindacato di Stato, Miodowicz, sull'opposto versante dello schieramento sindacale. Alla fine Walesa è intervenuto e ha raggiunto un compromesso in extrerrùs, esattamente come fece, ripetutamente, nel 1981. In un qualche futuro non è da escludersi la ripetizione in Polonia di operazioni trasformiste analoghe a quella di Milazzo in Italia (tra chi e chi, non è ancora dato saperlo). La situazione polacca rimane effettivamente (non solo apparentemente) confusa. Per questo motivo il risultato del congresso di Solidarnosc ad aprile non dimostra assolutamente nulla. Non dimostra neanche la forza di Walesa, che avrebbe battuto tutti i suoi avversari, ottenendo l' 80%dei"voti dei qelegati. In realtà Walesa è stato criticato duramente, 12 è stato anche sconfitto suquestioni procedurali. Ma c'è soprattutto il fatto che il sofferto 55% dei voti che ottenne nel davvero lontano congresso di Solidarnosc a Danzica, nel 1981, era il 55% di un sindacato che, per quanto confusamente, rappresentava 10 milioni di iscritti; adesso Solidamosc ne raccoglie appena 2 milioni, meno di quelli iscritti all'ex sindacato di Stato di Miodowicz. A ciò si aggiunge che a questo punto gli oppositori radicali di Walesa si trovano spesso fuori dì Solidarnosc, come hanno dimostrato gli scioperi di maggio. Sono oppositori radicali, che potrebbero finire su posizioni radicali di destra come di sirùstra; un eventuale pericolo di destra potrebbe provenire semmai da questa area. La campagna presidenziale strisciante di Walesa è una fuga in avanti di un capo sindacale che cerca di far fronte a una situazione che gli impone di essere "forza di lotta e di governo", per usare la terminologia del Pci negli anni della "solidarietà nazionale". La freddezza del primo ministro Mazowiecki nei confronti dell'ipotesi di rimettere in discussione i termini del compromesso polacco della primavera-estate del 1989 (e quindi la carica di presidente della repubblica, di fatto predisposta per Jaruzelski) è perfettamente comprensibile e condivisibile. Il dato di fondo della situazione polacca rrù sembra proprio questo: la mancanza di alternative di governo credibili. Da un lato le formazioni politiche ex-comuniste non possono funzionare da polo di aggregazione, dal]' altro neppure le alternative di destra (per motivi opposti ma simmetrici). Questa situazione di stallo è in una certa misura inevitabile in una prima fase di "ricostruzione" (politica, econorrùca e sociale); se però diventasse un dato strutturale, il rischio sarebbe allora quello di un "bipartitismo imperfetto" (sul modello descritto per l'Italia da Giorgio Galli) o se preferiamo un "pluralismo polarizzato" (secondo la definizione di Sartori). 4. Quale liberalizzazione? Quale privatizzazione? Gradualmente si sta delineando una nuova mappa politica dell'Europa centro-orientale. Non tanto per la miriade di partiti politici sorti in tutta l'area (duecento nella sola Polonia, e chissà quanti esistenti adesso in tutta l'area) quanto piuttosto per il delinearsi di problematiche rispetto allequali ci si definisce politicamente (e non solo esistenzialmente, come facevano i movimenti "antipolitici" prima del 1989). È quindi utile parlare di liberali, conservatori e reazionari. Sono definizioni ambigue, ma hanno almeno il pregio di riconoscere la loro ambiguità. Parlare invece di destra e sinistra è forse un poco prematuro, in questo senso ottimistico. Detto questo, rimane il problema di fondo di tutta l'area esteuropea: di quale liberalizzazione si sta parlando? di quale privatizzazione si sta parlando? Nei residui della cultura della sinistra occidentale, sembra esserci un abbandono totale suquesti temi. In sostanza, si dice: ben venga il liberalismo, ma rendetevi conto che liberalismo significa HayekFriedman-Thatcher, quindi il male assoluto (che ieri era rifiutato dai medesimi, e che oggi è accettato, ma solo come espiazione). L'idea che il liberalismo sia qualcosa di più articolato, che si possa essere liberali senza essere hayekiani, non sembra presa in considerazione. Questa leggerezza intellettuale si traduce poi nella concessione indiscrìrrùnata di patenti di liberalismo a forze e individui che liberali non sono, a ovest come a est. Prendiamo un caso concreto, quello delle privatizzazioni. Si tratta di una misura dì razionalizzazione econorrùca, che può essere valida in certi casi, meno in altri. C'è inoltre privatizzazione e privatizzazione, che va dalla Nuova Zelanda (dove la privatizzazione è stata fatta dai laburisti) ali' Argentina di Menem, alla Gran Bretagna della Thatcher, alla Spagna di Gonzalez. Sono tutti processi molto differenziati. È evidente che le privatizzazioni esteuropee incontreranno problemi ancor più complessi, ci sono discussioni inglesi sulla diversa efficacia economica della privatizzazione nei servizi, e cominciano a esserci critiche di merito ai progetti di riforma economica in Cecoslovacchia (ad esempio sulle conseguenze di una liberalizza.-:ione dei prezzi in un contesto monopolistico, che avvantaggia semplicemente i produttori già esistenti, o sulle modalità di una riforma valutaria)._È questo il vero piano su cui discutere la liberalizzazione esteuropea (5). Jacques Ruprùk si è chiesto se l'Europa orientale, dopo aver avuto un socialismo senza proletariato, avrebbe avuto un liberalismo senza borghesia (6). La battuta riflette un problema reale (già rilevato da un osservatore polacco), e cioè il fatto che i riformatori esteuropei si trovano

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